Questo mercoledì pomeriggio persino l’Europarlamento, che tra tutte le istituzioni europee è la più sollecita sul tema dei diritti, si è rifiutato di discutere e sanzionare la repressione violenta in corso in Francia: i liberali di Renew, quando si è trattato di mettersi di traverso al loro compagno di partito Emmanuel Macron, non si sono mostrati poi così liberali. E assieme alla destra di ogni sfumatura – dai moderati ai lepeniani – hanno frenato la richiesta dell’unione di sinistra ecologista (in Ue socialisti, verdi e sinistra) di affrontare le derive illiberali in corso in Francia.
Intanto nella “Macronie” si assiste a episodi di una violenza sconcertante per una democrazia: forze dell’ordine che impediscono ai soccorsi di intervenire durante una manifestazione ambientalista, manifestanti che finiscono in coma o mutilati, arresti arbitrari, assalti della polizia contro i giovani che protestano contro la riforma delle pensioni, l’uso di armi da guerra.
Il senso di impunità del presidente e del governo Borne si vede dalle ripetute menzogne del ministro dell’Interno Gérald Darmanin. A smascherarle restano le testimonianze sulle reti sociali, il lavoro dei cronisti e delle associazioni per i diritti.
Il governo mente
Persino il Consiglio di stato questo mercoledì è intervenuto per sbugiardare Darmanin: non è vero che «qualsiasi partecipazione a una manifestazione non dichiarata è un delitto e richiede un’interrogazione».
Sono tante, le dichiarazioni di Darmanin ampiamente smentite dai fatti. Il 27 marzo, dopo il weekend di proteste a Sainte-Soline dove si trovano i megabacini invisi agli ambientalisti, il ministro ha dichiarato che «sono state lanciate solo granate lacrimogene, nessun’arma da guerra è stata utilizzata dalle forze dell’ordine a Sainte-Soline».
Non è così. Tra le armi utilizzate ve ne sono alcune che lo stesso ministero presieduto da Darmanin cataloga come «armi da guerra». Le forze dell’ordine hanno usato ad esempio le granate «a doppio effetto – sonoro e lacrimogeno – e granate così non possono che essere etichettate come materiale bellico», come ha confermato Aymeric Elluin che opera per Amnesty in Francia.
I cronisti di Libération Fabien Leboucq e Anaïs Condomines hanno verificato di persona il tipo di armamenti utilizzati dalla polizia a Sainte-Soline, e nel loro bollettino riportano che «delle oltre 5mila granate sganciate in meno di due ore dai gendarmi, secondo il conto delle autorità stesse, molte per legge rientrano nella categoria delle armi da guerra, altre sono comunque estremamente pericolose».
Divieto di soccorso
Sainte-Soline non è un punto qualsiasi della Francia occidentale. È il nodo dove si intrecciano in questi giorni le proteste ambientaliste, iniziate già in autunno contro i megabacini idrici che drenano grandi quantità di una risorsa scarsa – l’acqua – in mano a pochi agroindustriali, le proteste contro la riforma delle pensioni e contro Macron stesso, che assieme alla premier Borne ha scavalcato assemblea nazionale, sindacati e preferenze popolari pur di sdoganare il posticipo dell’età pensionabile.
La centralità di Sainte-Soline si è vista dal livello di militarizzazione che il governo ha messo in campo contro le proteste. Le violenze delle forze dell’ordine hanno ridotto in coma due manifestanti e ne hanno feriti altri; per gli organizzatori, circa 200. C’è chi ha perso la vista. Se in questi giorni i manifestanti esibiscono cartelli contro «la polizia che mutila» è anche per questi episodi e per il lancio di granate molto pericolose contro la folla che protesta.
Ma il dettaglio se possibile ancor più increscioso riguarda la scelta delle forze dell’ordine di impedire i soccorsi. Già negli scorsi giorni i presenti avevano riferito soccorsi rallentati, poi martedì sera Le Monde ha divulgato un audio che circostanzia cosa è accaduto. La conversazione riguarda la Lega dei diritti dell’uomo, che aveva inviato suoi osservatori a Sainte-Soline, e il pronto intervento medico (SAMU – Service d’Aide Médicale Urgente).
Dall’interlocuzione viene fuori che mentre le forze dell’ordine sono tutelate con il loro servizio di soccorso militare, hanno però impedito al SAMU di intervenire a soccorso dei manifestanti: «Non invieremo elicotteri o strutture mobili di urgenza e rianimazione perché abbiamo l’ordine dalla polizia di non inviarli».
Reprimere e logorare
Cosa succede ora? Il responso del Consiglio costituzionale, sia sulla legittimità della riforma in sé che su quella di un eventuale referendum, arriverà il 14 aprile. Per il 6 i sindacati hanno convocato un nuovo sciopero generale, dopo quello di martedì. Si vocifera di un possibile rimpasto di governo da qui all’estate, mentre Macron punta a far sopravvivere il più possibile la sua agenda parlamentare a dispetto di una maggioranza risicata e instabile.
Non c’è al momento alcuna vera apertura istituzionale per uscire dalla crisi, innescata non solo dalla riforma ma anche dalla scelta di scavalcare l’assemblea per approvarla. Macron spera che le proteste si affievoliscano, e del resto il calo di partecipazione dopo tanti giorni è fisiologico. Al contempo, le forze dell’ordine tentano di fiaccare i rimostranti con attacchi a chi protesta – compresi i tantissimi liceali e giovani.
L’uso eccessivo della forza, anche contro giornalisti e sindacalisti, e gli innumerevoli arresti arbitrari sono stati già oggetto di condanna da parte dei difensori dei diritti (da Amnesty al Consiglio d’Europa alla garante francese). Martedì la polizia ha pure fatto irruzione in un bar femminista e queer, «ha ammanettato una persona a caso al bar, ha lanciato una granata stordente e poi lacrimogeni», riporta il collettivo di PinkBloc.
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