(Estratto dell’articolo di Jason Horowitz per “The New York Times) – Su un lato di una parete di vetro, tre bambini piccoli giocano con mattarelli di plastica. Sull’altro, tre donne anziane toccano il pannello per attirare la loro attenzione. «Salutiamo i nonni» dice l’insegnante ai bambini portandoli dalle tre anziane.
I bambini, tutti di due anni, si fermano a giocare con gli anziani della casa di cura che aspettano di leggere libri illustrati in una piccola biblioteca. «È una cosa straordinaria – ha detto uno dei residenti, Giacomo Scaramuzza – La gente pensa che veniamo da due mondi diversi, ma non è così. C’è uno scambio».
Anziani e bambini di Piacenza insieme, un progetto sperimentale che cerca di collegare i vulnerabili agli estremi della vita e che mette il Paese di fronte a due sfide esistenziali sotto un tetto.
La popolazione italiana sta invecchiando e diminuendo al tasso più veloce in Occidente, forzando il paese ad adattarsi a una tendenza demografica che gli esperti chiamano lo “tsunami d’argento”. Dall’altra parte il tasso di natalità è tra i più bassi d’Europa.
Lo ha detto il premier Giorgia Meloni: «L’Italia è destinata a scomparire», a meno che non ci siano cambiamenti. A gennaio il governo della Meloni ha approvato un nuovo “Patto per la Terza Età” che dovrebbe semplificare l’assistenza sanitaria e i servizi diretti per gli anziani, garantendo loro cure domiciliari e mantenendoli fuori dalle case di cura. La revisione del testo adottato ha sostanzialmente seguito la misura approvata dal governo Draghi, inserendo la legislazione nel programma del Fondo di ripresa dell’Unione Europea. «Ma non ci sono soldi» dice Cristiano Gori, che guida il Patto per un nuovo welfare sulle persone non autosufficienti. […] Ma se i giovani non entrano sul mercato del lavoro per pagare le pensioni e i sistemi di welfare, l’intero sistema è in pericolo.
La Meloni ha sempre detto che le madri che lavorano sono una priorità. Ma i critici dicono che la sua linea su “prima gli italiani” per arginare l’immigrazione, danneggia la crescita della popolazione. E il governo della Meloni, frenato dagli intoppi burocratici, ha già rimandato un programma per costruire nuove scuole finanziate con oltre 3 miliardi di euro.
Se l’Italia non fa sul serio a incoraggiare giovani, famiglie, lavoro e donne ad avere figli, «rimarrà per sempre un paese che invecchia» ha detto Alessandro Rosina, autore di “Storia demografica d’Italia”: «La combinazione di bassa occupazione per le donne, la fuga dei giovani professionisti e famiglie, poca immigrazione, bassi tassi di natalità e l’aumento dell’aspettativa di vita rendono i dati demografici un disastro». […] Anche se l’Italia lentamente fa i conti con la trasformazione in arrivo, i problemi non sono affatto nuovi. Quando Benito Mussolini prese in mano il potere in Italia nel 1922, subito i fascisti si misero a lavorare per aumentare la natalità, arginare l’emigrazione e tentare di portare la popolazione italiana a 60 milioni (dai 40 milioni) entro il 1950.
Per affrontare quello che è stato chiamato in Italia il “problema dei problemi”, ha introdotto il congedo di maternità retribuito, tra le altre misure.
Ma l’ossessione per il tasso di natalità di un uomo che si mise al fianco di Hitler ha fatto sì che, secondo i demografi, si finisse per stigmatizzare le politiche sociali sul problema, portando l’Italia a investire meno sulle giovani famiglie rispetto agli altri paesi europei.
«La convinzione che le politiche per la famiglia avessero un’eco fascista ha avuto un ruolo» ha detto Rosina. Negli anni ’50 l’economia italiana esplose, e così ha fatto la sua popolazione. Ma generazioni di leader non sono riusciti ad aiutare gli italiani con programmi per lo sviluppo, per esempio, di asili nido.
A novembre Meloni ha incoraggiato le coppie ad avere figli e le imprese ad assumere donne, annunciando l’aumento del 50% dei bonus bambino.
Ma nonostante i miliardi di euro stanziati per le scuole materne dall’Unione Europea, l’Italia ha ritardato la partenza su 1.857 asili nido e 333 asili nido, la maggior parte nel sud più povero del Paese. Se l’Italia non riuscisse a iniziare a costruire entro l’ultima scadenza del giugno 2023, rischia di perdere i soldi.