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Non solo Piantedosi, le colpe di Ue e centrosinistra nelle stragi di migranti

«La disperazione non può mai giustificare queste condizioni di viaggio»: di fronte all’ennesima strage in mare di donne, uomini, bambini le parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, parole espresse mentre si cercano i dispersi e si catalogano burocraticamente i cadaveri, raccontano efficacemente quel che è la destra italiana.

Un mix micidiale di cinismo e pressapochismo che il responsabile del Viminale incarna puntualmente, desideroso di passare alla Storia come uno dei peggiori di sempre (traguardo alla portata del prefetto in questione).

Tuttavia sbaglieremmo a ritenere che questa immane tragedia affondi le proprie radici esclusivamente nelle responsabilità del sovranismo nazionalista di marca nostrana.

Bisognerebbe infatti avere il coraggio di ammettere che in materia di immigrazione le colpe siano abbondantemente distribuite.

Certo, la destra gioca al massacro. Coltiva la politica fondata sul rancore, criminalizza il soccorso in mare e le Ong, ed evita con pervicacia di affrontare i nodi della gestione regolare dei flussi consapevole che il proprio gruzzolo di consenso generato dalla paura verso i “migranti” cesserebbe di esistere al cospetto di un governo ordinato del fenomeno.

Tutto questo è vero e le scelte sciagurate di Giorgia Meloni e Piantedosi non fanno che confermarlo. Ma va ricordato che proprio in  questi anni è mancata una vera svolta in politica migratoria operata dalle istituzioni europee e nazionali.

Ciò è confermato dal fatto che proprio a livello europeo siano ancora bellamente in piedi le regole derivanti dalla filosofia dei cosiddetti “accordi di Dublino”,  non si sia avviata alcuna effettiva redistribuzione dei carichi – o della responsabilità – dell’accoglienza, non abbia preso mai piede fino in fondo la logica della cooperazione solidale, rafforzata o bilaterale tra gli Stati.

Oltre le colpe della destra

In questi anni, nei quali è emersa in tutta la sua fragilità la strategia continentale sin qui adottata, la Commissione europea ha presentato un’ipotesi di “Patto per l’immigrazione” ancora una volta orientata a una gestione del fenomeno minimalista, quasi che i migranti stessi siano un danno da ridurre e non persone portatrici di progetti di futuro, bisogni, desideri.

Dico questo poiché ritengo che la reazione a quanto di terrificante affermano e praticano i nostri governanti non possa limitarsi alla condanna o alla presa di coscienza sdegnata.

La verità, amarissima, è che davvero in materia migratoria si debba “cambiare tutto” e lo si debba fare riconoscendo che la totale assenza di coraggio espressa dal pensiero progressista europeo abbia finito per recitare, di fronte al pericoloso disegno nazionalista, la parte dell’utile idiota.

Il problema non sono solo Salvini, Meloni o Orbàn. Gli accordi con la Libia li ha realizzati un governo di centrosinistra  e lo  spericolato finanziamento della Guardia Costiera libica, avvenuto (come denunciai nell’autunno del 2019) anche sottraendo risorse alla Cooperazione internazionale, è stato più e più volte reiterato da maggioranze di stampo variamente progressista (a tale proposito fanno perfino tenerezza i parlamentari che senza il bisogno di una minima autocritica si scoprono a sostegno del valore dei diritti umani una volta che passano dalla funzione del governo a quella dell’opposizione).

Il nuovo Pd

Ora, proprio in giorni in cui il Partito democratico sembra ritrovare la forza per una sua ricostruzione, c’è bisogno di una grande svolta. Che sull’immediato può corrispondere ad una lotta per una nuova missione di soccorso di stampo europeo come primo tassello per una politica molto diversa e che a livello nazionale deve coincidere con la necessità di abrogare la Legge Bossi-Fini.

Cioè l’impianto ideologico e culturale che la sinistra governando non ha avuto il coraggio di ridiscutere, da cui discendono comportamenti politici e istituzionali scellerati  e clamorose omissioni di fronte alle vite spezzate del mediterraneo a cui (come denuncia l’anatomopatologa Cristina Cattaneo da tempo, nell’indifferenza di troppi)  non è concesso nemmeno il diritto all’identificazione.

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Pierfrancesco Majorino

Consigliere regionale della Lombardia del Partito democratico.  Inizia la sua esperienza politica molto giovane, e nel 1998, iscrittosi ai Democratici di Sinistra, entra a fare parte del Consiglio del ministero della solidarietà sociale, all’epoca presieduto dalla collega di partito Livia Turco; lavorando presso il dicastero, Majorino si è occupato di politiche giovanili e della lotta contro le dipendenze.

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