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Fabrizio Raccis:

Era l’aprile del 1849 quando Edgar Allan Poe smise di bere grandi quantità di alcol e fare uso di oppio. Voleva disintossicarsi una volta per tutte e sposare Sarah Royster, suo grande amore di gioventù. Sei mesi dopo, però, il celebre poeta statunitense muore improvvisamente, in seguito a una breve malattia di origine incerta.

Poco prima del decesso, nell’ottobre dello stesso anno, viene portato all’ospedale Washington College, delirante, mai abbastanza lucido per spiegare come si fosse trovato in quelle condizioni, né per quale motivo indossasse vestiti che non erano i suoi. Si dice che il poeta abbia ripetutamente invocato il nome “Reynolds” durante la notte precedente al suo decesso, benché non sia chiaro a chi si riferisse.

Ancora oggi la sua morte resta un mistero. Sono tantissimi i critici che nel corso degli anni hanno provato a trovare la vera causa della scomparsa del poeta americano. Tra questi c’è anche l’autore cagliaritano Fabrizio Raccis, classe 1983, che da dieci anni si occupa del caso irrisolto di cui ha scritto approfonditamente in “Edgar Allan Poe: il mistero della morte” (Catartica Edizioni, 2021).

Da dieci anni porti avanti la tua ricerca sulla morte di Edgar Allan Poe, ancora piena di interrogativi. Cosa ti ha spinto a indagare sul fatto?

Si è un lavoro che ho cominciato tra i banchi del liceo, Edgar Allan Poe è stato uno dei primi amori letterari. L’insegnate di lettere dell’epoca, Alessandro Pane Bianco, aveva un modo tutto suo di raccontarci questo grande autore, mi ricordo in particolare le sue letture emozionali di brani macabri come “Il pozzo e il pendolo” o “Il cuore rivelatore”. Sono tutte cose che mi hanno spinto a non fermarmi all’apparenza. Non riuscivo a capire come uno scrittore sotto effetto di stupefacenti e droghe potesse scrivere dei racconti così straordinari, per non parlare delle poesie, aveva uno stile davvero delicato ma allo stesso tempo molto profondo.

Con le mie ricerche ho capito che gran parte di quello che era stato scritto su di lui era una grande menzogna. Che dire della sua morte? Fin da subito ha catturato il mio interesse perché rispecchiava l’orrore e il mistero dei suoi mitici racconti, non dimentichiamo che Edgar Poe è ritenuto il padre della narrativa gotica e del giallo psicologico, a lui si sono ispirati altri grandi della letteratura come Arthur Conan Doyle, Agatha Christie, e il moderno Stephen King. Una sera decisi di fare luce dentro questo intrigante enigma e cominciai a studiare tutte le sue opere, i saggi e le lettere che sono state raccolte in diverse pubblicazioni in Italia, mi sono interessato a tutta la sua vita.

Hai collaborato con il Baltimora Edgar Allan Poe Society. Come ti sei trovato? Che differenze hai riscontrato nell’approccio allo studio della letteratura rispetto all’Italia?

Con il Baltimora Society ho collaborato dal 2011 fino alla stesura finale del mio libro. Sono stati molto disponibili, anche se all’inizio erano un po’ diffidenti, hanno un immenso archivio in lingua originale dei carteggi che riguardano Edgar Allan Poe. Per la mia indagine ho dovuto esaminare e tradurre tantissime lettere, il necrologio diffamatorio. Questo perché dopo aver letto e catalogato i libri pubblicati in Italia sono andato alla radice cercando di leggere in prima persona queste carte. Ho tradotto gli ultimi due manoscritti incompleti che sono quasi introvabili e li ho inseriti nel mio libro. Ho letto tutte le sue biografie storiche straniere. Avevo scoperto che già dopo il 1849, dopo la sua morte, diverse persone avevano cominciato a creare delle false lettere riguardanti Poe, perché si era creato un vero e proprio mercato: lo scrittore era sulla bocca di tutti e giravano tanti pettegolezzi sul suo conto, in tanti erano disposti ad avere tutti i carteggi senza badare a spese, questo ha contribuito alle calunnie sul suo conto. Pensate ad un particolare grottesco, anche il suo corpo, durante un incidente dovuto allo spostamento della sua salma, era stato depredato e parte dei suoi macabri resti erano stati venduti all’asta a personaggi di spicco del periodo.

Dopo aver contattato il Baltimora Society, ho conosciuto virtualmente Jeff Jerome, uno dei massimi esperti americani, curatore emerito dell’Edgar Allan Poe House Museum di Baltimora, che mi ha svelato davvero tante curiosità sulla vita di Poe. Poi sono entrato in contatto con Alina Bryce, una insegnante della Boston University, che insieme ad una studentessa mi ha supportato nella mia ricerca. È stato davvero grandioso, non nego anche difficile a causa della lingua, ma ci siamo confrontati. Sono riuscito a fare un quadro preciso su quello che rappresenta Edgar Poe negli Usa, di come è considerato, di quello che pensano di lui qui in Europa a causa di tutto quello che è stato scritto dai giornali e dalla critica. A 170 anni dalla sua scomparsa, ho voluto riportarne il quadro preciso nel mio libro.

Soltanto qualche giorno fa ti sei scontrato con una “dimenticanza” nei confronti del tuo lavoro da parte del TG2 che ha presentato il caso facendo riferimento alla recente pubblicazione di un autore statunitense. Come l’hai presa?

In realtà il servizio era davvero ben strutturato ma, intanto si è parlato di un libro, “A Mystery of Mysteries: The Death and Life of Edgar Allan Poe”, pubblicato nel febbraio 2023 dal giornalista Mark Dawidziak che ancora non è disponibile qui in Italia, chissà se prima o poi lo sarà. Inoltre, una delle teorie sulla morte di Poe che è stata citata, quella del “cooping” – dall’inglese “to coop”, ovvero “mettere in gabbia” -, una pratica di voto coercitiva del 1800 dove al povero mal capitato venivano fatti tracannare alcolici e droghe per essere trascinato nei vari seggi a rotazione, è superata. Hanno ipotizzato che Poe sia morto a causa di un cocktail letale di droga e alcol, ma questa teoria è stata più volte smentita dallo studio del 1996 del dottor Michael Benitez, un famoso cardiologo del Maryland Medical Journal. Il medico ha confermato in base agli esami fatti sui resti, che almeno 6 mesi prima, il nostro caro Poe si era astenuto dal bere alcolici e dall’utilizzo di droghe.

In effetti, visto l’intento di parlare di questo grande scrittore, e della sua morte misteriosa, mi ha abbastanza deluso il fatto che non ci sia stata nessuna ricerca generale su quello che è stato pubblicato in Italia negli ultimi anni, basta pensare al fatto che nel mio libro “Edgar Allan Poe. Il mistero della morte” (Catartica Edizioni, 202) sono contenuti degli studi moderni che di fatto hanno anticipato di quasi due anni il libro del giornalista americano ed esaminano tutte le possibili ipotesi di morte formulate fino ad oggi. Come se non bastasse, qualche anno fa è stata pubblicata dalla giornalista Teresa Campi una bellissima biografia dal titolo “La vera storia di Edgar Allan Poe” (Odoya edizioni, 2020). Stiamo parlando della prima biografia italiana su Poe che finalmente ripulisce lo scrittore bostoniano da molte dicerie sul suo conto. Questo basta e avanza per far storcere il naso ai tanti appassionati italiani che mi hanno contattato recentemente per segnalarmi il servizio Rai del TG2.

Sei cresciuto nel quartiere Castello di Cagliari, che alla sera potrebbe rassomigliare a una delle ambientazioni di Poe. Quali sono a tuo avviso i tratti della città che potrebbero rientrare in un “racconto del mistero”?

Cagliari è ricca di luoghi, storie e personaggi misteriosi, da bambino adoravo girovagare fino a tarda sera per gli stretti viottoli di Castello. Amavo addentrarmi nelle case abbandonate del quartiere, nelle cisterne, nei cortili e nelle tombe antiche, tra i cunicoli, luoghi intrisi di mistero che forse mi hanno avvicinato alle tematiche di questo indimenticabile autore. Mi ricordo la storia di un marchese che in antichità venne condannato alla decapitazione pubblica nel quartiere di Castello, alcuni affermano che durante la notte si possono sentire ancora le urla strazianti di questo marchese che grida aiuto, che reclama la sua testa come una sorta di Sleepy Hollow in salsa sarda. È un qualcosa che fa davvero rabbrividire.

La tua generazione di scrittori ha dovuto fare un passaggio importante dalla carta al web. Cosa c’è da prendere per buono e cosa invece non ti piace?

Io personalmente ho sempre preferito la carta, mi ha permesso più volte di affinare la tecnica della scrittura. La disciplina dello scrivere a mano credo sia un’esperienza importante per la vita di uno scrittore. Avevo acquistato anche una vecchia macchina da scrivere, è stata una bella esperienza, ma risultava veramente scomodo modificare i testi una volta battuti. Ero abituato a fare una prima stesura scrivendo a mano i miei manoscritti e poi ribattevo i testi sul pc, in questo modo rileggevo attentamente i testi e riuscivo ad ampliare i concetti dietro un’altra ottica. Con il tempo ho cambiato di nuovo questo metodo, scrivo i miei testi direttamente al pc, poi stampo e correggo i testi sulla carta. Oggi viviamo tutto molto più velocemente, un po’ mi spaventa, ma abbiamo tecnologie che ci permettono di avere una correzione istantanea ed è diventato tutto molto più veloce.

Tra l’altro da poco hai raccontato sui tuoi social di un “inghippo” che hai avuto con Wikipedia. Cos’è successo?

Mi fa sorridere questa domanda, diciamo che ho avuto una brutta esperienza con chi gestisce Wikipedia. Avevo un account, ho fatto molte donazioni per sostenere il progetto, per diversi anni ho arricchito questa “pseudo enciclopedia” di contenuti che ritenevo interessanti ed enciclopedici secondo i criteri. Ho anche contribuito alle voci di alcuni classici della letteratura. Poi il mio nome è apparso su alcune discussioni e sono stato chiamato in causa, alla fine ho scoperto che questi amministratori di Wikipedia hanno delle regole tutte loro che interpretano in ogni occasione. Alla fine è sempre lo stesso gruppo “ristretto” a decidere cosa deve essere inserito e cosa no, senza alcuna neutralità, ma in base alle loro scelte personali. Questo mi ha disgustato, ho provato a parlarci civilmente ma sono stato bannato e il mio account è stato eliminato senza nessun motivo.

Sei da sempre molto critico rispetto all’ambiente letterario che “corrompe” in qualche modo l’artista. Ci spieghi meglio? Cosa pensi invece delle auto pubblicazioni sempre più in voga su Amazon?

Il commercio contribuisce a questa corruzione, l’omologazione. Personalmente, fin da ragazzino ho avuto diverse difficoltà nell’ambiente letterario, non posso negarlo, sono figlio di operai e molte volte mi sono scontrato contro critici o salotti letterari, gruppi di cultura che pensavano non fossi all’altezza. Eppure sono stato ospitato a diversi Festival letterari importanti, ho vinto alcuni premi letterari, ho presentato i miei libri in tutta Italia, non ho mai fatto nessun compromesso, ho sempre lavorato duro per raggiungere l’obbiettivo stringendo i denti senza avere nessun favoritismo. Tutto quello che ho avuto, me lo sono sudato. Ho pubblicato il mio primo libro di poesia che avevo poco più di vent’anni, nel 2005, non ho mai pagato un centesimo per la pubblicazione dei miei libri che oggi ammontano ad una decina tra poesia, narrativa e saggistica.

Le auto pubblicazioni posso essere utili all’inizio, è giusto trovare ogni stratagemma per farsi conoscere dai lettori, come creare una propria comunità letteraria, ad esempio attraverso i social, su Instagram ho raccolto quasi 10.000 follower. Abbiamo tra le mani un grande strumento ma bisogna saperlo usare. Io penso che un buon editore non a pagamento contribuisce a dare un grande valore e riconoscimento al proprio libro una volta pubblicato per distribuirlo a livello mondiale. Credo sia la cosa più importante per un libro.

Hai scritto oltre 700 componimenti poetici. Sono un bel po’. Li hai riletti e rivisti tutti?

Dal 2005 al 2023 ho pubblicato cinque libri di poesia che raccolgono circa cinquecento testi differenti, altri sono stati pubblicati in antologie o blog, altri in riviste, ogni volta che leggo un vecchio testo mi viene voglia di riscriverlo sotto una diversa forma. È più forte di me, una sorta di deformazione professionale. Quest’anno ho in lavorazione un’altra raccolta ispirata all’Odissea, poesie d’amore che ripercorrono la storia di Ulisse e Penelope. Ogni raccolta di poesia che ho scritto ha un tema centrale. Non mi sono mai limitato a creare delle semplici antologie poetiche, ho preferito raccontare in versi delle storie che riflettono anche la mia vita. Raramente ho preso una pausa dalla scrittura, il mio cervello è sempre in elaborazione continua, per me scrivere è come respirare, mi aiuta ad alleviare i malesseri della vita. Scrivo, leggo e rileggo continuamente. Ma non è tutto, mi interesso anche ai libri di grandi autori, agli esordienti, sui miei canali social contribuisco a diffondere anche i libri degli altri con video e recensioni, forse mi trovo più a mio agio a parlare di loro.

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