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Mia Canestrini: «Non crederete che i lupi siano cattivi?»

Se le si chiede di presentarsi, lei dice così: «Ciao, sono Mia Canestrini, zoologa esperta di lupi, autrice e conduttrice televisiva e radiofonica». In molti oggi la conoscono, per il suo lavoro romantico, per il suo volto espressivo e per quella sua dolcezza determinata che ha conquistato il pubblico. C’è chi l’ha conosciuta sentendola in radio (oggi conduce la rubrica La bella e le bestie per il programma 105 Friends su Radio 105), chi l’ha vista in Tv (è co-conduttrice della trasmissione Il Provinciale su Rai Due) e chi ha letto uno dei suoi libri.

E ora, dopo La ragazza dei lupi (Piemme, 2019) e Custode di Cuori (Mondadori Electa, 2022), ne esce un altro: Nelle Terre dei lupi. Storie italiane di un ritorno (Piemme, 2023), 200 pagine in cui Mia racconta di un viaggio, tra l’Irpinia, la Toscana, l’appennino emiliano, la Valtellina e il litorale romano, alla ricerca delle tracce di questo straordinario e misterioso mammifero: «È un racconto di lupi e natura che parte dal mio vissuto e dalle mie esperienze», racconta Mia Canestrini, «È un invito personale a riflettere su che ruolo ci siamo ritagliati su questo Pianeta in quanto umanità. Le crisi climatica e di biodiversità ci mettono di fronte a una sfida: accettare di far parte della natura recuperando stili di vita e consumo più sostenibili, oppure continuare sul filo narrativo dell’antitesi tra natura e cultura, che però ci sta portando verso la catastrofe e l’estinzione insieme ad altre migliaia di specie. Possiamo anche illuderci di poter vivere separatamente dal resto degli organismi viventi, piante e animali, ai quali sottraiamo da decenni spazio e risorse, ma se loro muoiono, noi moriremo con loro. La cosa sorprendete e interessante è che oggi più che mai la natura sembra volerci dimostrare che ci vuole con sé e tenta con ogni forza di inglobarci nuovamente all’interno dei suoi ecosistemi, appena ne ha l’occasione». 

Ma perché si parla sempre del lupo cattivo?
«Si parla sempre del lupo cattivo perché questa è l’immagine che gli è stata cucita addosso durante il Medioevo, quando il Cristianesimo ha avuto bisogno di utilizzare gli elementi della natura, del paesaggio e della vita in società a fini narrativi: c’era bisogno di creare unione e incentivare l’obbedienza all’interno delle comunità (le greggi), identificando la Chiesa e i suoi rappresentanti (i pastori) come salvatori e garanti di un ordine sociale e civile, a fronte del caos e del pericolo rappresentati dal non aderire alle pratiche religiose. Il lupo, predatore per eccellenza in Europa, si è ben prestato a incarnare il Male e i pericoli dell’allontanamento dalla Chiesa (in senso figurato). Semplicemente ci portiamo dietro questa eredità religiosa e culturale millenaria».

E dunque i lupi fanno anche cose buone!
«Assolutamente sì! Per esempio i lupi sono molto solidali gli uni con gli altri, se un membro del branco viene ferito anche gravemente gli altri non lo abbandonano, ma cercano di garantirgli la sopravvivenza proteggendolo e nutrendolo».

Qual è l’insegnamento più grande che le hanno dato i lupi?
«Mi hanno sicuramente insegnato a non avere paura dei cambiamenti e a adattarmi velocemente. In questo sono dei maestri del Regno Animale: opportunisti, ecologicamente molto plastici, possono vivere ovunque sfruttando qualunque tipo di habitat e risorsa. Imparano osservando ed esplorando, tramandano ciò che hanno imparato, hanno un’ottima memoria e un senso straordinario dell’orientamento».

I lupi «riconoscono»? Lei ha dei lupi «amici»? Dei lupi con cui è stata di più e con cui c’è un rapporto particolare? È possibile?
«Certo i lupi riconoscono luoghi, animali e persone. Io non ho lupi “amici” perché ho sempre trattato i lupi da lupi: non li ho studiati dentro a una gabbia o un recinto, forzandone la vicinanza, ma in natura dove corrono liberi e selvaggi, si fanno vedere raramente e rifuggono il contatto con l’uomo. Ho vissuto un paio di esperienze diverse recuperando due cuccioli di lupo che per un brevissimo periodo mi hanno in qualche modo riconosciuta e identificata come una fonte di cibo e una sicurezza, ma poi ho evitato di mantenere questa specie di legame primordiale e me ne sono volutamente distaccata, perché non è questo che mi entusiasma della zoologia».

In Italia dove si può andare per vedere i lupi? Esistono organizzazioni di «wolf-watcher»?
«Ci sono il centro Uomini e lupi di Entracque in provincia di Cuneo, il centro di Civitella Alfedena nel Parco nazionale d’Abruzzo, il centro Alpha loup sulle Alpi Marittime (versante francese), tutti posti in cui pagando un biglietto si possono osservare lupi confinati in recinti più o meni ampi e ricchi di vegetazione. Nel nord Italia c’è l’associazione Io non ho paura del lupo che organizza escursioni ed esperienze a contatto con la natura».

Se una persona volesse aiutare i lupi, esistono associazioni per la loro salvaguardia?
«WWF e l’associazione Io non ho paura del lupo sono le due realtà che mi sento di consigliare al riguardo e che portano avanti azioni di sensibilizzazione e informazione sul lupo e la convivenza con questo predatore».

Si dice che lei adesso viva a Milano: un cambio di vita?
«Io in realtà vivo in campagna in Toscana e mi reco saltuariamente a Milano per lavoro. In parte mi occupo di divulgazione scientifica, ma fino a poco tempo fa ho continuato a lavorare su campo coordinando tra le varie il Monitoraggio nazionale del Lupo. Non escludo di rimettere gli scarponi in futuro, ma questo tipo di lavoro non è come un impiego in un ufficio a tempo indeterminato: si lavora a seconda dei progetti che iniziano e finiscono, della possibilità di vincere o meno il concorso pubblico per esservi assunti, e del desiderio di affrontare per ogni progetto un vero e proprio nuovo trasloco. Al momento avere l’opportunità di raccontare le scienze naturali attraverso i mass media e l’editoria è molto appagante. Sono sempre in viaggio, ho molta libertà e visito aree protette, oasi e riserve naturali che non avevo mai sentito nemmeno nominare. Ma la soddisfazione più grande è poterle raccontare e mostrare a milioni di persone, sensibilizzandole sul valore naturalistico del nostro Paese. Ho dedicato ai lupi quasi 20 anni della mia vita, a me sembrano molti ma i lupi in realtà esistono da centinaia di migliaia di anni: penso possano continuare ad esistere anche senza me che li “inseguo” per valli e montagne per altri 20 anni».

Se non ci fossero stati lupi, cosa sarebbe stata la sua altra passione?
«La danza, che ho praticato per 20 anni e che ho abbandonato completamente quando gli studi e la tesi hanno reso le due cose inconciliabili. L’ho sacrificata sempre moltissimo per lo studio, ma tornassi indietro forse farei scelte leggermente diverse. È una forma di espressione fisica e artistica che ha segnato profondamente i primi 25 anni della mia vita: tutti i miei ricordi di infanzia e adolescenza, fino all’inizio dell’Università, contengono immagini di me a contatto con la natura o di me che ballo, nient’altro».

Mia Canestrini, «Nelle terre dei lupi»

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