In aula interventi della corrente di Guerini. Sarà una risoluzione generica, nella quale non ci sarà alcun riferimento alle armi, ma verrà ribadito il sostegno a Kiev e al “suo diritto all’autodifesa” rinnovando […]
(DI WANDA MARRA – Il Fatto Quotidiano) – Sarà una risoluzione generica, nella quale non ci sarà alcun riferimento alle armi, ma verrà ribadito il sostegno a Kiev e al “suo diritto all’autodifesa” rinnovando la necessità dell’impegno Ue per la pace. Così il Pd di Elly Schlein cerca di superare indenne la prima prova dell’Aula sull’Ucraina.
Oggi e domani infatti Giorgia Meloni riferirà alle Camere in vista del Consiglio europeo. I 5Stelle presenteranno una loro risoluzione sul no agli aiuti militari. A chiedere al Pd di votarla è Giuseppe Conte. Ma la posizione del Pd è quella di dire sì solo alla propria di risoluzione. Ci potrebbe comunque essere qualche convergenza su alcune parti dei reciproci testi, per esempio quelli che riguardano l’Europa. Perché poi quello dei dem riguarderà tutti i temi all’ordine del giorno del vertice: l’Ucraina, pure nella parte che riguarda la ricostruzione, la competitività, il mercato unico e l’economia e l’energia.
La notizia, però, non è tanto nel testo della risoluzione, che di fatto ricalca la sostanziale continuità rispetto alla posizione del Pd di Enrico Letta già espressa da Schlein, seppure con un tasso minore di atlantismo e uno maggiore di europeismo, ma la scelta di come gestire l’Aula. Oggi la dichiarazione finale sarà affidata a Alessandro Alfieri, vicinissimo a Lorenzo Guerini, fino al congresso coordinatore di Base Riformista. E quella di domani a Piero De Luca, che – oltre a essere il figlio del presidente della Campania – è un giovane emergente di Br, membro della commissione Affari europei. Insomma, gli interventi su Kiev sono affidati alla minoranza del partito, quella che dall’inizio aveva posto come limite invalicabile non solo per collaborare con la segretaria, ma pure per rimanere nel Pd, la continuità della posizione sull’Ucraina. Non è un dettaglio neanche che oggi Schlein abbia deciso di andare alla manifestazione antimafia a Milano: un modo per focalizzare la sua agenda su un altro tema.
La questione, però, si incrocia pericolosamente con le dinamiche interne del partito. Ieri Schlein ha telefonato a Stefano Bonaccini: i due hanno a lungo parlato degli assetti ancora da definire, ovvero segreteria e capigruppo. Schlein avrebbe espresso al presidente del partito la volontà di mettere a capo del gruppo del Senato, Francesco Boccia e a quello della Camera, Chiara Braga. Si tratta di due esponenti della sua mozione. E la decisione andrebbe contro a quello che ha sempre chiesto Bonaccini, caricato dai suoi sostenitori. Che avrebbero voluto, appunto, almeno un capogruppo. Puntando soprattutto su Montecitorio, visto che il posto di Boccia appare blindato dall’inizio, anche perché la segretaria è alla Camera e quindi sui deputati ha un controllo più facile. Non ci sarebbero grossi margini di mediazione, e dunque ieri il malumore era palpabile. Bonaccini non è d’accordo. E i suoi in Parlamento sono pronti a chiedere il voto: il rischio che i gruppi si contino è alto. Per esempio, le barricate nel nome di Alfieri in Senato erano state annunciate. E alla Camera ci sono almeno due o tre potenziali candidati della minoranza, a partire dalla stessa Debora Serracchiani, per arrivare a Simona Bonafè.
Già oggi bisogna tenere gli occhi puntati sui voti di Montecitorio, per essere certi che tutto il gruppo si comporti in maniera uniforme. Perché esiste ancora l’ipotesi che la maggioranza presenti una sua risoluzione, sfidando il Pd a votarla. E domani, a parte il voto di Palazzo Madama sulle comunicazioni della premier, ci sarà in Commissione Affari esteri il voto sulla ratifica del Mes, richiesto dal Pd, per cercare di stanare la maggioranza.