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Il terzo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023). Prime glosse intorno a un testo – Sicurezza e Giustizia

di Vittorio Capuzza

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Dal 1° aprile scorso è in vigore il terzo Codice dei contratti pubblici, che segna il quarto intervento poderoso in materia se si considera per le opere pubbliche quanto disciplinò la Legge n. 109 del 1994 (cd. Legge Merloni). Per il Decreto Legislativo 31 marzo 2023, n. 36 l’esigenza è sorta da almeno una duplice spinta: quella, nella post-pandemia, della necessità di una veloce ripresa economica, garantita a sistema dal PNRR, e la pari urgenza di ricomporre il quadro normativo in tema di appalti e concessioni, ormai stratificato e frammentato in leggi, “leggine” e provvedimenti (amministrativi e giurisprudenziali) postulati da norme per lo più scritte in modo non chiaro, talvolta finanche sintatticamente. Il terzo Codice deve rispondere a queste sfide, fra le quali va inserita anche una certa dose di rigidità nel frattempo iniettata nella struttura del Codice del 2016 (che rimane in vigore fino al 30 giugno 2023), nato più che per servire alla concorrenzialità, a prevenire in assoluto la corruzione, indebolendo (o non rafforzando) in un certo senso la fase di controlli col potenziamento in astratto delle procedure, delle condizioni, dei requisiti e soprattutto dei divieti.

Questo Codice sembra esserci riuscito, almeno nella partenza: poi, come afferma lo stesso Consiglio di Stato (nel cui ambito ha lavorato una Commissione speciale, implementata da esperti esterni), «Tutte le riforme iniziano ‘dopo’ la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e si realizzano soltanto se le norme sono effettivamente attuate ‘in concreto’», (Relazione illustrativa del Consiglio di Stato, p. 9). La struttura della riforma si presenta con la veste della certezza che segue a un riordino: oltre al Codice, finalmente numerosi e articolati Allegati che garantiscono l’auto-esecutività delle norme; rimane, ovviamente, valida l’eterointegrazione della fonte (ad es. normativa antimafia, legislazione sulla sicurezza nei cantieri e nei luoghi di lavoro, disciplina del diritto del lavoro, con la relativa giurisprudenza intanto fiorita intorno ai relativi singoli, innumerevoli istituti).

Nel terzo Codice alcune previsioni probabilmente saranno nel tempo oggetto di modifiche, aggiornamenti, precisazioni. Si pensi, ad esempio, alla complessità della disciplina delle cause escludenti che non è facilitata dall’attuale collocazione in 5 articoli – dall’art. 94 all’art. 98 – delle variegate ipotesi, strutturate anche su tecnica di rinvio: le false dichiarazioni in gara sono, infatti, nel comma 15 dell’art. 96 e non fra le ipotesi dell’art. 94, comma 5; oppure, si consideri l’attuale previsione nella quale s’è intervenuti ‘a metà’ in sede d’approvazione del Codice e che compare nel comma 14 dell’art. 222: l’A.N.AC. nell’attività sanzionatoria (che resta) vedrà il 50% delle somme incassate rimanere nel proprio bilancio per servire alle attività istituzionali; così si rischia di perdere astrattamente la terzietà che la stessa normativa, ormai decennale, dell’anticorruzione vuole garantire a partire dall’immagine di imparzialità.

In divers’altri ambiti il nuovo Codice, invece, mostra il proprio volto efficace e riordinante: la semplificazione non è ottenuta con automatismi e vincoli all’azione amministrativa, bensì con un aumento di discrezionalità delle stazioni appaltanti, il numero delle quali, d’altro canto, sarà presto da ridurre – secondo gli intendimenti della legge delega, già presenti nel D.Lgs. n. 50/2016 – mediante una selettiva riqualificazione (sulla quale s’è già espressa l’A.N.AC. con la Delibera, ante Codicem, n. 441 del 28 settembre 2022). La discrezionalità, a differenza di quanto accadde con la Legge Merloni che scelse gli automatismi, si espande nel quadro legale, si sviluppa nella possibilità di uscire dalla rigidità delle forme e consentire scelte concrete e ‘di sartoria’, emerge fino a stringersi a doppio laccio con l’individuazione della regola del caso concreto (art. 1, comma 4) e rimanendo sorretta dal novello principio del risultato, con l’affermazione del quale s’apre il terzo Codice dei contratti pubblici. Allora, la concorrenzialità, la trasparenza la legalità, il miglior rapporto qualità/prezzo sono sì beni, ma beni strumentali: non costituiscono ex se il bene della vita, come invece lo sono l’affidamento del contratto e soprattutto la sua esecuzione (principio del risultato, per l’appunto: art. 1, comma 1). Qui si cristallizza un’ottica, o meglio, un punto di fuga prospettico: la fase della prestazione contrattuale, a cui tutto tende, sin dalla programmazione. La gara ad evidenza pubblica, sulla quale si concentrano i massimi sforzi e la gran parte dell’attenzione di chi scrive le norme e di chi è chiamato ad attuarle, invero è unicamente una fase prodromica, servente a quello che più conta, cioè l’esecuzione. Non è un caso, allora, che tra i principi – i quali rappresentano la più importante novità del Codice – venga espresso quella della conservazione dell’equilibrio contrattuale (art. 9), dal quale traggono origine istituti particolari già positivizzati in passato come, ad esempio, la revisione prezzi (art.60). Eppure, lo stesso Consiglio di Stato nella Relazione illustrativa sembrava aver posto anch’esso maggiore attenzione alla fase della gara, quando aveva affermato in premessa che nel Codice s’è tentato di scrivere il racconto di una storia «delle procedure di gara, accompagnando amministrazione e operatori economici», (p. 8); invece, in apertura di quella ‘narrazione’ che è il Codice stesso e nonostante gli artefici del testo siano giudizi amministrativi (e non della giurisdizione ordinaria), i principi sono ottimamente orientati tutti alla fase esecutiva del contratto, per arrivare alla quale vigono regole strumentali a interessi molteplici, quali sono: la digitalizzazione, ampiamente utilizzata per un incisivo contrasto alla corruzione; la trasparenza e la concorrenzialità; la tutela dei lavoratori (attenzione maggiore ai CCNL, clausola sociale art. 57) e delle imprese (divisione in lotti – art. 58; accelerazione dei tempi di affidamento, d’esecuzione e dei pagamenti).

Leggendo la Parte I del Libro I si entra in questo edificio alto e profondo, e ci si ambienta assumendone da subito la struttura complessa ma unitaria, le dimensioni, le possibili angolature; i principi, infatti, non sono frammenti di norme: quest’ultime sono, invece, frammenti di principi, in quanto ne positivizzano la natura, l’intensità e il fine in uno spazio geometrico definito, limitato dalla stessa portata della norma.

Fra questi fondamenti delle regole dell’agire, non tutte, dunque, scritte nel Codice ma rimesse anche all’auto-regolamentazione delle stazioni appaltanti (si pensi, ad esempio, al principio di auto-organizzazione amministrativa, art. 7, comma 1), appare in apertura del Codice il principio della fiducia, che sembra ribaltare la visuale finora avuta dal Decreto del 2016: non più la trasparenza come bene finale (il D.Lgs. n. 50/2016 pone solo all’art. 30 l’elenco dei principi e li apre proprio con quello della trasparenza), bensì l’assunzione a fondamento dell’esercizio del potere in materia di contratti pubblici la reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dei soggetti che operano in materia, sia amministrazioni che imprese (art. 2, comma 1). Non si tratta, allora, di una velatura a favore dell’illiceità, tutt’al contrario è uno spostamento dell’asse verso la valorizzazione dei controlli (amministrativi e non), sul presupposto di una tale attendibilità. Tanto che il comma 4 dell’art. 2 detta una chiara misura di promozione della fiducia: le stazioni appaltanti adottano la copertura assicurativa dei rischi per il personale. Suona un po’ come ossimoro il principio della fiducia se letto con il ruolo riconfermato per l’A.N.AC., strutturato soprattutto sui compiti di vigilanza e sanzionatori; tale ossimoro potrà risolversi spostando l’accento dalla vigilanza/violazioni/sanzioni (pur importanti, ovviamente) al supporto garantito dal rinnovato ruolo della Cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio (art. 221): da essa ciascuna amministrazione trae «indicazioni e spunti per la propria attività», anche attraverso un costituendo ‘sportello unico di supporto tecnico’, alimentato e gestito dalla Cabina in collaborazione con il Ministero delle Infrastrutture e la stessa A.N.AC.

Dal combinato dei due principi (risultato e fiducia) scaturiscono norme e istituti nel D.Lgs. n. 36/2023: si pensi alla riduzione semplificatoria delle fasi di progettazione per le opere pubbliche (scompare il livello di progettazione definitiva: art. 41); allo snellimento degli affidamenti in house (art. 7); alla reintroduzione sistemica (e non più pro tempore) dell’appalto integrato (art. 44); all’aumento fino a tutto il sotto-soglia anche per i lavori, degli importi sotto i quali è possibile ricorrere alla procedura negoziata (pur sempre un’evidenza pubblica, ma con caratteri di maggiore celerità: art. 50, che incorpora a regime la normazione emergenziale prevista dal D.L. n. 76/2020, art. 1, comma 2, lettere a) e b), come modificate dal D.L. n. 77/2021) e la conseguente, possibile deroga della garanzia provvisoria (art. 53, comma 1 ) per le ipotesi diverse dall’affidamento diretto; all’introduzione del subappalto ‘a cascata’ come regola generale, derogata solo dalle singole ipotesi espresse nell’art. 119, comma 17 da indicarsi tassativamente nella documentazione di gara.

Un’ultima considerazione. Una delle cause d’incertezza del quadro normativo in materia di contratti pubblici – oltre alla complessità tecnica della materia, all’aumento degli interventi legislativi in risposta all’incremento sempre maggiore delle esigenze, all’interpretazione giurisprudenziale – è senza dubbio la crisi operata dai fenomeni legati al modo col quale si è legiferato: l’eccessivo ricorso ai Decreti-legge; il carattere inorganico delle modifiche esterne mediante la cd. legislazione incrementale e interne mediante rinvii smisurati e infiniti; imperfezioni o addirittura errori nel modo di scrivere quelle norme. Le amministrazioni, in questo scenario sono spesso costrette a spendere energie e tempo per individuare la portata della norma d’applicare, spostando una considerevole percentuale della propria attività dal risultato alla ricerca legale della disciplina applicabile. Ecco, dunque, l’importanza di avere un Codice dei contratti pubblici che, richiamando l’attenzione sul vero ‘bene della vita’, fissa la barra del timore verso il risultato (id est: l’esecuzione del contratto). Occorreva, pertanto, rivedere ancora una volta il sistema normativo degli appalti e delle concessioni, non promettendo soluzioni veloci (come fu nel 2016 la scelta di un certo tipo di soft law), ma riportando a sistema logico, giuridico e sintattico la voce della legge. In questo caso, per la genesi del terzo Codice, stupisce con gran piacere che nella Relazione illustrativa fra gli esperti tecnici compaia anche un Accademico della Crusca: la Commissione speciale è stata così arricchita da «apporti di saperi non giuridici» (p. 7), ammettendo –  la vita pratica del diritto –  quella forza affascinante e intensa della poliedricità, sempre univoca, dei saperi che talvolta una parte della dottrina, imponente nel silenzio come Achille nella sua tenda, non intende riconoscere. Quel lavoro di sistemazione concettuale e linguistica appare chiaramente, con i possibili limiti che la sintassi assume quando deve esser costretta nella struttura espressiva dei commi; si pensi, come significativo esempio di un riordino tematico, al tentativo di raccogliere dalle molteplici controversie sorte intorno al concetto di “grave illecito professionale” un quadro positivo che le stazioni appaltanti hanno ora a disposizione negli artt. 95, comma 1 lett. e) e soprattutto nell’art. 98, comma 2 (gli elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale sono nel comma 3; l’idoneità del grave illecito a incidere sull’affidabilità è ricavabile dal comma 4; i mezzi di prova sono nel comma 6). Oppure, si faccia riferimento all’art. 101 dedicato esclusivamente al soccorso istruttorio e alle ipotesi di sua ammissibilità; all’art. 97 che raccoglie le ipotesi escludenti previste (non interpretate) solo per i Raggruppamenti Temporanei d’Impresa (a valle delle Adunanze Plenarie del 27 maggio 2021, n. 10 e del 5 gennaio 2022, n. 2); l’art. 93 che per la Commissione giudicatrice ha, fra l’altro, reso certa la normativa applicabile circa il conflitto d’interessi (non più il richiamo all’art. 51 c.p.c., ma all’art. 7 del d.P.R. n. 62/2013).

Questo terzo Codice bisognerà vederlo alla prova, osservarlo nell’applicazione quotidiana, vedere se da esso possano diramarsi (e in che frequenza) proiezioni nelle ribalte dei tribunali, nei quali fra riti e formule le norme in materia di appalti e concessioni escono limate, lucidate o addirittura cavate fuori da norme imperfette che vorrebbero perciò apparire, senza averne la natura, come princìpi. Oggi i princìpi in materia sono nati. Attendiamo la loro voce nei singoli casi a cura delle amministrazioni, prima di sentire quella dei giudici che, lasciato lo scrittoio, ora s’accingono a risalire lo scranno.

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