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European Focus 26. L’Europa arcobaleno

L’iniziativa di Domani, Libération, Tagesspiegel, El Confidencial, Hvg, Gazeta Wyborcza, Delfi, Balkan Insight e n-ost vuole vitalizzare il dibattito pubblico e la democrazia europea. La ventiseiesima puntata è dedicata ai diritti lgbt e alle famiglie arcobaleno. La newsletter paneuropea esce ogni mercoledì ed è gratuita. Iscriviti qui

Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla ventiseiesima edizione dello European Focus!
Io sono Michał Kokot, il caporedattore di questa settimana, e scrivo da Varsavia.
Qualche giorno fa abbiamo festeggiato la giornata internazionale della visibilità transgender, che mira ad aumentare la consapevolezza della discriminazione che devono affrontare le persone transgender in tutto il mondo.
In questa edizione abbiamo deciso di dare uno sguardo alla situazione delle persone Lgbtq in diversi paesi europei. La conclusione: i diritti di questa comunità sono sempre più rispettati in Europa. Il paese più all’avanguardia è la Spagna. Qui se vuoi cambiare il tuo genere sulla carta d’identità, tutto ciò che devi fare è recarti a un ufficio del comune e attendere qualche mese.
Persino in Polonia, mentre i politici ancora stanno tentando di dividere la società bersagliando la comunità Lgbtq, la maggior parte della popolazione è favorevole a garantire ampi diritti alle minoranze sessuali.

I cambiamenti più repentini stanno avvenendo in Ucraina, dove la guerra spinge la gente ad assumere un atteggiamento molto più pragmatico. Gay e lesbiche combattono in prima linea, fianco a fianco con gli eterosessuali. Tutti si sentono dei soldati in piena regola.
Qui è d’amore che si parla, e l’amore non conosce piani B.
Buona lettura e buona Pasqua: torniamo con voi il 19 aprile.
Michał Kokot, caporedattore di questa settimana


La Polonia ha reagito all’omofobia di governo

VARSAVIA «L’ideologia gender e il movimento Lgbt minacciano la nostra identità, la nostra nazione, la sua continuità e, dunque, anche lo stato polacco». È quel che ha detto nel 2019 Jarosław Kaczyński, leader di Diritto e Giustizia (PiS), il partito populista di destra al governo in Polonia. Nel giugno del 2020, durante la campagna per le elezioni presidenziali, anche l’attuale presidente Andrzej Duda, che proviene dai ranghi di Pis e che si era ricandidato, si è fatto sentire sul tema: «Vogliono farci credere che Lgbt siano delle persone, invece Lgbt è un’ideologia». Questi sono solo alcuni esempi del linguaggio di odio e omofobia utilizzato dai principali esponenti politici durante le campagne per le elezioni parlamentari (2019) e presidenziali (2020). Elezioni che peraltro il Pis e Duda hanno vinto.

Ma va detto che tutto questo ha innescato una reazione. A seguire ci sono stati dei coming out di massa tra i giovani di tutto il paese, e non solo nelle grandi città liberali. Molti degli elettori del Pis si sono resi conto che non si trattava affatto di una “ideologia Lgbt”, ma dei loro figli e nipoti, gay, lesbiche, transgender, che affermavano la propria identità. Paradossalmente le campagne omofobe scatenate cinicamente solo per un tornaconto politico si sono rivelate un vero e proprio campanello d’allarme per molti polacchi.

Nel 2022 la Polonia ha visto salire a livelli record il supporto per la comunità Lgbt, almeno per quanto riguarda le unioni civili tra persone dello stesso sesso: il 64 per cento dei polacchi è favorevole. Sembra che i polacchi abbiano trovato un consenso sul tema, peccato manchi una spinta politica al cambiamento. Il partito al governo non accetterà di far passare una legge pro Lgbt. Ma persino i politici del Pis hanno dovuto prendere atto della trasformazione sociale. Non a caso la tematica della “ideologia Lgbt” è già scomparsa dalla loro agenda.

Le elezioni politiche in Polonia si terranno in autunno. I due principali partiti di opposizione, Piattaforma Civica e Polonia 2050, hanno annunciato l’introduzione delle unioni civili. Il terzo, Nuova Sinistra, è a favore dell’uguaglianza matrimoniale. Da queste elezioni dipende il fatto che le autorità polacche inizino finalmente a rispettare i diritti umani, o che la Polonia continui a somigliare alla Russia di Putin.

Wojciech Karpieszuk è un giornalista di Gazeta Wyborcza. Si occupa di temi sociali e Lgbtq. Aspetta l’uguaglianza matrimoniale in Polonia


Il numero della settimana – 4

MADRID – A partire dal marzo scorso, occorrono solo quattro mesi per cambiare legalmente il genere in Spagna. Il parlamento ha approvato una legge a tutela delle persone Lgbtq che mantiene la Spagna sulla rotta per diventare uno dei paesi più progressisti d’Europa per quanto riguarda le tematiche Lgbtq, almeno sulla carta.
In passato, una persona trans doveva ottenere una diagnosi di disforia di genere da un medico, per poi passare attraverso due anni di terapia ormonale.
Ora tutto ciò che si deve fare è informare l’anagrafe che volete cambiare genere, ritornare tre mesi dopo e attendere un altro mese. In questo modo viene evitato il processo di “patologizzazione” delle persone trans.
Alicia Alamillos è giornalista di El Confidencial


Se la guerra è catalizzatrice di diritti

Petro Zherukha

KIEV – Petro Zherukha ha modi riservati e si esprime con tono pacato, non è insomma l’uomo che normalmente vi aspettereste di vedere in uniforme militare. Fino all’anno scorso, Zherukha passava il proprio tempo partecipando a dibattiti in un club del libro, giocando a scacchi e, soprattutto, suonando, dal momento che stava studiando all’accademia musicale di Leopoli.
Ora è un volontario dell’esercito ucraino.
Il cambiamento che ha attraversato la vita di Petro non è dissimile a quello che hanno vissuto centinaia di migliaia di altri ucraini, se non fosse per un ulteriore dettaglio che caratterizza la sua specifica esperienza: è omosessuale, e in guerra ciò comporta delle complicazioni.
I problemi non sono di natura sociale: in molte interviste i soldati gay e le soldatesse lesbiche dell’Ucraina hanno dichiarato di non subire discriminazioni, né da parte dei propri commilitoni, né dei propri superiori. Al contrario, quando capita di incrociare persone con percorsi di vita differenti dai propri, ma che difendono proprio gli stessi valori, e che affrontano gli stessi rischi, tutto ciò cementa una lealtà reciproca.
I nodi diventano evidenti quando chi è omosessuale si sposta dal campo di battaglia al campo legislativo. In Ucraina solo i parenti possono far visita a una persona in terapia intensiva, identificare un corpo all’obitorio, o essere rappresentanti legali di un un defunto. Due gay possono vivere insieme per trent’anni, ma agli occhi della legge restano due estranei.
Petro intende cambiare tutto ciò. Vuole promuovere una nuova legge sulle unioni civili per le coppie dello stesso sesso, e che rappresenti un’alternativa più inclusiva a quel che il paese ha considerato finora come famiglia.
«Ora sono seduto su un sacco di zucchero in una casa sotto i bombardamenti», ha scritto Petro in un post in cui chiede di supportare la sua petizione per l’approvazione della legge. «La mia vita privata è in pausa, ma credo comunque che sia il momento giusto di approvare questa legge. Combatto per un’Ucraina senza discriminazione, in cui ognuno possa difendere le proprie relazioni».
Nel giro di cinque giorni la petizione ha raccolto 14 mila persone. Il parlamento dovrebbe discutere il progetto di legge in primavera. La legge resta indietro rispetto alle esperienze e alle mentalità delle persone, ma la società sta spingendo per un cambiamento.
Anton Semyzhenko gestisce la sezione in lingua inglese di Babel.ua


Non c’è arcobaleno in un’Italia orbanizzata

Foto Unsplash

ROMA – Dopo aver attaccato la libertà di informazione, il governo Meloni ha preso di mira le famiglie arcobaleno e ha preteso di disconoscere l’omogenitorialità. Il ministero dell’Interno italiano ha costretto il sindaco progressista di Milano, Beppe Sala, a fare retromarcia per quel che riguarda il riconoscimento delle famiglie arcobaleno, e ha ordinato di bloccare la registrazione quando si tratta di figli di coppie omosessuali.

Sala ha denunciato il caso in una conferenza stampa a Strasburgo, e inoltre decine di sindaci progressisti hanno espresso le loro rimostranze verso la decisione del governo. Si tratta di un ulteriore colpo allo stato di diritto in Italia, come ha sancito lo stesso Europarlamento in una risoluzione approvata la scorsa settimana.
A dicembre del 2021, la Corte europea di giustizia ha sentenziato che «un bambino (o nel caso in questione una bambina) al quale in un certificato di nascita rilasciato in uno stato membro siano stati riconosciuti genitori dello stesso sesso ha diritto a vedersi riconosciuto il documento di identità nello stato del quale è cittadino e deve poter esercitare la sua libertà di movimento nell’Ue con entrambi i suoi genitori».
Il caso, che si chiama “Stolichna obshtina, rayon Pancharevo”, ha ispirato la Commissione europea, che ha avanzato una proposta di regolamento secondo la quale «la genitorialità stabilita in uno stato membro dell’Ue deve essere riconosciuta anche in tutti gli altri stati membri».
Ma perché questa proposta sia approvata è necessaria l’unanimità di tutti i governi dell’Ue, e Meloni a quanto pare preferisce la “orbanizzazione” d’Italia e d’Europa.
Parliamo di “orbanizzazione” perché non è affatto peregrino individuare una tendenza: un anno fa, dopo la sua rielezione come premier in Ungheria, Viktor Orbán ha dichiarato che «il gender è il principale problema in Europa». Le sue leggi anti-lgbt sono ormai stranote.
Ma in verità Orbán stesso è stato ispirato da altri, o per essere precisi, dal partito ultraconservatore al governo in Polonia, il Pis: nel 2020, la campagna presidenziale di Andrzej Duda era stata tutta all’insegna della retorica omofoba anti lgbt.
Ora che Giorgia Meloni è al potere, sta usando a sua volta quelle tattiche, per coprire i suoi fallimenti o le sue inadeguatezze sotto una coltre di propaganda.
Francesca De Benedetti si occupa di Europa ed Esteri a Domani


Così in Ungheria l’omofobia è diventata la norma

«La propaganda anti-Lgbt continuerà finché il pubblico resterà in silenzio», dice András Léderer, capo dell’advocacy dell’Hungarian Helsinki Committee. Foto: Ivola Bazánth

BUDAPEST – András Léderer, capo dell’advocacy dell’Hungarian Helsinki Committee, si esprime su un recente attacco contro la comunità Lgbt in Ungheria.
«Ecco una buona notizia. Il parlamento dell’Uganda ha approvato una legge anti Lgbtq per cui i finocchi che si sposano verranno giustiziati»: András Bencsik, un giornalista ungherese di spicco che sostiene il governo, ha di recente fatto questo commento su uno dei canali televisivi ungheresi filogovernativi più seguiti.
In Ungheria la propaganda omofoba ha una lunga storia, ma come siamo arrivati a questo?
Le osservazioni di Bencsik sono solo le ultime in una serie di narrazioni coreografate e di attacchi legislativi contro la comunità Lgbt.
Tutto questo ha avuto inizio con una dichiarazione minacciosa da parte del primo ministro Viktor Orbán durante la giornata internazionale contro l’omofobia nel 2015, quando ha parlato di “noi, ungheresi” e di “loro, che hanno uno stile di vita diverso”.
I successivi sette anni hanno visto una guerra contro gli studi di genere, modifiche alla costituzione che hanno introdotto posizioni esclusioniste all’interno di leggi chiave, il divieto del riconoscimento giuridico del genere e del diritto delle coppie dello stesso sesso di adottare bambini, la ridefinizione della pedofilia come caratteristica della comunità Lgbt, il divieto di discutere e diffondere contenuti Lgbt tra i minori di 18 anni, nonché l’organizzazione di un referendum nazionale sul sostegno da parte degli elettori della promozione del cambiamento di sesso per i minori.
Quale scopo potrebbe avere la dichiarazione di Bencsik?
Bencsik sta mettendo alla prova il resto della macchina della propaganda di stato per sapere quanto lontano essa voglia spingersi negli attacchi dei diritti delle persone Lgbt.
Quali sono le conseguenze di una dichiarazione del genere?
Che Bencsik potrebbe riuscire ad allargare i limiti di ciò che è accettabile dire, dal momento che la propaganda dipende parzialmente dalla risposta del pubblico a dichiarazioni di questo tipo.
La normalizzazione dell’odio può avere luogo solamente se il resto della società rimane in silenzio.
In secondo luogo, ci sono persone che stanno iniziando a comprendere la propria identità e la direzione in cui vogliono orientare i propri sentimenti. Fa una grande differenza se sentono quelle affermazioni secondo cui le persone come loro meritano di essere giustiziate, e se non sentono nient’altro al di fuori di questo.
Boróka Parászka è una giornalista ed editorialista di HVG


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Al prossimo mercoledì! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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