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Cosa prevede il codice appalti e perché cresce il nervosismo nel governo – Il Riformista

Il testo di Salvini prevede 229 articoli e 35 allegati

Claudia Fusani — 31 Marzo 2023

Cosa prevede il codice appalti e perché cresce il nervosismo nel governo

Sale la febbre da appalti e Pnrr nella maggioranza di governo. La Lega è arrivata a chiedere la testa del presidente dell’Anac Giuseppe Busia colpevole di aver criticato il “Codice Salvini” cioè il nuovo codice degli appalti. Il controller dell’anticorruzione ha criticato “l’appalto e il subappalto libero” e ha messo in guardia: “Ci sono limiti alla trasparenza e sale il rischio di fenomeni corruttivi in fase di assegnazione lavori”. Questo volta Salvini ha chiesto al partito di metterci la faccia. E da via Bellerio ieri mattina è partito un comunicato che ha bollato come “gravi, inqualificabili e disinformate le dichiarazioni del presidente dell’Anac”.

Aggiungendo che “se Busia pensa questo di migliaia di sindaci (con l’affidamento diretto, senza gara, sotto i 5 milioni di euri diventano la più importante stazione appaltante del paese, ndr) allora è chiaro che non può più ricoprire quel ruolo perché dimostra di essere prevenuto e di superare i suoi compiti di controllore”. Poi in mattinata Busia ha precisato di non aver mai detto e neppure alluso al fatto che i sindaci possano essere corrotti. “Anzi, soprattutto nei piccoli comuni, i sindaci sono degli eroi”. La guerra delle dichiarazioni si ferma qui. Ma il presidente dell’Anac è ormai finito nel mirino di Salvini e ne potrà uscire in un modo solo.

Anche perché Pd, a cominciare dall’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, e 5 Stelle hanno subito preso le parole del presidente dell’Anac per trasformarle negli slogan che porteranno in piazza sabato nelle manifestazioni indette in varie città dai sindacati. Anche, ma non solo, contro il nuovo codice degli Appalti a cui il ministro ha voluto subito dare pomposamente il suo nome: “Codice Salvini”. La verità è doppia. Oppure sta nel mezzo. Succede in politica e nell’amministrazione pubblica. La verità è che nessuno può avere certezze sull’applicazione di questo codice degli Appalti: il Parlamento non lo conosce, discusse e approvò solo la delega da cui il testo finale sembra essersi discostato molto. È una delle riforme milestone del Pnrr, tre quarti del percorso lo fece il governo Draghi, e l’altra sera in Consiglio dei ministri è stato l’ultimo passaggio di un iter iniziato dal Consiglio di Stato la scorsa estate e di cui il Parlamento sa poco o nulla.

Se l’obiettivo era la deregulation e la semplificazione, la prima cosa che ci si chiede è come questo sia possibile con 229 articoli e 35 allegati attuativi. Immaginiamo un privato alle prese con tutte queste carte per poter partecipare ad un appalto. “Noi siamo convinti che andrà a complicare anziché semplificare” dice Raffaella Paita, capogruppo al Senato del Terzo Polo che aveva presentato semplificazioni assai più radicali e che riguardano la fase delle autorizzazioni e dei ricorsi, a monte e a valle dunque della gara d’appalto che di per sé non porta via tutto questo tempo. Sono invece le autorizzazioni preliminari e gli eventuali ricorsi al Tar – che possono subito bloccare un opera anche per anni – la vera causa della scarsa capacità di spesa dell’Italia. Comunque ieri poi l’Anci, la lega dei comuni, ha fatto una nota per dire che il Codice Salvini incontra le loro richieste.

Bene la “riqualificazione delle stazioni appaltanti” dove sono stati ricompresi i grandi comuni e i capoluoghi di provincia. Bene la digitalizzazione, la creazione di una banca dati dei contratti pubblici con l’interconnessione di tutti soggetti e le stazioni appaltanti. Bene, per le imprese, soprattutto l’ammorbidimento dell’illecito professionale: le imprese non saranno più escluse in base ad un avviso di garanzia, alla custodia cautelare o ad altri provvedimenti non definitivi. La polemica politica sul nuovo codice degli Appalti la chiude poi in giornata il ministro Raffaele Fitto, quello che ha in mano le deleghe che più scottano in questo momento: fondi del Pnrr, fondi di Coesione e rapporti con l’Unione europea.Se ci sono problemi con l’Anac, ci parleremo e li risolveremo”. Molto pragmatico Fitto. Che sa bene come tutto questo nervosismo in maggioranza nasca dalle tensioni, a Bruxelles, come in Italia, sul Pnrr.

Il Piano presenta tre tipi di problemi. Il primo è legato alla terza rata (19 miliardi, secondo semestre 2022) che Bruxelles non ha autorizzato perché ha rilevato dissonanze su tre progetti già approvati: due piani urbanistici a Firenze (stadio di calcio) e a Venezia (palazzetto sportivo), le concessioni portuali e le reti di teleriscaldamento. Fitto ha ottenuto un mese di tempo per i necessari chiarimenti. Guidando subito lo scaricabarile sul governo Draghi.

Il secondo problema, che s’intreccia direttamente con il codice degli appalti, è “l’impossibilità di realizzare tutti i progetti previsti entro la fine del 2026”. Fitto lo ha detto chiaramente l’altro giorno davanti ai magistrati contabili che – terzo problema – accusano il governo di non saper spendere (solo il 10% del totale, circa 10 miliardi). Accusa in questo caso equamente distribuita sui due governi che hanno gestito il Pnrr: Draghi e Meloni.

La colpa di tanta lentezza è solo degli appalti? Solo in parte. Come Fitto, Salvini e tutto il governo sanno bene le strozzature sono per lo più a monte e a valle dell’appalto: nella fase delle autorizzazioni e in quella, a cantieri avviati, dei ricorsi. Su questo doppio fronte il nuovo Codice fa molto poco. “Ma interveniamo su questo con il decreto Semplificazioni, detto anche Pnrr, in discussione al Senato” ripete il ministro Fitto. “Li – aggiunge- ci sono le soluzioni ai problemi posti dalla Corte dei Conti”.

Il governo presenterà a Bruxelles nel giro di un mese un nuovo Pnrr “bonificato” dai progetti irrealizzabili. Ne faranno le spese i piccoli comuni soprattutto al sud. Se Bruxelles dovesse approvare, si aprirà un’altra guerra. Dentro e fuori la maggioranza.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent’anni a Repubblica, nove a L’Unità.

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