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Gli scricchiolii dell’impero americano

(Andrea Zhok) – La Silicon Valley Bank è fallita. Se si trattasse di un episodio accidentale di mala gestione potrebbe essere un fatto secondario.

Tuttavia, come segnalato da molti analisti, questo fallimento dipende in modo critico dall’inasprimento della linea monetaria promosso dalla FED per rispondere all’inflazione (esogena).

L’inflazione statunitense non è tanto dovuta all’aumento dei costi delle materie prime (come avviene in Europa), quanto ad un processo mondiale generale di vendita degli asset in dollari (ad una ridotta domanda di dollari corrisponde un minor valore della moneta, che si traduce in inflazione).

Questo processo ha evidenti motivazioni geopolitiche e rende esplicita la riconduzione dell’egemonia americana ai suoi limiti “naturali” post-1945: gli asset in dollari vengono ceduti da quei paesi che, sulla scorta della guerra in Ucraina, hanno percepito l’occasione di disfarsi della onerosa tutela americana.

Un passo estremamente importante nella stessa direzione si può vedere nella strategia di normalizzazione dei rapporti, promossa dalla mediazione cinese, tra Iran e Arabia Saudita (cioè tra il maggior governo sciita e il maggior governo sunnita). Il successo diplomatico esprime il nuovo ruolo della Cina rispetto al vasto mondo islamico.

Tutto lascia pensare che questo movimento sia semplicemente ai suoi inizi.

Ricordiamo che il ruolo del dollaro come valuta rifugio era finora anche la principale ragione tranquillizzante per gli USA rispetto alla traiettoria del loro debito pubblico. Gli USA hanno infatti raggiunto il loro massimo debitorio nella storia (125% del PIL) con un rapporto deficit/Pil che si attesta quasi al 16%. Finché il dollaro è una valuta rifugio, i titoli del tesoro americano hanno acquirenti garantiti, ma quanto meno si presenta tale ruolo dominante, tanto più è facile che gli acquisti di titoli si riducano.

Il problema all’orizzonte non è, naturalmente, un possibile “default” del debito americano, bensì un’operazione “restrittiva” sulle spese interne (data per certa) e operazioni di dismissione e liquidazione di asset esteri. In sostanza, arrivati a questo punto, per non smentire la propria politica tradizionale, gli USA potrebbero finire per alimentare una grande contrazione economica, che per le aree del mondo più legate agli USA si configura come una forte pressione recessiva.

Come abbiamo già visto nella crisi del 2008, gli scricchiolii dell’impero americano possono facilmente finire per scaricarsi senza mediazione sugli “alleati” (meglio sarebbe chiamarli “ammortizzatori”) europei.

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