european-focus-22.-donne-in-lotta

European Focus 22. Donne in lotta

L’iniziativa di Domani, Libération, Tagesspiegel, El Confidencial, Hvg, Gazeta Wyborcza, Delfi, Balkan Insight e n-ost vuole vitalizzare il dibattito pubblico e la democrazia europea. La ventiduesima puntata è dedicata a proteste e battaglie femministe e al femminile. La newsletter paneuropea esce ogni mercoledì ed è gratuita. Iscriviti qui

Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla ventiduesima edizione dello European Focus!

Sono Boróka Parászka, caporedattrice di questa settimana, e scrivo da Târgu Mureș.
«Se una è persa saremo tutte perdute»: è quello che gridano le donne romene mentre protestano contro il crescente numero di femminicidi nel paese. In quella frase disperata c’è una profonda presa di coscienza e una profonda paura.
La difesa dei diritti delle donne è connessa sia a livello nazionale che globale. Allo stesso modo lo è la violazione di quei diritti.

Se non c’è sicurezza sociale né giustizia nei cosiddetti paesi liberi e democratici, cosa possiamo aspettarci che succeda quando si scatena una guerra?
È questo il tema dei seguenti testi, che vanno di pari passo con la Settimana internazionale delle donne: in un’era di economie al collasso e stati sull’orlo del fallimento tutta la nostra speranza è riposta nella coscienza civica, nella responsabilità globale e in una sorellanza che non conosca confini.
Da Parigi a Tallinn, da Kiev a Madrid, la morale è sempre quella: che difendere i diritti delle donne significa difendere la società tutta.
Boróka Parászka, caporedattrice di questa settimana


Tamara ha perso un marito e trovato molte famiglie

 Tamara. Foto: Oleksandr Kuzmin.

KIEV – Tamara ha 34 anni, una figura delicata, un viso elegante e un sorriso luminoso. È sempre felice di farsi fotografare, adora parlare con suo figlio di sei anni delle diverse marche di automobili e colleziona abiti e accessori ucraini vintage.

Indossa ancora la fede, nonostante sia diventata vedova di recente, come migliaia di altre donne ucraine dopo un anno di guerra su vasta scala. Suo marito, Oleksii Yanin, era un campione mondiale di muay thai e un soldato del battaglione Azov dal 2014. Il reggimento ha difeso la linea di confine durante alcuni dei momenti più intensi della guerra finora, e lo scorso aprile i suoi soldati sono stati circondati dall’esercito russo a Mariupol.

Oleksii è morto lì. Tamara ha faticato molto nell’affrontare la sua morte. Non gli aveva nemmeno dato un bacio di addio alla stazione ferroviaria la mattina del 24 febbraio, quando l’aveva visto per l’ultima volta. «Tutto quello che faccio ora è per te, riguarda te ed è in nome della tua memoria», scrive lei nei messaggi per Oleksii che lui non leggerà mai. La sua gratitudine e il suo orgoglio sono diventati più forti del dolore.

Prendersi cura degli altri è quello che le dà forza adesso.

Un mese dopo la morte di Oleksii, ha iniziato a prendersi cura delle famiglie di altri soldati morti dell’Azov. Tamara le ha conosciute nelle chat dove i parenti si chiedevano come identificare i corpi e seppellire le spoglie.

Molte di queste donne vivevano nei territori ora occupati, e dunque non hanno solo perso i propri mariti o i propri figli, ma anche le proprie case, i propri averi e i propri mezzi di sussistenza.

Tamara ha iniziato a raccogliere vestiario, cibo, medicine, prodotti igienici e libri per le donne e i bambini sfollati a causa della guerra, e aiuta le famiglie a trovare lavoro e un posto dove poter stare. In una stanza che utilizza per conservare i beni e gli aiuti, le pareti sono ricoperte dai numeri di telefono delle vedove.

«Io voglio bene a tutte loro, in maniera incondizionata. Le capisco come nessun altro. Ed è così che ringrazio i loro mariti», dice Tamara. Ha abbandonato il proprio ruolo di moglie tradizionale e madre di un figlio in congedo di maternità, ed è diventata una “madre collettiva” che supporta le donne unite dal dolore e dalla perdita.

Oksana Rasulova si occupa di temi sociali per Babel.ua


Il numero della settimana: 30

TALLINN – Trenta su centouno dei seggi del parlamento estone saranno occupati da candidate donne in seguito alle elezioni parlamentari della scorsa settimana. Questo combacia con la rappresentanza media delle donne in Ue.
Nonostante la prima ministra al governo, Kaja Kallas, abbia ottenuto un risultato da record con 31.800 voti, solo tredici tra i trentasette seggi vinti dal suo Partito Riformatore saranno assegnati a donne.
Tuttavia, trenta deputate è il numero di donne più alto mai eletto al parlamento di Tallinn.
Il progresso verso l’uguaglianza di genere segue un sentiero lento e tortuoso, anche se questa volta sembrano esserci stati più appelli pubblici affinché l’elettorato scegliesse una candidata donna.
Holger Roonemaa è a capo del team investigativo di Delfi


Protesta femminista contro la riforma delle pensioni

Manifestazione contro l’aumento dell’età pensionabile; un collettivo femminista e un cartellone che recita: “turno doppio, pensione dimezzata”. Foto: Valerie Dubois / Hans Lucas

PARIGI – “Siamo forti, siamo fiere, siamo femministe, radicali e furiose”.
Nelle ultime settimane, questo classico inno di protesta femminista ha riecheggiato nelle manifestazioni contro la riforma pensionistica del governo.
Le donne rappresentano la prima linea del dissenso contro l’intenzione politica di innalzare l’età pensionabile legale dai 62 ai 64 anni; questa riforma aumenta il numero di anni attivi necessari per ottenere il massimo della pensione. E il punto è che saranno le donne a rimetterci di più.
In Francia, come altrove, la carriera delle donne viene spesso interrotta. Sono loro che si prendono una pausa dal lavoro per far nascere e crescere i figli. E ancora una volta, sono loro che tendono a lavorare part time per prendersi cura dei familiari anziani o malati. Inoltre, spesso è a loro – alle donne, a noi donne – che sono preclusi i ruoli di comando o le posizioni di responsabilità, in gran parte affidati agli uomini.
Le conseguenze di questa struttura di carriera sessista si vedono sul versante economico: in Francia, le donne guadagnano in media il 15,8 per cento in meno degli uomini.
La situazione peggiora addirittura una volta raggiunta l’età pensionabile: le pensioni delle donne sono più basse in media del 28 per cento di quelle degli uomini. La riforma pensionistica rischia di rafforzare queste disuguaglianze chiedendo alle donne di lavorare più a lungo. Persino il ministro incaricato per le Relazioni con il parlamento, Franck Riester, ha ammesso che «le donne sono alquanto penalizzate dalla posticipazione dell’età pensionabile legale».
Ci sono anche altri fattori rilevanti, come il mancato riconoscimento del carattere usurante di alcuni lavori, svolti prevalentemente dalle donne, che nega loro la possibilità di ottenere il pensionamento anticipato. In occasione delle proteste, i collettivi femminili sfruttano le canzoni e realizzano coreografie di balli di lotta per rendere più visibili queste disuguaglianze.
Quest’anno, la tradizionale manifestazione per la giornata internazionale della donna dell’otto marzo ha avuto uno slogan socialmente consapevole: la rinuncia a questa riforma pensionistica antifemminista.
Nelly Didelot fa parte della redazione Esteri di Libération


Più di uno slogan

Annalena Baerbock, ministro degli Affari esteri della Germania, presenta le sue Linee guida per una politica estera femminista. Foto: picture alliance/dpa/Wolfgang Kumm

BERLINO – «Mi sono sempre meravigliata di quello che riesce a scatenare questa piccola parola: “femminista”. Ciò per cui lottiamo con queste linee guida è qualcosa che dovrebbe essere ovvio nel ventunesimo secolo. Le donne costituiscono la metà della società in qualsiasi paese. Una politica estera femminista non è, dunque, un termine di lotta; essa deriva dalla nostra costituzione. E di certo non è una questione da poco. Si tratta di una seria questione di sicurezza».
La scorsa settimana Annalena Baerbock, ministro degli Affari esteri della Germania, ha presentato le linee guida per la “politica estera femminista” da lei immaginata.
I suoi oppositori politici l’hanno derisa per aver creato quello che a loro è sembrato solamente l’ennesimo slogan senza senso, che uno fra loro ha definito come “la gratificazione emotiva della politica interna”. Ma gli obiettivi di Baerbock sono semplici: creare una politica estera in cui prevalga l’aspetto umano. Ciò significa portare le donne in prima linea: «Quando le donne sono più al sicuro» ha detto lei, «tutti sono più al sicuro».
Alexander Kloss è un reporter di Tagesspiegel


Il paese un po’ machista con le leggi tanto progressiste

MADRID – Sono diventata femminista per via della rabbia. Da bambina piangevo pubblicamente solo quando percepivo che qualcosa era ingiusto. Come il fatto di sapere che era molto più facile essere un ragazzo che una ragazza. Ai ragazzi era concesso fare più cose.
Più tardi ho dato un nome a quei sentimenti e a quei concetti: «femminismo». Da adulta ho cercato di navigare fra tutte le contraddizioni, dall’essere cresciuta in un mondo sessista (continuo a preferire il termine spagnolo «machismo»), al tentativo di compensare in maniera eccessiva con pensieri del tipo «non sono una vittima», «sto avendo successo grazie ai miei sforzi personali», e così via.
Ma gli sforzi non sono solo i miei, ma quelli di un gran numero di donne prima di noi.
La Spagna è uno dei paesi più progressisti in termini di legge: il governo ne ha appena proposta una che rende obbligatoria la parità nelle liste elettorali; ha uno dei congedi di paternità (non trasferibile) più lunghi in Europa; e così via. Non male per un paese che alcuni in Europa vedono ancora come cattolico-conservatore, non è vero?
Alcuni dicono che forse quelle leggi sono state introdotte troppo presto e la società non era preparata, non era sufficientemente matura. Il machismo esiste ancora, in Spagna. Nella vita quotidiana, per strada, dove le donne sono vittime di molestie, nel caso di quelle mogli che vengono picchiate dai mariti, per via delle pressioni sociali e delle aspettative nei confronti delle donne, noi continuiamo a soffrire.
Sarei felice se un giorno una donna potesse essere mediocre quanto un uomo e avere comunque accesso alle stesse opportunità.
Alle donne come me, che chiedono più parità di diritti, alcuni uomini dicono: «la Spagna è uno dei paesi più femministi, perché non vai a protestare in Iran? È lì che ci sono i problemi, non qui». Ma sono profondamente convinta che non ci sia bisogno di aspettare che una società “sia pronta” per iniziare a cambiare le cose, soprattutto se ciò riguarda la giustizia e l’uguaglianza. La società spagnola di sicuro si metterà al passo con la mentalità che ha elaborato queste nuove leggi.
Lo so, che esistono paesi dove la condizione delle donne è peggiore che in Spagna. Ma ora è il momento di parlare dei nostri diritti e dei nostri doveri, e di dove ci sia bisogno di migliorare ancora qualcosa, con il supporto delle leggi e al di là di esse.
Alicia Alamillos scrive di Esteri per El Confidencial

© Riproduzione riservata

Related Posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *