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Nomadi digitali: come funziona la loro partita IVA

Nomadi digitali

I nomadi digitali sono persone che, sfruttando la tecnologia, lavorano online spostandosi spesso da un posto all’altro.

Dietro questa scelta c’è il desiderio di libertà, autonomia e creatività. 

Spesso si tratta di giovani adulti, freelancer che lavorano in smart working da casa, in spiaggia, magari perfino da un paese straniero. In questo caso, per essere in regola col fisco, anche i nomadi digitali devono aver aperto una partita IVA. 

Nel caso in cui il lavoratore scelga di viaggiare fuori dal territorio nazionale ci sono delle differenze dal punto di vista fiscale:

– se il periodo all’estero non supera i 183 giorni l’anno, rimane soggetto alle leggi italiane;

dai 183 giorni l’anno in sù, lo stesso può scegliere di trasferire all’estero la tassazione.

Nel secondo caso, sarà necessario informarsi e rispettare il relativo sistema fiscale. Oltre che provvedere a rispettare le convenzioni con l’Italia per evitare di pagare entrambe le tasse. È consigliabile rivolgersi ad un commercialista per non trascurare nulla e dormire sonni tranquilli.

TASSE E RESIDENZA FISCALE

Il lavoratore è tenuto a versare le imposte sul reddito nel paese in cui ha la propria “residenza fiscale“. 

La tassazione è diversa in ogni Paese, perciò i nomadi digitali tengono sempre in grande considerazione le regole fiscali della loro meta lavorativa. 

Come sappiamo, sono tante le località estere in cui le imposte da versare sono molto più basse rispetto a quelle italiane. E proprio queste risultano essere tra le più gettonate al fine di ridurre la pressione fiscale.

OBBLIGHI FISCALI NELLO STATO DI PROVENIENZA

Nonostante si fatturi all’estero, rimangono degli obblighi fiscali da soddisfare nei confronti del proprio Stato di provenienza.

Almeno nel caso in cui sussistano dei criteri di collegamento tra lo Stato e il nomade digitale.

Per la fiscalità internazionale questi criteri possono essere di natura personale come residenza, sede legale, sede amministrativa; oppure di natura reale, ad esempio la tassazione nello Stato della fonte del reddito.

TASSE NELLO STATO DI RESIDENZA

La maggior parte dei Paesi applica criteri di tassazione basati sul principio della worldwide taxation. 

Questa tassazione prevede che ogni Stato possa decidere di tassare tutti i redditi, ovunque prodotti, sia delle persone fisiche che delle società che hanno residenza fiscale nel proprio territorio. In Italia questo principio è sancito dall’articolo 3 del TUIR.

La nozione di residenza fiscale viene definita dai singoli Stati, pertanto può accadere che esso abbia portata diversa nei diversi Stati in cui un soggetto si trova ad operare. Tale situazione può provocare un disallineamento degli ordinamenti nel definire il concetto di residenza fiscale comportando in capo allo stesso soggetto la residenza fiscale di due Stati oppure anche di nessuno degli Stati coinvolti. Tale situazione prende il nome di “dual residence“. 

Tuttavia, nella maggior parte dei casi vengono risolte attraverso l’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra gli Stati coinvolti.

RESIDENZA FISCALE IN ITALIA E ALL’ESTERO

Nel nostro ordinamento la residenza fiscale delle persone fisiche è disciplinata dall’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86. Ai sensi di questa disposizione un lavoratore si considera fiscalmente residente in Italia quando, per almeno 183 giorni:

Sia iscritto all’anagrafe della popolazione residente;

Abbia il domicilio (ai sensi dell’articolo 43 c.c.) in Italia;

Abbia la residenza (ai sensi dell’articolo 43 c.c.) in Italia.

E’ sufficiente che sia vero anche solo uno di questi requisiti per essere considerati residenti fiscalmente in Italia.

Di seguito, invece, vediamo quali sono i tre requisiti da rispettare per perdere la residenza fiscale italiana e ottenerla all’estero:

Iscriversi all’AIRE, l’Anagrafe Italiani residenti all’estero;

Avere un domicilio all’estero;

Risiedere all’estero.

In questo caso, devono essere veri tutti e tre congiuntamente per “la maggior parte del periodo d’imposta”, cioè per un periodo di almeno 183 giorni all’anno (o 184 giorni per l’anno bisestile).

Gloria Cadeddu

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