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Ndrangheta stragista, il processo che apre la caccia a Berlusconi tra date chirurgiche e pentiti premiati – Il Riformista

La trattativa bis

Tiziana Maiolo — 28 Marzo 2023

Ndrangheta stragista, il processo che apre la caccia a Berlusconi tra date chirurgiche e pentiti premiati

Dici Filippone ma intendi Berlusconi, nomini Graviano ma pensi a Dell’Utri. È così che sabato scorso a Reggio Calabria i giudici della Corte d’assise d’appello hanno confermato la condanna all’ergastolo a un esponente della ‘ndrangheta calabrese e uno della mafia siciliana, come mandanti-complici dell’omicidio di due carabinieri nel 1994. Una “strage di Stato”, o “strage continentale”, inquadrate come prolungamento delle bombe del 1993 a Roma, Milano e Firenze.

Il processo, di cui nessun quotidiano nazionale tranne Il Fatto si occupa, si chiama “ndrangheta stragista” ed è una bella costruzione a tavolino di una sorta di Trattativa-due, utile a servire su un piatto d’argento alla procura di Firenze che indaga sulle bombe del 1993, il nome di un terzo livello politico come mandante delle stragi. Se non di quelle di via Capaci e via D’Amelio, almeno di quelle, di natura ben diversa, che presero di mira luoghi d’arte e persone presenti per caso proprio dove esplodevano le bombe. Il succo di questa storia è nelle parole del rappresentante dell’accusa, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, e in quelle fotocopia delle motivazioni alla sentenza di primo grado. Il rappresentante dell’accusa non ha certo peli sulla lingua quando lancia il suo progetto per il futuro e dice esplicitamente che i due condannati come mandanti, il mafioso Giuseppe Graviano e l’uomo della ‘ndrangheta Rocco Santo Filipponecostituiscono soltanto un primo approdo”, in attesa di poter mandare a processo qualcuno di ben più elevato, nella gerarchia delle responsabilità, cioè “dei mandanti politici che attraverso la ‘strategia della tensione’ volevano evitare l’avvento al potere delle sinistre” .

Queste parole sono state pronunciate nell’aula della corte d’assise d’appello da un soggetto in toga, parte di grande rilevanza nella dialettica processuale, quella dell’accusa. E nessuno pare stupirsi -del resto lo hanno fatto anche i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado- di questo passaggio dalle toghe alla storiografia politica. Lasciamo parlare l’alto magistrato. Si parte dal 1993, il suo autunno con le elezioni amministrative, vinte in gran parte da rappresentanti della sinistra. L’anno “in cui -dice Lombardo- in Italia dopo moltissimo tempo si corre il rischio di un governo a guida comunista. Perché nell’autunno del 1993 Achille Occhetto vince le elezioni amministrative e inizia a parlare da Presidente del consiglio. È un momento storico decisivo per le sorti di una Nazione che sta vivendo una stagione difficilissima, iniziata in epoca ben antecedente rispetto alla caduta dei blocchi contrapposti nell’autunno del 1989. Quello è un momento storico anche per effetto della forza distruttiva generata dalla vicenda Mani Pulite, gestita dalla Procura di Milano, che deflagra su quello che rimane della Democrazia cristiana e del Partito socialista. L’unico interlocutore di sinistra che ha una capacità aggregante è il Pds di Achille Occhetto che ovviamente in quel momento parla come se non avesse avversari. E non ha avversari in realtà. L’avversario verrà formalizzato dopo qualche mese. L’avversario diventerà Forza Italia…”.

Così “Occhetto non si è più ripreso da quella mazzata tant’è vero che ha smesso di fare politica. Erano le elezioni della primavera del 1994 e, visto che sono fatti storici, siamo al primo governo Berlusconi”. Ora sarà bene ricordare che queste parole non sono state pronunciate in un processo in cui l’imputato fosse il leader di Forza Italia e la parte civile Achille Occhetto. Un processo politico sulla storia degli anni novanta in Italia. Qui siamo in piena Calabria dove, il 18 gennaio 1994, furono uccisi i carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. I due esecutori di quel delitto di trent’anni fa, due malavitosi locali, sono stati da tempo processati e condannati. Ma sarà la Dda di Reggio Calabria presieduta da Federico Cafiero de Raho, oggi deputato del Movimento cinque stelle dopo esser stato il capo dell’Antimafia nazionale, a rimescolare le carte su quel delitto. E su quella data, soprattutto. Diciotto febbraio 1994, un mese prima di quel 28 marzo che segnerà la vittoria di Silvio Berlusconi, la sconfitta della sinistra di Occhetto e la fine della prima repubblica.

Dopo la relazione della Dda partono intercettazioni a raffica e gare di collaborazioni di “pentiti” più o meno improvvisati. Quel delitto, e insieme altri due attentati ai carabinieri senza vittime, fanno improvvisamente parte della “strategia stragista”, quella di Cosa Nostra e della Trattativa-uno, che passa dalle bombe del 1993 e arriva, deve arrivare, fino alla nascita di Forza Italia e la vittoria elettorale di Berlusconi. Per questo è importante quella data. Perché attribuisce un connotato e finalità politiche a quanto accaduto dal delitto Falcone fino alla vittoria di Berlusconi. Con una specie di Trattativa infinita. Ecco dunque perché occorre spiegare l’inserimento della ‘ndrangheta nella strategia dei corleonesi. Per arrivare al 1994. Nasce la formula “strage continentale”, detta anche dai “pentiti”strage di Stato”.

È così che un fatto, sicuramente tragico, ma di piccolo cabotaggio locale, assume una grande rilevanza nazionale, politica e storica, tanto che siamo ancora qui a parlarne e scriverne trent’anni dopo. Pentiti incoraggiati e premiati un tanto al pezzo raccontano di quando, subito dopo il rapimento di Aldo Moro, anno 1978, sono stati visti in un agrumeto calabrese Silvio Berlusconi e Bettino Craxi a colloquio con gli uomini di Piromalli, o forse con lui stesso. E poi, il famoso incontro nel resort Saionara di Nicotera in cui la mafia siciliana e la ‘ndrangheta calabrese avrebbero messo a punto la comune strategia stragista “continentale”. Quell’accordo in verità non è mai esistito, e lo dice anche la sentenza “Tirreno” del 2004. Del resto il pilastro della tesi su cui si è costruito il processo “’ndrangheta stragista” è la testimonianza di uno dei “pentiti” calabresi più screditati, Franco Pino.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.

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