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“C'è tutto un mondo che odia l'America e vuole stare con Russia e Cina”, intervista a Dario Fabbri – Il Riformista

La guerra d’Ucraina, l’Europa, il disordine globale. E la Cina alla finestra. Il Riformista ne discute con Dario Fabbri, direttore di Domino, tra i più autorevoli analisti italiani di politica estera.

La guerra d’Ucraina è entrata nel secondo anno. Che guerra è?
La si può definire da un lato una guerra di logoramento e dall’altro una guerra di stallo. Di logoramento per volontà russa, nel senso che i russi l’hanno portata su questo piano da quando hanno capito, ormai quasi un anno fa, che il blitz militare non ci sarebbe stato, che non avevano le capacità per prendersi Kiev. A quel punto hanno spostato la guerra sul logoramento, sull’attrito, cioè sul loro vantaggio demografico. Le perdite sono molto ingenti ma, in questo schema di ragionamento, di solito vince chi ha la capacità di assorbirle meglio, quindi una popolazione più densa. Che poi è la vecchia dottrina militare che fu già sovietica. L’Urss ha sempre avuto un ritardo tecnologico rispetto all’Occidente, però diceva: noi siamo di più e disposti a morire. Dall’altro lato è anche di fatto una guerra di stallo. Sono concentrati su Bakhmut da tre mesi. È diventata ormai una cittadina distrutta, martoriata, quasi un macabro trofeo assoluta. E non si capisce il perché. Nessuno, neanche i russi, se domani controllassero tutta Bakhmut, avrebbero vinto la guerra, in nessun modo. Ha acquistato una valenza simbolica. Certo, Bakhmut è su un asse viario importante ma non è che una volta conquistata puoi dire di avere tutto il controllo dell’oblast di Donestsk. Una guerra di stallo che è ferma sugli stessi luoghi da mesi, in attesa da un lato di un’offensiva russa che ancora non si è materializzata per come annunciata e una controffensiva ucraina che viene altrettanto annunciata in questi giorni e che staremo a vedere con l’arrivo dei nuovi macchinari ed equipaggiamenti, in cosa consisterà in tarda primavera, più o meno.

Una “tregua” immediata sulle linee attuali in Ucraina è stata proposta ieri dal presidente Alexander Lukashenko in un messaggio al Parlamento bielorusso. Come leggere questa uscita?
Vi sono, a mio avviso, due possibili chiavi di lettura. O Lukashenko si è mosso deliberatamente invocando una tregua per far vedere che lui ha un margine di manovra esterno a Putin, peraltro nei giorni successivi al trasferimento annunciato di armi nucleari tattiche russe proprio in Bielorussia. Per “smarcarsi” o per lo meno per mostrarsi più indipendente di quanto in realtà non sia, invoca una tregua senza peraltro precondizioni. Oppure, e questo sarebbe più rilevante, può essere che faccia il poliziotto buono proprio di Putin, nella consapevolezza russa che lo stallo di cui ho parlato in precedenza è difficilmente risolvibile, e allora si propone una sorta di tregua che possa cristallizzare le posizioni raggiunte in questo momento. Se fosse solo una iniziativa di Lukashenko, tanto per dire noi non siamo degli ascari del Cremlino ma tifiamo per la pace, avrebbe un valore pressoché nullo. Altra cosa, e questo va tutto verificato, se fa la voce buona di Putin. Resta che il Cremlino ha affermato che l’operazione speciale continua.

La guerra è nel cuore dell’Europa, ma l’Europa, sul piano politico-diplomatico, non resta la “grande assente”?
Se l’intendiamo come voce unica, assolutamente sì. I Paesi europei sono sempre divisi su tutto e lo sono tendenzialmente anche su questa guerra. Se noi prendiamo i Paesi dell’Europa centro-orientale, dalla Polonia ai tre Stati baltici e in più la Romania – sono l’avanguardia nella difesa dell’Ucraina. Per loro questa è l’occasione per chiudere i conti con la Russia e per imporle finalmente un ordine al quale non può più sfuggire. Poi ci sono i Paesi occidentali, che siamo noi. Noi, soprattutto i francesi e i tedeschi, che in realtà siamo stati e in parte continuiamo ad esserlo vagamente per il dialogo, senza però perseguirlo fino in fondo. Un po’ per colpa loro, i russi, perché non è che Putin abbia tanta voglia di dialogo, tutt’altro, e un po’ perché comunque comprendiamo che in questo momento non siamo noi europei a dare le carte, ma sono americani e russi. Le divisioni in ambito europeo sono evidentissime. Per ora il fronte occidentale regge perché c’è consapevolezza, più o meno condivisa, che una vittoria russa non può essere nel nostro interesse. D’altro canto, il fronte occidentale regge perché gli americani riescono ancora a tenerlo insieme. Pensiamo alle sanzioni…

Vale a dire?
Le sanzioni hanno sempre un duplice obiettivo: uno è quello di colpire il nemico, dunque la Russia. E noi le applichiamo. Perché ci crediamo, più o meno, ma senza nasconderci dietro un dito: sono tutte di ispirazione statunitense. Partono gli americani e noi dietro. L’altra funzione delle sanzioni, interpretata così dagli statunitensi, è tenere insieme il fronte. Colpiscono il nemico ma dicono anche: se voi fate affari con il nemico le sanzioni colpiscono anche voi. Se ci provate incappate immediatamente in penalità dirette, commerciali, economiche. Il fronte occidentale continua a reggere per queste due ragioni, tuttavia le divisioni sono ampie e lo conferma il fatto che una voce europea non c’è mai stata in questa guerra.

Un attore protagonista non solo sul fronte ucraino ma sullo scenario globale è la Cina. “La Cina alla finestra” è il titolo del volume di Domino in edicola e nelle librerie. Quali sono i propositi del Dragone cinese?
Il Dragone cinese si è trovato questa guerra da un giorno all’altro. Inizialmente l’ha temuta. Nel senso che ha temuto che fosse controproducente per sé. Perché la Cina era per l’Ucraina il primo partner commerciale. Per l’Ucraina dovevano passare le nuove vie della seta. Negli anni i cinesi si erano presi, attraverso il cosiddetto “land grabbing,” grandi appezzamenti di latifondo per sfamare la loro popolazione in quello che una volta era il granaio d’Europa. Ma superata questa paura, a guerra cominciata, i cinesi sono entrati nella fase attuale, cioè quella di considerare questo conflitto vantaggioso per i loro interessi.

Perché?
Perché da un lato distrae gli americani che guardano meno all’indopacifico di quanto potrebbero fare se non fossero così impegnati in Europa. Dall’altro lato, occorre ricordare che russi e cinesi non sono alleati, non sono amici. Sono uniti da un nemico comune: gli Stati Uniti, ma i cinesi sono ben felici di vedere la Russia impantanata in un conflitto come questo, quindi Mosca è adesso costretta a vendere sottocosto il gas, il grano, il petrolio, ai cinesi ed è diventata a tutti gli effetti una sorta di junior partner del sistema cinese. Questo avvantaggia Pechino. Se la Cina dovesse scegliere, questa guerra la farebbe prolungare, possibilmente a bassa intensità, senza che muoiano o guariscano i due principali sfidanti: la Russia e gli Stati Uniti. Potrebbero anche intestarsi un cessate-il-fuoco, perché servirebbe ai cinesi per dire al mondo: noi siamo i buoni in questa vicenda, abbiamo favorito la tregua, a differenza degli americani, direbbero i cinesi, che sono in questa guerra con tutte le scarpe mentre noi no. Tuttavia per la Cina l’obiettivo principale è che non crolli la Russia. Un cessate-il-fuoco che favorisca Mosca, come dimostra il piano cinese in 12 punti. Proseguire il conflitto per avvantaggiarsene o al massimo favorire un cessate-il-fuoco inclinato a favore della Russia.

All’ordine bipolare ha fatto seguito un disordine globale e non una nuova governance multilaterale.
È così. Troppo spesso ci chiudiamo all’interno del nostro recinto, il recinto occidentale, pensando di interpretare e rappresentare tutto mondo. Ma le cose non stanno così. Pensiamo, ad esempio, ai due voti principali svolti nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, all’inizio di questa guerra e lo scorso 23 febbraio, quasi ad un anno dall’inizio, e vediamo i Paesi che si sono astenuti o addirittura si sono schierati con l’invasione russa, un calcolo a spanna dice che su questo fronte sono schierati governi che rappresentano 4 miliardi di esseri umani. C’è un mondo là fuori che anche se non ha alcuna simpatia per la Russia in quanto tale, tuttavia ha un sentimento di opposizione all’ordine statunitense, all’ordine occidentale, che è fortissimo. In una guerra come questa, anche se è l’aggressore, anche se è un usurpatore di territori, quel mondo vede in Mosca il soggetto da sostenere. Pensiamo all’India, che si è astenuta. L’India fa 1,4 miliardi di abitanti ed è anche una democrazia. Sono tutti soggetti che dicono: noi tra l’Occidente che conosciamo molto bene, purtroppo, che è coloniale, gli Stati Uniti che sono guerrafondai, e la Russia, in questa guerra scegliamo quest’ultima. Emerge chiaramente uno spazio che la Cina cerca di occupare, quello di un contrordine ai danni degli Stati Uniti. La narrazione cinese di queste settimane è dire: noi rappresentiamo il sud del mondo. Noi non siamo con la Russia in quanto tale, noi siamo contro gli Stati Uniti. Il monopolarismo americano, a livello di narrazione, con questa guerra sta subendo una battuta d’arresto. Gli Stati Uniti hanno dimostrato una grande capacità di aggregare, con le buone e un po’ con le cattive, l’Occidente attorno a sé. Ma faticano altrove. Ed è un “altrove” di 4 miliardi di persone. La visita di Xi Jinping a Mosca è avvenuta nel giorno in cui cadevano i vent’anni dell’invasione americana dell’Iraq. Gli Stati Uniti con la guerra al terrore, in quella fase schizofrenica di monopolarismo hanno lasciato in giro per il mondo, fuori dall’Occidente, una pessima immagine di sé che questa guerra sta rilanciando, anche se stavolta gli americani sono dalla parte dell’aggredito. Ma fuori dall’Occidente se ne infischiano perché dicono: qualcuno, la Russia, è contro l’Occidente “americano” e questo per noi basta.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.

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