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Nomi, condanne, sigle, vittime: chi sono i gruppi estremisti di cui fa parte Cospito

(Giacomo Amadori – La Verità) – Una striscia di sangue e violenza lunga 40 anni unisce le azioni degli anarco-insurrezionalisti di questo Paese, a partire dagli anni di piombo. Una storia di cui è diventato fiero erede il cinquantacinquenne pescare Alfredo Cospito.

Tra il 1977 e il 1979 in Toscana seminarono il terrore i militanti di Azione rivoluzionaria, causando alcuni ferimenti e tentando sequestri. Come gli anarco-insurrezionalisti di oggi erano abbastanza vicini ai gruppi marxisti-leninisti e, infatti, quando si sciolsero alcuni confluirono in Prima linea. Un loro ex rappresentante, il calabrese Pasquale Valitutti, nonostante l’invalidità e i suoi 75 anni suonati, nei giorni scorsi ha minacciato: «Pagherete con le vostre vite, la vita di Alfredo […] voi vi mettete nel mirino delle armi libertarie, prima o poi capiterà l’occasione e ve la faranno pagare» ha dichiarato il black bloc in carrozzina.

Le indagini condotte all’epoca su Azione rivoluzionaria si focalizzarono fin dal primo momento sulla frangia più oltranzista del movimento anarchico, quella insurrezionalista che, in parte, si ispirava agli scritti di Alfredo Maria Bonanno, bilaureato ex sportellista del Banco di Sicilia. Nel 1977 quest’ultimo scrisse uno dei primi tomi che teorizzava l’insurrezione a colpi di pistola, Gioia armata.

Da lì ha iniziato una carriera a cavallo tra dottrina e rapine. L’ultima, nel 2009, a 70 anni compiuti, in Grecia. Negli anni ha propalato idee come questa: «Non c’è un luogo della teoria e uno della pratica […] Se la mattina voglio guardarmi allo specchio, seppure quello di una cella di isolamento, devo entrare in una gioielleria con la pistola».

Nelle loro prime indagini i carabinieri lo inserirono tra gli appartenenti di Azione rivoluzionaria, salvo non trovare prove di quanto affermato da un collaboratore, anche perché per lui non dovevano esistere strutture verticistiche, ma solo «gruppi di affinità», «nuclei di base».

Tra le pagine più sanguinose di questa storia c’è anche quella della fantomatica «Organizzazione rivoluzionaria anarchica insurrezionale» che avrebbe agito tra il 1985 e il 1996 e contro cui il pm Antonio Marini istruì un processo monstre in cui chiese le prime condanne per partecipazione ad associazione sovversiva, ma la sua innovativa ipotesi si scontrò contro il muro dei giudici. Alla sbarra con quell’accusa finirono anche Cospito e l’ex compagna Anna Beniamino, successivamente assolti.

Dopo la fine della banda, gli indagati Cospito e Beniamino iniziano a dare alle stampe Pagine in rivolta (dal 1997 al 2002), Kno3 (unico numero del 2008), che prende il nome dal salnitro, utilizzato per la polvere da sparo, e Croce nera anarchica, dal 2014 al 2016. Sono loro a prendere il testimone dell’insurrezionalismo armato predicato da Bonanno e messo in pratica in primis da Azione rivoluzionaria. È proprio questa sigla a ispirare il nuovo corso.

Durante il processo all’Orai Garagin e un altro imputato diffondono un proclama con cui propugnano, con riferimento all’esperienza lottarmatista degli anni ‘70, «la ricostruzione di un’organizzazione anarchica combattente». Cospito, la Beniamino e altri, in un documento del 1997, rispondono a quella chiamata alle armi e, pur rivendicando che ogni azione, dal sabotaggio alla rapina, «è una scelta personale di attacco al dominio», ribadiscono di non essere contrari «a qualsiasi forma organizzativa».

Nel 2003 fa la sua comparsa la Federazione anarchica informale che sembra l’erede dell’esperienza di Azione rivoluzionaria e che coagula intorno a sé le quattro nuove cellule anarco-insurrezionaliste. Secondo gli inquirenti protagonista di questa stagione è Cospito. La Fai con la sua sigla si fa beffe dell’acronimo della Federazione anarchica italiana che raccoglie i seguaci del pensiero di Mikhail Bakunin. Ma la critica è anche al cosiddetto insurrezionalismo sociale, rappresentato da Massimo Passamani, antico allievo di Bonanno.

Un’area, a giudizio di Cospito, malata di assemblearismo, uno «strumento» da superare. Per colui che è considerato tra i fondatori della Fai «parlano solo le azioni, solo gli anarchici e le anarchiche che rischiano la vita colpendo duramente, la comunicazione avviene attraverso le rivendicazioni».

Nel 2007 otto presunti delegati dei gruppi fondatori si riuniscono e mettono nero su bianco la nuova strategia. Nel verbale i presenti si celano dietro i nomi di alcuni personaggi Disney. «Quo», espressione della «genovese» Brigata 20 luglio, lancia la sfida: «Io parlo per il nostro gruppo: abbiamo deciso di procurarci le pistole e iniziare ad usarle».

Secondo i giudici e le Digos che per anni hanno indagato su di loro Cospito, l’amico Nicola Gai e la compagna Beniamino avrebbero piazzato, nel giugno del 2006, due ordigni davanti alla caserma degli allievi carabinieri di Fossano e, nel 2007, tre bombe nei cassonetti del quartiere residenziale della Crocetta di Torino, attentati firmati dalla sigla Rivolta anonima e tremenda. In entrambe le occasioni venne scelta la stessa tecnica utilizzata in Spagna dai terroristi dell’Eta e dagli insurrezionalisti nostrani davanti alla Questura di Genova nel 2002 e al commissariato di Sturla nel 2004: più ordigni programmati per esplodere in orari diversi, così da colpire le forze dell’ordine eventualmente accorse. Per gli investigatori tali atti puntavano a uccidere o almeno non escludevano questa eventualità.

Il 31 marzo 2011 il gruppo Sorelle in armi, Nucleo Mauricio Morales (cileno morto nel 2009 durante il trasporto di una bomba) invia un plico esplosivo alla sede della Brigata paracadutisti Folgore di Livorno. Lo apre il tenente colonnello Alessandro Albamonte che, per quello scoppio, perde l’occhio sinistro e quattro dita.

Ma quel sangue non sazia Cospito che si dice colpito dall’esplosione della centrale nucleare di Fukushima, avvenuta qualche giorno prima, il 16 marzo. Per questo inizia a rimuginare «odio profondo» e decide di «azzoppare» uno di quelli che definisce gli «stregoni dell’atomo». E così il 7 maggio 2012, insieme con Gai, colpisce personalmente alle gambe il manager dell’Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi.

Quel giorno scende dal motorino, si avvicina al bersaglio e dopo avergli sparato due volte alle gambe resta fermo a guardarlo. Un errore imperdonabile, che consente alla vittima di vedere bene il motorino e dare impulso alle indagini.

Nella rivendicazione, lunga quattro pagine, i feritori ci fanno sapere: «Pur non amando la retorica violentista con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore». L’azione è rivendicata da un nucleo intitolato all’anarchica greca Olga Ikonomidou, detenuta appartenente alla Cospirazione delle cellule di fuoco. Un vezzo pericoloso quello delle firme, che ha alimentato l’inchiesta torinese Scripta manent, costruita proprio sulle rivendicazioni degli anarchici.

Tanto che Cospito, nel 2021, ha dovuto ammettere che «le azioni rivendicate hanno un svantaggio nei confronti di quelle non rivendicate: comportano un rischio maggiore dal punto di vista repressivo». La scelta di Cospito assomiglia più al modello delle avanguardie armate marxiste-leniniste che a quello agognato da Bonanno dell’insurrezione diffusa e anonima.

Per questo un sito legato all’ideologo catanese, nel 2012, anonimamente, boccia l’invio del comunicato: «La rivendicazione è arrivata ai media ed è stata subito presa in considerazione. Niente selva oscura, ma luci al neon accese per illuminare la propria figura. Essendo esclusiva proprietà di qualcuno, non potrà quindi appartenere a tutti». Dopo essere stato pizzicato dai poliziotti ed essere stato arrestato nel 2016, Cospito ha continuato a offrire dettagli sulla gambizzazione di Adinolfi: «In una splendida mattina di maggio ho agito e in quelle poche ore ho goduto a pieno della vita. […] Non c’è bisogno di una struttura militare, di un’associazione sovversiva o di una banda armata per colpire; chiunque, armato di una salda volontà, può pensare l’impensabile e agire di conseguenza. […] La pistola la comprai al mercato nero, trecento euro.

Non servono infrastrutture clandestine o grandi capitali per armarsi». Una specie di memorandum per il killer fai-da-te. Da allora le parole di Cospito si diffondono attraverso interviste non autorizzate e comunicati. Difende la pratica del terrorismo, che gli anarchici «hanno sempre utilizzato», spiega che «la rivoluzione la può fare solo chi ha il diavolo in corpo», sostiene l’«azione diretta e distruttiva», inneggia allo scontro «armi in pugno con il sistema», alle «azioni che mettono in pericolo la vita degli uomini e delle donne del potere» e critica i compagni che rifiutano le «nuove forme di lotta», fatte di «attentati dinamitardi, incendi, pacchi bomba, gambizzazioni, espropri».

E ancora spiega che gli anarchici nichilisti come lui privilegiano «le azioni di violenza a impatto forte», hanno come obiettivo «il semplice spargere il terrore tra le fila degli sfruttatori», infine si lamenta che, rispetto alla retorica rivoluzionaria di molti, solo «pochissimi si spingono oltre colpendo uomini e donne delle gerarchie del dominio», mentre ricorda che il ruolo dell’anarchico oggi è quello di «colpire, colpire e ancora colpire». Nell’ottobre del 2018 un diciasettenne insurrezionalista russo, Mikhail Zhlobitsky, si fa saltare per aria in una sede dell’Fsb (ex Kgb) di Arkhangelsk, città del circolo polare artico, ferendo tre agenti. Dal carcere Cospito mostra di apprezzare, parlando di «direzione giusta» e «gesto vendicatore». Nel settembre 2020 la Fai rivendica in nome del kamikaze russo due plichi esplosivi, uno dei quali indirizzato alla polizia penitenziaria del carcere di Modena, dove in pieno lockdown ci fu una sanguinosa rivolta con morti tra i detenuti. Alla fine per questa bulimia da riflettori e per il suo ruolo di cattivo maestro Cospito a maggio si è beccato il 41bis, il carcere duro che vieta ogni tipo di comunicazione con l’esterno.

A luglio, la Cassazione ha riqualificato il reato per l’attentato alla scuola allievi di Fossano, chiedendo di contestare devastazione, saccheggio e strage ai danni dello Stato. La Procura generale di Torino ha chiesto la condanna all’ergastolo e dodici mesi di isolamento diurno, le difese hanno eccepito la costituzionalità della pena e i giudici hanno rinviato la decisione alla Corte costituzionale. Intanto catene umane, appelli e visite dei parlamentari fanno pressione su chi deve decidere sulla sorte del più aggressivo degli anarco-insurrezionalisti.

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