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La Spoon River del Mediterraneo

Prefettura e questura hanno permesso ai giornalisti di entrare nella camera ardente. Pochi minuti per ciascuno, un viaggio sconvolgente. All’esterno una lunga fila di persone

Nel Palasport di Crotone tra i feretri dei migranti: i nomi, le sigle e quelle cinque piccole bare bianche
Le bare all’interno del Palasport (foto Fulloni)

(Alessandro Fulloni – corriere.it) – Sigle tipo questa: Kr40M28. «Kr» sta per Crotone, «40» per quarantesimo ritrovamento, «M» per maschio e 28 dovrebbe essere l’età. Poi bare color marrone, oltre sessanta. Bare bianche, per i bimbi. Sono cinque in tutto e vederle una accanto all’altra è sconvolgente. Siamo al Palazzetto dello Sport di Crotone.

Prefettura e Questura hanno dato il permesso ai giornalisti di vedere la camera ardente con le salme recuperare sinora sulla spiaggia di Cutro (64) dopo il naufragio di domenica. Tre minuti a testa per ogni cronista, la fila è lunghissima. Si entra due a due. Uno della carta stampata e l’altro delle televisioni.

L’attesa fa stringere lo stomaco. Sul parquet i feretri sono sistemati in tre file. Su ciascuno, dove si è potuto ricostruire l’identità , compaiono nomi e cognomi. Eccone alcuni: Munika Fgrhsdi, Marzia Quasimi, Afghanzadeh Mina, Abiden Jafari, Seyar Noori, Jafar Sadeqi…

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La lettura di questo elenco è un dolore continuo, una Spoon River del Mediterraneo che affratella in qualche modo vittime e testimoni che passano qui. A un tratto un agente, gentilissimo, si avvicina con timidezza. Ha gli occhi rossi anche lui, mostra l’orologio e sussurra, a bassa voce, che «i tre minuti sono terminati». Si esce con il cuore a pezzi, il cielo su Crotone è plumbeo.

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