L’accusa contro l’ex presidente Usa
Paolo Guzzanti — 1 Aprile 2023
L’America ha berlusconizzato Donald Trump per la storia di una pornostar che lui avrebbe pagato con 130 mila dollari affinché tacesse, prima ancora di essere eletto presidente. La Procura di New York ne ha ordinato l’arresto e tutti si aspettano che martedì lo stesso Trump venga a costituirsi dalla sua magione in Florida. Il Paese è spaccato: se si guardano sia la Cnn che Fox News, la sinistra e la destra televisiva, si vede subito lo stato delle cose e si capisce anche che non si tratta di una comune questione giudiziaria ma politica.
La pratica e le leggi negli Stati Uniti sono spietati rispetto ai nostri standard. Ma la giustizia che non guarda in faccia a nessuno, essendo rappresentata da uomini prevalentemente eletti con un voto politico è di fatto una giustizia prevalentemente politica. Quello stesso sistema giudiziario e politico non ha esitato a perquisire il garage del presidente in carica Joe Biden e quello dell’ex presidente Barack Obama, per non dire del raid nella casa di Mar a Lago, quartier generale di Trump in Florida, dove furono trovati molti documenti segreti. Fino a giovedì sera si è svolto a Mar a Lago il summit degli avvocati di Trump in attesa dell’emissione ufficiale dell’ordine di cattura emesso dalla procura di New York per la storia di una pornostar che avrebbe ricattato l’imprenditore Trump non ancora in politica facendosi dare centotrentamila dollari attraverso un mediatore, un legale, con una ricevuta falsa.
Il campo repubblicano è in tumulto e non soltanto i trumpiani difendono il loro leader ma anche i repubblicani critici fra cui il suo ex vice presidente Pence, il governatore della Florida De Santis e tutti gli altri big in corsa per la candidatura presidenziale. La decisione di emettere un mandato di cattura è stata presa da un Grand Jury di ventitré cittadini estratti a sorte, ma guidati dall’Attorney District, cioè dal magistrato dell’accusa. Per quanto indipendente dal procuratore, la giuria ha avallato tutte le accuse relative al caso della porno star.
Ma questo è soltanto il primo di una serie di processi che seguiranno come si legge in un comunicato della stessa Procura in cui si dice che “Mr. Trump ha danneggiato gravemente le istituzioni politiche e giuridiche d’ America e le ha anche minacciate eccitando pubblici tumulti quando ha messo in dubbio il risultato delle elezioni”.
Nelle televisioni e sui giornali giuristi e giornalisti si accapigliano, da Charles Blow, convinto che Trump debba andare in galera, a David French che spiega i motivi del suo scetticismo, mentre Nicholas Kristof sostiene che l’arresto di un ex presidente può rafforzare la democrazia. Tuti concordano su fatto che si tratti di un caso politico. Molti discutono sulle vere ragioni dell’arresto che vanno dalla complicata relazione tra Trump e il precedente procuratore Robert Morgan. Nicholas Kristof, columnist del New York Times ricorda che il Presidente Grant fu arrestato nel 1872 per eccesso di velocità della sua carrozza a cavalli e che un presidente americano è un cittadino e non somiglia a Luigi XIV, il quale dichiarò “lo stato sono io”.
Poi ci sono i retroscena secondo cui facendo di Donald Trump un eroe perseguitato, il consenso per lui già in crescita lo porterebbe alla Casa Bianca. I democratici in tal caso dovranno cercare alla svelta un candidato molto forte, scartando Joe Biden considerato compromesso nella questione Ucraina a causa di suo figlio Hunt. E poi c’è la guerra. Trump ripete che se fosse stato lui alla Casa Bianca, non soltanto questa guerra non sarebbe mai cominciata, ma non avrebbe dato ragione a Putin: avrebbe sistemato a suo modo l’intera faccenda chiudendo una partita che considera vergognosa. Dall’altra parte lo stesso Putin ha ripetuto che Donald Trump, a suo parere, è stato il miglior presidente.
La dottrina trumpiana consiste nello splendido isolamento dell’America: se fosse al comando, ritirerebbe tutti i suoi soldati lasciando sola la sciagurata Europa occidentale. L’Europa è più ricca dell’America e anche più popolosa ma avara e gretta tanto da non volersi dotare di un sistema di difesa efficace, tanto alla fine vengono gli Stati Uniti a salvarci da ogni guaio. Sicché alla fine è l’operaio metalmeccanico americano che deve pagare in salario e posti di lavoro i privilegi del metalmeccanico tedesco che paga meno tasse e produce automobili a prezzo più basso. Altro discorso è quello con la Cina: Trump durante la sua presidenza fece partire un’unica selva di missili senza provocare neppure un morto, quando – avendo come ospite a Mar a Lago proprio Xi Jinping – dette ordine di fare fuoco su una base siriana. Ma l’emissione dell’ordine di arresto che dovrebbe portare Trump a costituirsi alla procura di New York martedì prossimo, è un’ulteriore clamoroso elemento che prova lo stato di crisi verticale sia della dirigenza politica che della stessa popolazione americana.
Gli Stati Uniti sono sempre stati un Paese instabile come la nitroglicerina, soggetto alla guerra civile più sanguinosa e spietata mai vista nei tempi moderni, a spaccature profondissime su tutte le questioni dei temi civili: dallo schiavismo fino alle divisioni per la guerra del Vietnam e poi per quella in Iraq e in Afghanistan. L’America, benché gli europei se ne accorgano poco, è il paese più antiamericano del mondo, prova ne sia che l’elettorato rampante dalla parte di Trump non è quello dei miliardari con lo yacht e neppure della media borghesia ma quello proprio degli immigrati arrabbiati che vedono nell’immigrazione clandestina una minaccia per il loro posto di lavoro. E quindi rastrella voti principalmente tra i latinos, gli asiatici, gli afroamericani. L’ultimo paradosso è che l’arresto imminente di Trump mette sotto luce la carenza e perfino la pericolosità dell’amministrazione Biden che si regge più sulle istituzioni e il personale in servizio permanente che sulle direttive dell’Oval Office.
Trump stava preparandosi alla guerra contro la Cina o meglio si stava preparando a dimostrare che la Cina non avrebbe mai potuto vincere una guerra contro gli Stati Uniti in una corsa tecnologica sfrenata che aveva, come effetto collaterale, la prospettiva di una lunga pace con il mantenimento dell’autonomia dell’isola di Taiwan la cui presidente e in queste ore negli Stati Uniti allo scopo preciso di mandare in bestia Xi Jinping. Due scenari di guerra e un terzo scenario di guerra civile sono troppi per le fragili spalle di Joe Biden per non dire della sua vice Kamala Harris considerata da tutti inadeguata a succedergli alla Casa Bianca come Presidente. L’America e il mondo si chiedono quale sarà la svolta di questo paese nel momento in cui il più radicale avversario dell’establishment democratico sta per finire in galera.
Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.
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