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Carlo Rovelli: “In Ucraina si picchiano due maschioni di periferia”

La forza del viaggio e dell’ascolto dell’altro, la scienza e il dubbio. Per il fisico, la pace è lontana. E l’occidente è a un bivio. “Io filoputiniano? Sorrido”. Aveva deciso che non avrebbe più scritto, ma “la storia dei buchi neri che diventano bianchi […]

(DI MADDALENA OLIVA – Il Fatto Quotidiano) – Aveva deciso che non avrebbe più scritto, ma “la storia dei buchi neri che diventano bianchi era troppo bella: è un racconto di come si prova a immaginare quanto non sappiamo. Forse i buchi bianchi li abbiamo già rivelati, forse sono una componente della misteriosa polvere che gli astronomi chiamano materia oscura, ma siamo al margine fra ciò che sappiamo e non sappiamo, qui. È un grande viaggio. E i grandi viaggi alla fine si somigliano tutti…”. Carlo Rovelli – in libreria con il suo ultimo Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte, primo in classifica – non sapeva che il suo viaggio lo avrebbe portato a fare il fisico teorico, da grande. Difficile a credersi, sentendo l’amore che ha per la scienza. Eppure “la scuola non mi piaceva, mi ero iscritto a Fisica un po’ così”, ci racconta, tra una presentazione e un’altra, all’uscita della proiezione del film che Liliana Cavani ha fatto dal suo L’ordine del tempo, e che presto vedremo sugli schermi. “Scrivevo poesie, ma venivano talmente orrende, musica non la sapevo fare, leggevo più che altro tanto… Ero ribelle, molto”. Poi successe che la rivoluzione finì, “avevamo perso”, e della fisica, a un certo punto, si innamorò proprio. “Mi è sempre sembrata un modo per mantenere la mia libertà di pensiero”.

Professor Rovelli, “impariamo davvero quando la scienza ci fa ripensare tutto in un modo diverso”, ha detto a proposito del suo ultimo libro.

Ho dei colleghi, bravissimi, attratti dalla scienza perché, dicono, vi hanno trovato delle cose solide, io perché è capace di demolire le cose solide (ride). Vede, tutto il nostro sapere costruisce sul sapere del passato. Ma bisogna riconoscere che qualcosa a cui crediamo è sbagliato: solo così si impara qualcosa di nuovo.

Viviamo però sempre più trincerati dietro gli steccati delle nostre certezze.

Non credo più di prima. Quando avevo vent’anni l’Italia era ferocemente spezzata tra destra e sinistra, e ciascuno era convinto che gli altri fossero l’inferno dantesco. Io ho avuto la fortuna di viaggiare in alcuni Paesi dell’ex Unione Sovietica nei momenti più duri della Guerra fredda e di scoprire come, da una parte e dall’altra della cortina di ferro, ci fosse un racconto non corrispondente al vero. A 16 anni incontrai un ragazzo bulgaro, facevamo grandi discussioni politiche, io ero un feroce anti-comunista e lui mi rispondeva invitandomi a “venire a vedere”. Lo feci, passai alcuni mesi a Sofia a casa sua. L’Italia non era l’inferno come la raccontavano in Bulgaria, ma nemmeno la Bulgaria era come la raccontavano in Italia. E forse questo mio dubbio costante rispetto alla narrazione in cui siamo immersi, questo pensare “stiamo ad ascoltare gli altri che magari è meglio” si è nutrito di quella esperienza.

A un anno dall’inizio del conflitto, come vede la situazione in Ucraina?

Come due maschioni tatuati di periferia che si picchiano di santa ragione e sono disposti a tutto per non cedere, e per “punire l’altro”. In mezzo, un popolo devastato e infinito dolore.

È mai stato in Ucraina?

Ero in Donbass, a Kharkiv, prima dello scoppio della guerra. Stavano girando un film su un fisico americano e mi invitarono sul set. La situazione era abbastanza pacifica. Poi…

L’accusa, per chi si schiera contro l’invio delle armi a Kiev, è di non sostenere gli ucraini e lasciarli morire sotto i colpi russi. Quale può essere allora la soluzione del conflitto?

Se non ci fosse la questione di chi è più gorillone dell’altro, sarebbe semplicissima: la risoluzione Onu 2202 del 2015, ovvero gli accordi di Minsk. O la proposta cinese che gran parte del mondo apprezza, o compromessi simili: fine delle ostilità e referendum seri per i cittadini, compresi quelli fuggiti, del Donbass o della Crimea. Erano nel programma di Zelensky, poi una volta eletto non li fece. Servirebbe anche un serio impegno della Nato a non “abbaiare”, come ha detto il Papa, ai confini della Russia. Ma la guerra finirà quando a Washington e a Pechino lo decideranno.

Dovremo aspettare a lungo?

Potrebbe. Gli americani quanto sono stati in Vietnam o in Afghanistan? E quanti morti ha fatto la guerra in Afghanistan? Quasi 200mila. È terribile.

Ora fa il benaltrista, come direbbero i suoi detrattori…

Queste sono accuse da bambini delle elementari. “Che cattivi i russi hanno ammazzato un sacco di gente” e certo, è vero! “Che cattivi gli americani hanno ammazzato dieci volte di più in Iraq o a Belgrado”! Il problema è come vivere insieme e smettere di fare la guerra. Oggi molte voci dicono: fermatevi, l’obiettivo di questa guerra non è vincere o punire la Russia, ma trovare una soluzione minimamente accettabile per ucraini, americani, russi, turchi…

Si sarebbe aspettato di finire nella lista dei filoputiniani?

Mi fa sorridere. A Mosca chi dice le stesse cose, cioè chi chiede negoziati, è nella lista dei filo-occidentali.

Pensa sia in atto una militarizzazione del pensiero e del vivere civile?

Non la vedo. Io parlo liberamente, al massimo piglio qualche insulto su internet. Difficile negare invece la martellante propaganda di guerra. Lo dimostra lo scollamento fra l’uniformità delle voci della maggioranza dei politici e dei grandi media, e l’opinione pubblica italiana che, anche grazie al Papa, guarda questa propaganda con sospetto: il Fatto è tra i pochi che riesce a starne fuori. A me sembra assurdo come i media dipingono la situazione. Leggo i giornali internazionali, non solo degli Stati Uniti ma dell’India, del Sudamerica, dell’Indonesia, e la narrazione è completamente diversa. Perché? Siamo in guerra e in guerra ci si compatta. Da entrambe le parti.

Chiamiamo pace l’invio di armi e con questo governo saldamente filo-atlantico la direzione è ancora più segnata.

Hanno preso voti mettendo in dubbio l’eccessiva sudditanza italiana e, arrivati al potere, si sono stesi a zerbino sotto l’America, anche più dei precedenti governi. Io non vorrei un’Italia anti-atlantica: vorrei fossimo capaci di spingere gli americani a riflettere sui loro errori e sulla loro arroganza.

Fu Einstein, assieme al filosofo Bertrand Russell, a denunciare in piena Guerra fredda il rischio della catastrofe bellica: la scienza può ancora avere questo ruolo?

Da quel manifesto è nata la Conferenza Pugwash, che ha ispirato i trattati USA-URSS e il grande disarmo nucleare bilanciato. Non è solo la morale, è anche l’intelligenza a dirci che se collaboriamo ci guadagniamo tutti. Gli intellettuali hanno il dovere di lanciare l’allarme: in fondo, sono pagati per guardare in prospettiva. Fu sempre Einstein a promuovere un manifesto contro l’avvento della prima guerra mondiale, ma in quel caso alla fine nessuno ci badò: tutti in Germania urlavano contro la Francia, la decadenza che distrugge la civiltà, e tutti in Francia contro la barbarie della Germania, proprio come oggi in Occidente si urla contro la Russia. L’Europa alla fine si suicidò.

“Ogni volta che noi come nazione, gruppo, continente o religione, ci guardiamo dentro per celebrare la nostra specifica identità – diceva il filosofo Anassimandro a cui ha dedicato uno dei suoi libri – non facciamo che esaltare i nostri limiti e cantare la nostra stupidità”.

Anche oggi è così. L’occidente, che io amo e vorrei difendere, chiama se stesso “la comunità internazionale”, ma in realtà si sta riducendo a una minoranza invisa al resto del mondo, che mantiene il dominio solo grazie allo strapotere militare e senza più la forza economica per imporlo. Quello che mi angoscia è vedere quanti nemici si stia facendo intorno… Siamo a un bivio storico. L’occidente può scegliere se continuare a fare il poliziotto del mondo che impone a tutti l’US-led World Order, o se rimettersi sulla strada, demolita negli ultimi decenni, di uno spazio politico internazionale di legalità, politica, mediazione: questa idea bellissima su cui si era costruito il dopoguerra. Dipende da noi. Ma non sono molto ottimista.

Lei ha detto più di una volta di aver votato a sinistra. Cosa pensa di Elly Schlein?

Tempo fa scrissi che avrei votato per un partito che si impegnasse a diminuire le diseguaglianze, per l’emergenza climatica, e per ridurre la bellicosità internazionale. Se lei, o altri, lavorano in queste direzioni, li voto.

Una domanda personale: ma è vero, come ha scritto il Guardian, che leggeva Anna Karenina alla sua fidanzata prima di dormire?

Ma lei crollava subito! Io andavo avanti, perché quel libro mi piaceva talmente che il giorno dopo ero costretto a rileggere dal punto in cui lei si era fermata: l’ho letto una miriade di volte! Lo facciamo ancora, prima di dormire. Ora stiamo rileggendo Dostoevskij, Delitto e castigo. Ma sa che alla fine alle riletture, tra i due, per me ci guadagna più Tolstoj?

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