(di Lirio Abbate – repubblica.it) – Quello descritto dallo stragista, che per trent’anni è stato un latitante miliardario, è un mondo alla rovescia. E ci fa precipitare indietro nel tempo
Si gonfiava il petto Matteo Messina Denaro e alzava le penne quando utilizzava con i “picciotti” parole come “onore”, ma anche “oppressione” e “violenza”. Si posizionava dalla parte del bene, perché il “male” lo vedeva negli “oppressori”, cioè nei magistrati e investigatori che arrestano donne e uomini per averlo protetto in latitanza o perché accusati di essere suoi fedelissimi.
Un mondo alla rovescia quello descritto dallo stragista che per trent’anni è stato un latitante miliardario e di suo pugno ha scritto un “manifesto” inviato ai devotissimi. Un documento che gli investigatori hanno trovato durante le perquisizioni che hanno poi portato all’arresto della sorella, Rosalia Messina Denaro.
Il boss usa espressioni “inquietanti e eversive” in cui definisce la sua famiglia, anche quella di sangue, gran parte della quale finita in carcere per mafia, “perseguitati, sopraffatti da uno Stato prima piemontese e poi romano che non riconosciamo”, concludendo che “incriminati di mafiosità è un onore”.
Questo modo di pensare ci fa precipitare indietro di trent’anni quando Messina Denaro si era messo in testa di orientare la politica siciliana verso una prospettiva indipendentista che rappresentava una forma di ricatto nei confronti dei partiti a Roma, i cui esponenti avevano tradito le aspettative di Cosa nostra.
Con il boss Leoluca Bagarella, che si era sporcato le mani con centinaia di omicidi, e nonostante fosse quasi analfabeta, aveva sostenuto la creazione di un nuovo partito politico, Sicilia Libera, il cui obiettivo era portare in Parlamento gli uomini della mafia.
Il partito che hanno in mente Messina Denaro e Bagarella vuole recidere il cordone ombelicale con la capitale per poter pensare in tutta pace agli affari propri. Niente più processi, niente più galere, niente più leggi severe. Una specie di Repubblica delle banane in mezzo al Mediterraneo.
L’inchiesta Mani Pulite aveva assestato un duro colpo allo Stato, e quelle bombe mafiose erano un ulteriore tentativo di destabilizzarlo. Riina fuori dai giochi perché arrestato, sbucano Bagarella, Messina Denaro e Giuseppe Graviano che si riorganizzano.
Il problema non è trovare politici compiacenti, ma facce nuove, interlocutori nuovi. E così per tutto il 1993 vanno avanti con la linea dura: strage dopo strage, attentato dopo attentato, la lotta contro lo Stato è frontale. Messina Denaro non ha alcuna voglia di arrendersi, e il suo compare Bagarella condensa in una sola frase la determinazione di Cosa nostra: “Finché ci sarà un corleonese fuori si va avanti come prima”.
Da una parte si ammazza, dall’altra si cerca freneticamente qualcuno con cui parlare. Il semi analfabeta Bagarella ha un’idea temeraria, la sua pensata scaturisce da una semplice lettura dei fatti: la politica ha tradito, la rete di protezione che tutelava suo cognato Riina è saltata; il patto che legava Cosa nostra a determinati personaggi dei palazzi si è spezzato. Meglio ricucirselo su misura. Se non c’è un partito affidabile a cui chiedere di tutelare gli interessi dei mafiosi, tanto vale farne uno.
Inizia così una delle storie più paradossali della Repubblica: criminali che invece di minacciare o corrompere politici diventano politici loro stessi. Sicilia libera si presenta alle elezioni del 1993. Ha come stemma il simbolo della Trinacria e un programma di forte ispirazione regionale, con l’ambizione di sganciarsi dal giogo di “Roma ladrona”.
Candidano vecchi attrezzi della politica. Messina Denaro si impegna molto in questo progetto politico. Ma è evidente che non c’è un popolo dietro questo movimento, nato più dall’improvvisazione che da una vera ragione fondante di stampo politico.
La strada per arrivare al Parlamento è lunga, per ottenere un successo duraturo sarebbe necessario disporre di competenze, tempi e persone che i mafiosi semplicemente non hanno. Fin da subito, l’azzardata avventura elettorale assume i contorni della mission impossibile. Per non dire della farsa.
Presto anche gli ispiratori del neonato movimento decidono che è preferibile buttare sia l’acqua sporca che il bambino e puntare su opzioni più promettenti. Si fa avanti Marcello Dell’Utri che piazza sul tavolo dei mafiosi un nuovo partito, Forza Italia. E così i boss cambiano cavallo. Sicilia libera si dissolve, ma l’idea indipendentista di Messina Denaro regge ancora, nel suo manifesto politico ed eversivo.