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La guerra tra Meloni e Crosetto sui nuovi vertici di Leonardo

Scriveva Charles Bukowski che il genere umano ha molte debolezze, e che le principali sono «l’incapacità di arrivare in orario e l’incapacità di mantenere le promesse». Giorgia Meloni forse ha mai letto il poeta americano, ma è per indole d’accordo con gli assunti dello scrittore. Soprattutto per quel che concerne le promesse date.

A volte se ne pente, ma quando s’impegna con qualcuno la leader considera rimangiarsi la parola un’onta personale. Una virtù indubbia che, quando si parla di nomine di Stato, può però diventare un problema politico. Come accaduto ieri, quando Meloni ha dovuto far dimettere su due piedi Claudio Anastasio, che lei stessa aveva piazzato poche settimane fa sulla poltrona di presidente della spa pubblica 3-I. La premier aveva assicurato la nomina di Anastasio a Rachele Mussolini, pronipote del Duce, consigliera comunale di FdI e sodale del manager.

Quest’ultimo qualche giorno fa ha però spedito al cda una mail in cui citava l’osceno discorso di Mussolini sul delitto Matteotti, facendolo proprio. Grazie a Repubblica la missiva è diventata pubblica, il nostalgico ha dovuto lasciare la poltrona, Meloni ha avuto l’ennesima conferma dell’inadeguatezza della classe dirigente del suo partito.

Passione Cingolani

In tutt’altro contesto, la premier ha giurato un posto sicuro al gran ballo delle società pubbliche anche a due manager di valore, del tutto estranei al cerchio nero del partito. Cioè a Stefano Donnarumma, ad di Terna a cui Meloni ha assicurato il grande salto in Enel. E a Roberto Cingolani, ex ministro della Transizione ecologica che da mesi ha instaurato un flirt istituzionale con la leader di Fratelli d’Italia, che adesso lo vuole ad ogni costo alla guida di Leonardo. Una promessa che rischia però di creare frizioni non banali all’interno del governo.

Oggi Cingolani è di fatto “advisor per l’energia” di palazzo Chigi, un ruolo che tra l’altro il nuovo capo del dicastero Gilberto Pichetto Fratin non ha mai digerito (qualcuno gli ha detto che talvolta Cingolani lo chiama, per lapsus linguae s’intende, “Pochetto”), e da mesi pregusta il salto a Piazza Montegrappa.

La nomina del nuovo numero uno del nostro colosso degli armamenti è da sempre una delle decisione chiave della partita delle partecipate. Questa volta la scelta è più delicata del solito: siamo in guerra, la tensione tra Nato e Russia non ha precedenti dalla fine della Guerra fredda, e l’ex Finmeccanica gioca un ruolo cruciale. Per gli strettissimi rapporti che l’azienda ha con i nostri servizi segreti e le gerarchie militari. Per gli investimenti miliardari previsti dall’aumento delle spese in armi fino al 2 per cento del Pil. Per i legami (industriali e di sicurezza strategica) che Leonardo mantiene con i nostri alleati, Usa in primis.

Cingolani, anche se dal 2019 al 2021 è stato responsabile della direzione per l’innovazione dentro Leonardo con stipendio da oltre mezzo milione di euro l’anno, per alcuni decisori non sarebbe l’uomo giusto per rilanciare un a multinazionale che la maggioranza, dopo i regni di Mauro Moretti e Alessandro Profumo scelti dal Pd, vuole conquistare con un uomo che faccia riferimento ai nuovi governati. «Roberto è un concettuale, un consigliere che può suggerire visioni sulla digitalizzazione e le mini centrali nucleari, ma di numeri e di prodotti militari non sa nulla. Non ha le skills del capo azienda: per Leonardo il suo arrivo sarebbe un disastro», sostengono alcuni interni che temono la sua scalata.

La premier sul manager stimato per prima da Beppe Grillo ha invece sensazioni diverse. E non è la sola: Cingolani ha in effetti mallevadori influenti come Claudio Descalzi, oggi uno dei consiglieri prediletti di Meloni: l’ad dell’Eni, l’unico timoniere su cui tutti sono sicuri della riconferma, con Cingolani ha stretto un eccellente rapporto personale durante la crisi del gas scoppiata sotto il governo Draghi. Entrambi laureati in fisica, uno di idee conservatrici («Descalzi si trova bene con Meloni perché è più di destra di lei», ironizzano da Eni) e l’altro spostato verso sinistra, hanno lavorato spalla a spalla sulla differenziazione energetica imposta dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Descalzi ora crede che il guru specializzato in fisica e ambiente possa far bene anche come amministratore delegato della multinazionale delle armi.

Il niet di Crosetto

Come è noto però, l’ipotesi non piace affatto a un altro pezzo grosso del governo. Cioè al ministro della Difesa Guido Crosetto, co-fondatore di Fratelli d’Italia che sul dossier Leonardo sta disputando un braccio di ferro con Meloni, dagli esiti pericolosi.

Crosetto non è per carattere uno yes-man, e ha già detto alla premier che considera Cingolani un bravo teorico, ma mai un manager “di prodotto”, né un esperto di finanza come è stato il banchiere Profumo, che infatti lascia conti affatto negativi.

Per questo spinge per soluzioni meno azzardate, come quella del dirigente interno Lorenzo Mariani, suo unico candidato. Una vita in Leonardo, oggi Mariani è a capo di Mbda Italia, parte del consorzio europeo che progetta missili e tecnologie per la difesa. Un profilo che piace molto anche a Simone Guerini, ex Leonardo e attualmente consigliere del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quest’ultimo, ricordiamolo, è anche capo delle forze armate, e al Quirinale – pur volendo lasciare autonomia assoluta al governo – sperano che Meloni sulle nomine dei nuovi vertici di Leonardo (per la cronaca Luciano Carta è l’unico tra i presidenti delle “big five” a potersi rigiocarsi una riconferma, benvista per esempio da Matteo Salvini) abbia la cortesia istituzionale di aprire un confronto di vedute. Secondo voci diffuse tra le stanze di Palazzo Chigi, però, nonostante le proteste di Crosetto il presidente del Consiglio continua a spingere su Cingolani, senza se e senza ma. Non solo per rispettare i patti con il manager. Ma perché sarebbe «preoccupata che una promozione di Mariani possa creare in futuro qualche imbarazzo al governo sulla stampa». Come mai? «Pare che sia stato Mariani a firmare alcuni contratti di consulenza a Crosetto. Proprio voi di Domani avete raccontato che Guido quando era presidente di Aiad ha incassato da Leonardo centinaia di migliaia di euro l’anno».

In realtà, risulta che le consulenze date al ministro vengano direttamente dall’ad Profumo e dalla capogruppo, e che il consorzio missilistico di Mariani non abbia mai fatto contratti all’allora lobbista del comparto. «È una voce maligna messa in giro per fregare Crosetto e il suo candidato» dicono all’unisono due importati generali dell’esercito e dell’aeronautica che non si fidano di «un divulgatore scientifico come Cingolani», e che sperano che il nuovo timoniere «chiunque sia» li tenga in maggior considerazione «di quanto fatto da Profumo negli ultimi sei anni».

Le opzioni dei leghisti

A poche settimane dalla consegna delle liste dei nuovi cda, l’impasse tra Meloni e Crosetto non si è ancora sciolta. Se la premier andrà dritta per la propria strada, i rapporti politici tra «il gigante e la bambina» potrebbero complicarsi non poco. Regola non scritta è che i vertici di Leonardo dovrebbero infatti avere buona sintonia con il ministro della Difesa, anche perché il dicastero investe miliardi nel business dell’aerospazio e della sicurezza e ha un peso fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Oltre l’86 per cento del fatturato del colosso dipende da contratti firmati con palazzo Baracchini e i governi esteri (leggi: i ministri della Difesa degli altri paesi, colleghi di Crosetto), per non parlare del piano di sviluppo tecnologico a supporto delle esigenze operative delle forze armate italiane. «Se Meloni forza la mano e nomina un ad che il suo ministro dice di non gradire, si accolla un bell’azzardo sulla testa di una delle più importanti aziende del paese. A meno che Crosetto, sconfitto, non decida di andare via», dice preoccupato uno dei dioscuri che si sta occupando della partita delle nomine per Fratelli d’Italia.

La dialettica tra premier e ministro (che a Cingolani preferirebbe anche Donnarumma già promesso all’Enel) continua. Qualcuno crede che alla fine tra i due litiganti potrebbe uscire vincente un terzo candidato, soprattutto se Matteo Salvini riuscisse a spuntarla e dovesse indicare lui l’ad di Leonardo, con Eni, Enel e Poste appannaggio a FdI e Terna destinata a Forza Italia.

Sui giornali si è già fatto il nome di Gianpiero Cutillo, capo della direzione elicotteri, ma dentro il Carroccio si segnala che il primo fan del manager è il ministro Giancarlo Giorgetti, e che per rivalità interne al partito sarebbe complicato per Salvini benedirne l’ascesa. Il capitano e il suo braccio destro Andrea Paganella, pare, non disdegnerebbero la promozione di Giuseppe Giordo, ex Fincantieri finito un anno fa fuori dall’azienda cantieristica dopo il cosiddetto Colombia-gate, di cui è stato protagonista assoluto Massimo D’Alema. Le presunte responsabilità di Giordo, in merito al tentativo da parte di una cordata di negoziatori di vendere al governo di Bogotà aerei di Leonardo e navi prodotte da Fincantieri, non sono però mai state dimostrate. E da tempo l’ex direttore generale aspetta una riabilitazione che il governo di destra potrebbe restituirgli.

2. continua

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