(Francesco Carta – lanotiziagiornale.it) – I numeri sono argomenti testardi per il fatto stesso di essere oggettivi. Ma parlando di televisione pubblica è importante che, oltre ai risultati, siano noti anche i costi di un dato programma. Ecco perché i Cinque minuti di Bruno Vespa al momento si possono considerare un successo a metà.
Perché se è vero, come ha rimarcato più e più volte nel corso del consiglio di amministrazione di venerdì a Viale Mazzini Carlo Fuortes, che la striscia serale del programma di Vespa sta collezionando risultati positivi, è altrettanto vero che nella riunione di venerdì, dopo le richieste avanzate dal consigliere dei dipendenti Rai Riccardo Laganà, si sarebbe dovuto rendere noto il compenso del conduttore, oltre ovviamente ai costi complessivi del programma.
Ebbene, dopo le lodi e gli elogi sperticati dell’amministratore delegato che ha sottolineato come il programma di Vespa neanche arrecherebbe danno ai programmi in onda sulle altre due reti Rai (tesi contestata però da una flotta di addetti ai lavori), si è detto chiaramente a quanto ammonta il compenso del conduttore che, per inciso, affianca a quanto già incassa per gli altri programmi. Insomma, una cifra, secondo quanto risulta al nostro giornale, è stata fatta e non sarebbe neanche così di secondo pelo, per capirci.
Il compenso del conduttore resta top secret
Il punto, però, è che essendo “dato sensibile” niente è uscita dalla sala delle riunioni del Consiglio di amministrazione. In sintesi: la tv di Stato che in quanto tale è pubblica paga con soldi pubblici un conduttore che, da privato, fa una trasmissione per quella stessa televisione di Stato pagata dal pubblico, ma il pubblico non può sapere quanto questo conduttore viene pagato. Chi paga, in ultima istanza, non può sapere come poi vengano utilizzati i suoi stessi soldi. Una situazione a dir poco kafkiana. E non è detto, d’altronde, proprio per come stanno andando le cose che alla fine questa cifra uscirà prima o poi. Perché il dubbio, come detto, che non sia poi così bassa è concreto, a maggior ragione se non viene resa nota.
Nel corso della riunione, però, si sono toccati anche altri temi, a cominciare da quello delle esternalizzazioni e dei programmi prodotti esternamente, un tema fortemente osteggiato da Laganà. “Ho ritenuto di dover esprimere voto contrario ai piani di produzione e trasmissione 2023 a causa della rilevante mole di programmi in appalto totale, parziali e acquisti in particolare nel Prime Time fino a percentuali, a mio avviso, a medio e lungo termine industrialmente ed economicamente insostenibili”, ha detto ancora Laganà, spiegando le regioni del suo voto contrario al Consiglio d’amministrazione di ieri sui piani di produzione presentati dall’amministratore delegato, Carlo Fuortes.
Piani che hanno ottenuto cinque voti favorevoli (la presidente Marinella Soldi, l’ad Fuortes, i consiglieri Simona Agnes, Francesca Bria e Igor De Biasio) e due contrari (oltre a Laganà ha votato no Alessandro Di Majo). L’esempio che fa Laganà è al programma di Rai2 Belve, condotto da Francesca Fagnani: “Come peraltro dimostra la recente esternalizzazione di una produzione fino a ieri realizzata internamente, il ricorso all’appalto totale molto spesso determina un significativo incremento dei costi a puntata, oltre a rischi di criticità e disservizi produttivi ed editoriali.
Ai professionisti del Servizio Pubblico rimangono solo le belle dichiarazioni di intenti e complimenti di rito che puntualmente, dopo ogni Sanremo, svaniscono nel giro di un paio di settimane. Al momento purtroppo non si percepisce alcuna intenzione di intervenire in modo risolutivo e strutturale sull’annoso tema delle continue e costose esternalizzazioni delle produzioni”. Difficile dargli torto.