Questo articolo è pubblicato sul numero 14 di Vanity Fair in edicola fino al 4 aprile 2023
«Una famiglia con due mamme non esiste». Quando Maya, che oggi ha 19 anni, si è sentita dire per la prima volta questa frase frequentava le scuole elementari. «Sono cresciuta in Veneto, a Treviso, dove quindici anni fa non c’erano altri bambini e bambine nati in famiglie omogenitoriali. Forse ero l’unica». Per questo motivo mamma Daniela e mamma Stefania a un certo punto sono state chiamate a scuola. «Una mia maestra era fortemente convinta che non dicessi la verità sulla mia famiglia perché era la prima volta che si trovava in classe una bambina che non aveva solo una mamma, bensì due». Oltre a questo episodio, Maya racconta che tutto sommato è stata fortunata «perché non mi sono quasi mai sentita discriminata e ho imparato presto a non dare importanza ai commenti di qualche compagno di classe. Non mi sono mai sentita colpita o bullizzata».
Maya ha conosciuto presto la storia della sua famiglia. «Le mie mamme hanno scelto da subito di raccontarmi come fossi stata concepita proprio per darmi gli strumenti e la consapevolezza necessari anche per rispondere a chi, fino a qualche anno fa, non pensava che potesse esistere davvero una famiglia come la nostra». Maya è nata grazie alla fecondazione assistita e dopo essere diventata maggiorenne ha ottenuto il riconoscimento legale di entrambe le sue mamme. «Conosco il donatore perché è un amico di famiglia. In Veneto venti anni fa non era così semplice trovare informazioni legate alla procreazione medicalmente assistita, soprattutto in relazione alle famiglie omogenitoriali». È stata Maya, durante gli anni delle scuole superiori, a chiedere alle sue mamme chi fosse il donatore. «Alcune mie amiche nate in famiglie omogenitoriali, quando diventavano maggiorenni, iniziavano ad avere più informazioni sui propri donatori e così è nata la mia curiosità. Volevo sapere, per esempio, se avesse gli occhi marroni come i miei, visto che le mie mamme sono entrambe bionde con gli occhi azzurri».
A questo punto Maya scoppia a ridere. «Ma no, anche lui ha gli occhi azzurri. Io sono l’unica in tutta la mia famiglia, che è grande, con gli occhi scuri e i capelli castani. A parte questo dettaglio sono stata contenta di sapere che fosse lui perché so che sarà sempre presente. Ma non è cambiato niente: io ho due genitori, le mie mamme». Maya è cresciuta andando spesso alle manifestazioni e lì ha stretto amicizia con altre bambine e bambini nati in famiglie omogenitoriali. «Purtroppo adesso che studio Fisica a Trieste e vivo qui da sola, faccio più fatica a esserci spesso ma quello della manifestazione è sempre stato un momento importante per me. Non sono scesa in piazza recentemente a protestare contro lo stop alle trascrizioni dei certificati di nascita dei bambini nati in famiglie omogenitoriali, ma le mie mamme sì». Sono almeno duemila i figli di coppie omosessuali che vivono in Italia. Questo è il dato registrato dall’associazione di genitori Famiglie Arcobaleno, che da diciotto anni si batte per chiedere diritti per i propri figli. «È difficile estirpare la paura di chi pensa che famiglie come la mia siano sbagliate», continua Maya mentre sistema la spesa per la settimana. «Se incontrassi queste persone direi loro di guardarmi: sto bene, sono una ragazza come tante, piena di passioni. Amo la danza, ascolto gli Arctic Monkeys, adoro il mare e sto finendo di leggere Cime tempestose di Emily Brontë». C’è un posto del cuore dove ogni anno Maya va con le sue mamme, che da alcuni anni si sono separate: «Il momento più bello per me è quando andiamo tutti a Eraclea per le vacanze di famiglia. Abbiamo una casetta che prendiamo in affitto, sempre la stessa, e per me è un nido prezioso. Oggi siamo tanti perché una delle mie mamme si è risposata e ha avuto altri due figli con un’altra compagna. Sia con lei che con i miei fratelli ho un rapporto molto bello e cerco di vederli tutte le volte che posso».
Per Lia, 16 anni, anzi quasi 17 come sottolinea quando inizia a raccontarsi, la sua famiglia è musica. «A casa cantiamo tutti, forse quello che lo fa un po’ meno è papà Tommaso, però tutti suoniamo, adoriamo la musica, la chitarra, il pianoforte, il coro e il karaoke». Lia è stata concepita negli Stati Uniti attraverso la gestazione per altri e adesso, dopo un lungo iter di adozione, entrambi i suoi genitori sono stati riconosciuti legalmente anche in Italia.
Oggi, nel nostro Paese l’unico genitore riconosciuto è quello biologico, mentre l’altro non ha diritti. Per ottenerli deve ricorrere alla stepchild adoption, l’adozione del figlio del partner, che prima di essere rimossa era stata inserita nella legge sulle unioni civili del 2016. Sul tema, nel 2021 una sentenza della Corte Costituzionale ha definito «non più tollerabile il vuoto di tutela» per i nati da procreazione assistita praticata all’estero da coppie dello stesso sesso. «Al momento non sono in contatto con la mia donatrice ma potrò conoscerla a 18 anni se vorrò», continua Lia. «Abbiamo invece rapporti con la portatrice, la conosciamo molto bene. La incontriamo quando viene in Italia oppure andiamo noi da lei negli Stati Uniti. Fa parte della famiglia, è un’amica». E per Lia prendere l’aereo e raggiungerla insieme ai suoi papà è sempre un’esperienza entusiasmante. «Adoro viaggiare, mi appassiona tantissimo, come anche la fotografia e da qualche tempo la politica. Diciamo che non sogno più di diventare un’attrice di Hollywood come quando ero piccolina, ma solo perché mi sembra poco realistico».
È molto concreto invece il futuro che immagina Emma, 17 anni. «A cavallo. Pratico equitazione da quando ero una bimba e adesso lo faccio a livello agonistico. Mi piace tantissimo fare le gare perché amo la competizione. Non tanto il risultato, ma sapere che ho fatto un buon lavoro». Quando iniziamo a chiacchierare Emma sta partendo per la gita scolastica. «La mia famiglia è un po’ casinista, si può dire? Ma solo perché siamo quattro donne: io, la mia sorella gemella, Giada, e le nostre due mamme: Roberta e Chiara. Abbiamo tutte un carattere molto forte e quindi i conflitti ci sono, ma non manca mai l’amore, che è immenso. Anzi a me dispiace perché siamo molto impegnate e non sempre riusciamo a stare insieme tutte e quattro». La mamma biologica di Emma è Roberta, l’altra mamma ha ottenuto la tutela legale di recente, attraverso l’adozione. «Io ho sempre vissuto in maniera particolare soprattutto la festa del papà perché alle elementari mi facevano fare il lavoretto per il nonno e io non ne capivo il senso. Poi ho iniziato a vedere che per quella festa tutte le compagne invitavano i papà a scuola e partivano le solite domande: “Non hai un papà”, “Hai una famiglia diversa”».
Ma per Emma, che è stata concepita in Spagna con donatore anonimo, non c’era mai stato un «diverso». «Ci sono sempre state tante famiglie composte in molti modi. A me capita ogni tanto di farmi domande sul mio donatore ma perché sarei curiosa di vedere se gli somiglio. Non ho mai pensato che fosse legato direttamente a me in qualche modo». Le insicurezze, quando ci sono state, per Emma sono arrivate da fuori. «Erano gli altri che volevano farmi sentire diversa. Una volta a scuola una mia amica mi ha convinta a darci un bacio e tutti hanno iniziato a dire “È come le sue mamme”. Che senso aveva?». Alle scuole superiori, con la musica di Coez e Gazzelle alle orecchie, è andata meglio. «Ho capito che sono gli altri a non vedere quanta bellezza c’è anche in una famiglia come la nostra». Una famiglia con le stesse dinamiche di tante. Lo racconta bene un piccolo aneddoto di questa intervista. Poco prima della pubblicazione abbiamo ricevuto una telefonata da mamma Roberta, che sapeva della scelta di Emma di partecipare ma non aveva osato chiederle niente a riguardo. «Ha detto cose orribili su di noi?», chiede quasi sottovoce Roberta. «Perché siamo nell’età dell’adolescenza e insomma, si sa come funziona».
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