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«Meloni attacca l’Ue per la casa green ma non sa di cosa parla». Intervista a Ciarán Cuffe

Le case sono responsabili del 40 per cento del consumo energetico europeo, e del 36 per cento di emissioni di gas serra. Esistono già regole europee sulla prestazione energetica degli edifici, ma Bruxelles sta mettendo mano alla vecchia direttiva: tra crisi climatica ed energetica, il dossier non è rinviabile. Eppure vorrebbe rinviarlo, se non boicottarlo, la destra di governo.

Fratelli d’Italia ha lanciato la sua crociata contro la nuova direttiva: «è una eco-patrimoniale», «va bloccata»; e la Lega è andata a ruota. Il verde irlandese Ciarán Cuffe è il relatore dell’Europarlamento sulla riforma, e battaglia per una versione ambiziosa.

Ha un messaggio per Meloni?

Prima di dire che vuole fermare la riforma, il governo dovrebbe vedere bene i dettagli, capire in cosa consiste la proposta.

Dalle parti di Fratelli d’Italia non l’hanno letta?

Questo lo lascio dire a lei: devo essere diplomatico (ride). Ma chi conosce davvero il dossier sa che i governi nazionali avranno una grande discrezionalità sull’applicazione della direttiva, che peraltro tiene conto del diverso stato degli edifici in ciascun paese.

A che punto sono i lavori, e quali sono le principali differenze tra la proposta della Commissione, del Consiglio e la sua?

Tutte le proposte mirano a migliorare le prestazioni energetiche degli edifici, anche per proteggere gli europei dai costi esorbitanti delle bollette. La Commissione punta a elevare quelli in classe energetica G, la peggiore; la mia ambizione è fare qualcosa anche per quelli in classe E e F. All’Europarlamento, voteremo il dossier in commissione Energia (Itre) il 9 febbraio, poi si spera vada al voto in plenaria la settimana dopo.

Mi risulta che il Ppe, inizialmente ben disposto verso la sua proposta, abbia cambiato posizione. È una conferma che l’opposizione al green deal è un terreno di incontro per i popolari e i conservatori di Meloni? Anche sul tema auto, Ppe ed Ecr avevano votato insieme contro il pacchetto verde.

Guardo con interesse all’Italia per capire bene questi sviluppi, e confermo che il Ppe ha cambiato posizione nel tempo. La sinistra ha sostenuto le mie ambizioni sul tema. Ma adesso da relatore punto a una convergenza sul dossier. Faccio presente, viste le ultime polemiche da voi a Roma, che l’Italia in Consiglio Ue aveva già votato a favore della riforma di direttiva.

Di recente in plenaria l’ho sentita svolgere il suo intervento in italiano. Deduco che le rimostranze del governo Meloni siano state percepite anche a Bruxelles…

Mi sono state riferite. Ho usato la vostra lingua per esprimere chiaramente i benefici della nuova direttiva: migliorerà la qualità delle case degli europei, creerà posti di lavoro green e ridurrà le emissioni di gas serra.

Ho parlato in italiano anche perché trent’anni fa, quando studiavo architettura, ho vissuto un anno a Venezia. Da architetto, la conversione degli edifici è un tema che mi sta a cuore.

Ha approfondito la situazione italiana? Gli edifici antichi…

Certo! La direttiva chiederà a ciascun paese di migliorare la situazione in base alle proprie possibilità: so bene che la situazione della Finlandia, che ha già quasi tutti gli edifici ad alta prestazione, non è la stessa dell’Italia. C’è molta confusione, la gente pensa che dovremo rinnovare tutti i vecchi edifici. Non è così: non proponiamo mica pannelli solari sul Pantheon! La direttiva non si applicherà ai monumenti e agli edifici tutelati dalla legge.

Chiaro, ma non c’è bisogno di vivere nel Colosseo per porsi la questione: e le vecchie case nei paesini? Come funzionerà?

Dipende: se non c’è nessuna tutela specifica per quegli edifici, auspichiamo miglioramenti. Può voler dire passare dalle caldaie a gas alle pompe di calore, introdurre il cappotto termico o sistemi di isolamento, installare pannelli fotovoltaici… Ogni edificio è differente, ed è importante che le misure siano appropriate alle sue specificità.

Cosa succederà se un edificio non verrà adattato?

Spetterà al governo italiano definirlo: sta agli stati dettagliare in che modo vogliono implementare la direttiva Ue, quali incentivi o regole introdurre. Tutto questo sarà nel National Renovation Plan – il piano nazionale di rinnovo degli edifici – e non viene dettato da Bruxelles.

Sulla carta il governo potrebbe persino decidere che questi cambiamenti siano solo volontari?

Spetterà al vostro governo trovare il modo che funziona, ma dubito che un sistema volontario basterebbe per ottenere risultati.

A molti cittadini potrebbe interessare una casa più ecologica, che faccia risparmiare sulle bollette. Il punto è che è necessario un investimento iniziale e non tutti possono sostenerlo. Lei è autore di un vademecum sulla povertà energetica, avrà presente il problema.

C’è molto denaro europeo che può essere mobilitato per questo tipo di ristrutturazioni: i fondi del Recovery, i fondi strutturali, molti tipi di finanziamenti che il governo può attivare sia a livello nazionale che regionale. Spetterà a Chigi anche decidere come aiutare le fasce a basso reddito. Ma i soldi per farlo non mancano: questa settimana anche la Bce ha dichiarato il suo supporto alla nuova direttiva. Ci saranno soldi a disposizione anche dalla Bei.

Meloni si è scagliata contro il reddito di cittadinanza. Non è detto che i nostri lettori siano rassicurati all’idea che spetti agli stati garantire l’equità sociale.

Proteggere i più deboli è un principio base dell’Unione.

Non le sembrano singolari le rimostranze del governo in un paese dove lo stato supporta le ristrutturazioni con un bonus? Forse l’ecobonus è fallace?

L’ecobonus italiano è uno schema troppo ampio: sarebbero più opportune misure mirate, per supportare i più vulnerabili, chi ha redditi bassi, chi vive in povertà energetica, chi ha case fredde in inverno e calde in estate.

Tra gli spauracchi circolati c’è quello che le case non adattate non possano essere vendute.

Non c’è assolutamente niente del genere nella proposta che stiamo discutendo.

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