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Effetti collaterali e astinenza: è la droga italiana chiamata bonus

Non so se ci siamo scandalizzati più per le truffe legate al “superbonus” (quasi 4 miliardi di crediti fasulli posti sotto sequestro dalla Guardia di Finanza, 9 secondo un dato citato dalla premier Meloni), o per la decisione di revocare retroattivamente la norma, impedendo da febbraio l’uso dei crediti di imposta per lo sconto delle fatture per i lavori eseguiti, e la successiva cessione dei crediti da parte di alcune imprese, che così vedono ridursi la liquidità su cui facevano affidamento.

Ma quel che avrebbe dovuto scandalizzarci è proprio il superbonus; che invece è stato salutato dal consenso generale e ha portato grande lustro al governo Conte II, che lo ha varato.

Storia del bonus

Il superbonus, come tutte le “spese fiscali”, ovvero l’aggregato di tutte le misure che riducono gli oneri fiscali di un gruppo di contribuenti o di un settore economico rispetto alle regole generali vigenti, agisce esattamente come una droga: garantisce un immediato senso di benessere, salvo poi creare assuefazione, un desiderio che per essere soddisfatto richiede quantità sempre maggiori di droga, e gravi crisi di astinenza quando lo spacciatore (cioè lo stato) smette di fornirla in dosi adeguate per mancanza di fondi, e impone su chi ne aveva beneficiato i costi della riabilitazione.

Il superbonus, infatti, non è una novità, ma l’ampliamento e l’aumento della platea dei beneficiari di una “spesa fiscale” a favore della casa che risale addirittura a una legge del 1997 del governo Prodi I e che prevedeva una detrazione di imposta del 41 per cento, fino a un massimo di 150 milioni di lire, per interventi di ristrutturazione edilizia nel 1998 e 1999, ripartita nei successivi 10 anni.

La motivazione, come sempre in questi casi, era nobile: creare un “contrasto di interessi” tra il contribuente e le imprese del settore edile per favorire il rispetto delle norme e ridurre l’evasione. Per farlo, allora come oggi, si scelse la strada di una complessità burocratica che facilita gli abusi, e rende particolarmente ardue e costose le verifiche, impegnando risorse dell’Agenzia delle entrate e dalla guardia di Finanza che potrebbe essere più proficuamente essere utilizzate altrove.

Problemi di burocrazia

Allora, infatti, si richiedeva al contribuente di produrre e preservare la dichiarazione di inizio lavori per la conformità delle norme edilizie; la prova del pagamento delle imposte comunali; la delibera assembleare in caso di condomìni; la comunicazione all’Asl dei lavori per le norme sulla sicurezza; le fatture; i bonifici con una specifica causale; e la ricevuta di ritorno della raccomandata al centro operativo dell’Agenzia delle Entrate di Pescara.

Documenti da conservare per eventuali verifiche per 16 anni: i 10 della rateizzazione del credito più i cinque della prescrizione precedenti all’anno della verifica. Da allora la complessità burocratica dei bonus, come la potenza della droga, è aumentata costantemente fino all’articolo 119 del 2020 che introduce il mitico superbonus: 50mila battute con innumerevoli rimandi a norme e decreti, ma insufficienti a spiegarne il funzionamento, al punto che l’Agenzia delle entrate ha pubblicato una guida esplicativa (aggiornata a ottobre 2022) di ben 52 pagine in cui si fa riferimento a 21 norme, 2 circolari del Ministero delle Finanze, oltre a 10 Provvedimenti, 32 Circolari e 20 Risoluzioni dell’Agenzia. Semplice, no?

Bonus su bonus

È quindi dal 1997 che la droga del bonus per la casa circola in Italia. In un paese in cui la proprietà è diffusa e la casa quasi sacra, e il comparto edile è molto frammentato, l’effetto benessere è stato immediato e potente; e la domanda di droga in aumento perché chi l’ha provata ne vuole sempre di più. Così, tutti i governi successivi hanno decretato o prorogato bonus.

A memoria (ma non sono esperto della materia), il bonus detrazione per le ristrutturazioni immobiliari per il 1998 e 1999 è stato di volta in volta prorogato agli anni successivi, con un’aliquota del 36 per cento e massimale di 38mila euro, per poi essere “stabilizzato” (cioè prorogato sine die) nel 2011.

L’anno successivo la droga è potenziata, aumentando l’aliquota al 50 per cento e il massimale a 96mila euro, e a sua volta via via prorogata; nel 2012 i lavori soggetti a bonus si estendono all’eliminazione delle barriere architettoniche, alle autorimesse pertinenziali, alla cablatura di edifici e agli isolamenti acustici; nel 2013 (e da allora prorogato) arriva il bonus al 50 per cento per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici legati a ristrutturazioni (massimo 10mila euro), quello per la riqualificazione energetica (con massimali differenziati per infissi, fabbisogno energetico del riscaldamento, sostituzione climatizzazione eccetera) inizialmente al 55 per cento, portato nel 2017 al 65, aumentabile a 70 o 80 in funzione del miglioramento della classe energetica dell’immobile; infine, arriva il bonus per i lavori antisismici.

Una follia

Si arriva così, dopo 23 anni, al superbonus 110 per cento: più droga per tutti, estendendo la natura dei lavori soggetti a bonus (coibentazione facciate e tetti) nonché la percentuale detraibile (110 per cento), e facilitandone la diffusione con lo sconto in fattura, grazie alla cessione del credito di imposta alle imprese, autorizzate a cederlo a propria volta a banche e assicurazioni.

L’ennesima “spesa fiscale” potenziata a favore della casa. Dalla tabella che accompagna l’audizione della Banca d’Italia alla commissione Finanza del Senato si ricava che le sole spese fiscali per la casa (ovvero tutti i bonus che hanno oggetto gli immobili) costeranno alle casse dello stato la bellezza di 62 miliardi nel triennio 2023-25. Una follia, per quanto prevedibile.

Effetti collaterali

L’audizione conferma l’analogia tra le spese fiscali in generale e la diffusione della droga: dal 2016 il loro numero complessivo è passato da 468 a 626, con un costo per lo stato salito da 54 a 81 miliardi. Con la casa che fa la parte del leone.

Ma sappiamo che la storia comincia molto prima del 2016. Oltre alla crescente complessità, che come purtroppo si è visto facilita gli abusi e aumenta il costo dell’attività di verifica, diminuendone l’efficacia, e al costo per le casse dello stato in un paese altamente indebitato, bonus e superbonus, come tutte le spese fiscali, hanno altri effetti deleteri.

Mascherano la vera dimensione della spesa pubblica: un bonus di fatto è un sussidio all’attività edilizia che però non viene contabilizzato come spesa, ma è mascherato da minore entrate tributarie. Tengono in vita un settore troppo frazionato in imprese troppo sottodimensionate per essere efficienti, scoraggiando aggregazioni e creando vere aziende zombie.

Distorcono l’equità fiscale e la certezza delle regole perché agiscono sull’aliquota effettiva pagata dai contribuenti in modalità e quantità che differiscono da cittadino a cittadino, e da impresa a impresa. Impediscono la verifica dell’efficacia delle misure a posteriori: complessivamente quanti soldi sono andati al settore edilizio dal 1997 e quanti sono stati gli utili distribuiti e le imposte pagate da queste imprese? Di quanto è migliorata l’efficienza energetica in termini di minori emissioni grazie ai lavori finanziati coi vari bonus?

Chi paga

Ma il vero problema è che i bonus sono un grande vantaggio per i (relativamente) pochi che ne beneficiano, a danno di tutti i cittadini i quali, però, non ne percepiscono il costo, e non hanno quindi interesse a coalizzare il consenso contro i bonus (magari sperando un domani di poterne usufruire).

Come per la droga, uscirne è la parte difficile e le crisi di astinenza sempre in agguato. E come per la droga, di bonus e superbonus le finanze pubbliche possono anche morire di overdose.

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