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Violenza domestica, pregiudizio di genere e attaccamento in età adulta – Sicurezza e Giustizia

di Alice Coluzzi e Martina Di Maio

Nel seguente articolo verrà presentato un progetto di ricerca portato avanti dalla Dott.ssa Alice Coluzzi e la Dott.ssa Martina Di Maio, guidate dal Magg. Laura Seragusa, docente di Psicologia Investigativa presso l’Università LUMSA di Roma, e dal Col. CC Giorgio Stefano Manzi, e in collaborazione con il Prof. Adriano Schimmenti e il Prof. Stefano Ruggeri dell’Università Kore di Enna. La ricerca qui presentata è volta ad analizzare la correlazione tra violenza domestica, pregiudizio di genere e attaccamento in età adulta. Questo studio pone le basi di un lavoro di ricerca che coinvolgerà un più ampio campione di vittime di violenza e sarà esteso anche ai perpetratori di violenza contro il partner.

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Nel 1996 la World Healt Organization ha definito la violenza domestica come ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale che riguarda tanto i soggetti che hanno, hanno avuto o si propongono di avere una relazione intima di coppia, quanto soggetti che all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo (Greco, Curci, & Marzano,2008).
Il seguente articolo è incentrato, più precisamente, sulla violenza domestica o violenza da partner intimo (IPV), e pone particolare attenzione ai fattori di rischio e le conseguenze che tale fenomeno può causare. Con il costrutto multidimensionale di Intimate Partner Violence (IPV) si identificano comportamenti come atti di aggressione fisica, abuso psicologico, rapporti sessuali forzati o altre forme di coercizione sessuale e atteggiamenti di controllo come, ad esempio, isolare una persona dalla propria famiglia d’origine e da amici, controllarne i movimenti e limitare le possibilità di accesso a informazioni o assistenza (WHO, 2002). Questo studio pone le sue fondamenta su tre aspetti in particolare, all’interno del contesto della violenza domestica (Arcidiacono & Di Napoli, 2012), che sono: l’attaccamento in età adulta (Bowlby, May, & Solomon, 1989), il pregiudizio di genere (Rothchild, 2007) e comportamenti di controllo non aggressivi all’interno della relazione.

Questo studio, quindi, parte dalla formulazione di un’ipotesi secondo cui se uno o entrambe i partner presentano pregiudizi di genere e/o disturbi dell’attaccamento, con conseguenti difficoltà ad intrattenere relazioni o rapporti sani e alla pari con un altro individuo, allora è possibile che nella relazione intima con un partner si presentino situazioni di violenza domestica con maltrattamenti o abusi verbali, psicologici e/o fisici. Il gruppo dei partecipanti a cui sono stati somministrati i questionari è formato da 34 vittime di violenza domestica. Gli strumenti utilizzati per lo svolgimento dello studio presentato in questo elaborato sono: la Scheda di Rilevazione Dati è stata creata da noi per rilevare informazioni sui soggetti del campione, il Relationship Questionnaire (RQ) (Bartholomew & Horowitz, 1991) è stato utilizzato per analizzare la variabile relativa all’attaccamento, The Ambivalence Toward Men Inventory (AMI) (Glick & Fiske, 1999) è stato utilizzato per analizzare la variabile relativa al pregiudizio di genere; l’Intimate Partner Violence Control Scale (IPVCS) (Bledsoe & Sar, 2011) è stato utilizzato per valutare il livello di controllo nelle storie di violenza domestica analizzate.
Questo studio pone le basi di un lavoro di ricerca che coinvolgerà un più ampio campione di vittime di violenza e sarà esteso anche ai perpetratori di violenza contro il partner. Il nostro obiettivo primario, infatti, è quello di valutare se la correlazione di queste tre variabili comporti per le vittime una maggiore probabilità di esposizione alla violenza domestica e una maggiore probabilità di subire violenza fisica, verbale o psicologica da parte del proprio partner. Allo stesso modo vorremmo valutare se l’analisi correlazionale di queste tre variabili, rispetto al campione di offender, ci può aiutare a comprendere quali fattori possono essere correlati allo sviluppo di tratti antisociali, psicopatici o narcisistici e, più nello specifico, se la combinazione di disturbi dell’attaccamento con la propria figura di riferimento, l’aver assistito o subito a violenza nel proprio ambiente familiare e la presenza di pregiudizi di genere possano essere considerate variabili significative nella perpetrazione della violenza.

LA VIOLENZA DOMESTICA

La violenza domestica viene definita come un fenomeno caratterizzato da atti di violenza di genere che comportano una sofferenza fisica, sessuale o psicologica o una qualsiasi altra forma di sofferenza alla vittima, comprese le minacce di tali violenze, forme di coercizione o forme arbitrarie di privazione della libertà personale, sia che si verifichino nel contesto privato che in quello pubblico (Arcidiacono & Di Napoli, 2012). L’Intimate Partner Violence è la tipologia di violenza più comune subita dalle donne (Johnson, 2017). Questa tipologia di abuso può assumere varie forme: secondo l’Oms (2002) l’IPV comprende abusi fisici, sessuali e psicologici, spesso in combinazione.
La violenza fisica si riferisce all’uso della forza fisica per infliggere dolore, lesioni o sofferenza fisica alla vittima (Ali et al., 2016). La violenza sessuale, invece, comprende la costrizione a fare sesso o a compiere atti sessuali quando la vittima non è consenziente, fare del male alla vittima durante il rapporto sessuale e costringerla a non utilizzare protezioni da infezioni o gravidanze (OMS, 2014). La violenza psicologica si riferisce all’uso di vari comportamenti destinati ad umiliare e controllare un altro individuo in pubblico o in privato (Ali et al., 2016). L’abuso emotivo può includere violenze verbali, criticare costantemente, ricattare o minacciare, monitorare o limitare i movimenti e l’accesso ad amici o parenti, limitare l’indipendenza economica e l’accesso a informazioni, assistenza e altre risorse e servizi, quali servizi educativi o sanitari (ibidem).

L’ATTACCAMENTO IN ETA ADULTA

Un altro aspetto preso in considerazione per condurre la ricerca è stato quello relativo all’attaccamento infantile e su come questo può influenzare lo sviluppo dell’attaccamento nell’età adulta. Bowlby (1988) definisce l’attaccamento come l’insieme dei legami emotivi che creiamo con le persone intorno a noi lungo tutto l’arco della vita. Si crea, in primo luogo, durante l’infanzia con i genitori, per poi apparire in seguito con altre figure di attaccamento come i fratelli, i parenti, gli amici e il partner.
Molte sono state le ricerche che hanno indagato l’eventuale trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento da caregiver a bambino. Si sostiene, infatti, che l’attaccamento venga trasmesso di generazione in generazione e diversi teorici dell’attaccamento hanno osservato che vi è una tendenza alla ripetizione dei pattern di attaccamento tra le generazioni: il modello interno del genitore, cioè, avrà un’alta probabilità di ritrovarsi nel figlio (Anfossi, 1999).
Gli studi sulla trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento e sugli stili d’attaccamento in età adulta sono stati estesi fino ad includere i rapporti di coppia, quando Shaver e Hazan (1988) hanno individuato pattern d’attaccamento tra i partner in una coppia.
I pattern individuati sono quattro: attaccamento sicuro, caratterizzato da relazioni di coppia stabili e soddisfacenti; attaccamento insicuro, caratterizzato da dipendenza affettiva dal proprio partner e dalla paura di essere lasciati o abbandonati; attaccamento evitante, rappresentato dalla convinzione di non meritare l’amore del proprio partner; infine, l’attaccamento disorganizzato, riscontrabile in individui che hanno vissuto esperienze sentimentali che non hanno ancora metabolizzato, queste esperienze possono essere state di tipo abusivo o caratterizzate da situazioni di lutto e perdita.

PREGIUDIZIO DI GENERE

L’espressione violenza di genere viene utilizzata in senso esteso per indicare i maltrattamenti di un genere nei confronti dell’altro sesso, tuttavia negli ultimi anni ha assunto, sulla base del reiterato verificarsi di eventi emergenziali a danno delle donne, una specifica connotazione per indicare la violenza maschile rivolta al genere femminile (Falco, 2019).
L’essere donna sembra rappresentare una vera e propria predisposizione vittimogena, favorendo il rischio di vittimizzazione della donna in qualsiasi contesto socioculturale (Falco, 2019). Per predisposizione vittimogena si intende l’insieme di caratteristiche fisiologiche, psicologiche, psicopatologiche, sociali ed economiche che in alcune circostanze possono facilitare il processo di vittimizzazione di una determinata persona (ibidem). A tal proposito, già negli anni Cinquanta, Hans Von Hentig, uno dei fondatori della vittimologia, identificò il genere femminile come una delle condizioni predisponenti al ruolo di vittima (Hentig, 1948). Il senso comune favorisce questo tipo di predisposizione socioculturale dell’essere donna, interpretando la violenza di genere come l’esito di comportamenti errati da parte di quest’ultima, spesso accusata di deviare dai criteri di ruolo culturalmente stabiliti (Falco, 2019). Ciò emerge anche da uno studio dell’ISTAT (2019) “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale” che sostiene che il 39,3% della popolazione si dichiara molto o abbastanza d’accordo con l’affermare che “le donne che non vogliono un rapporto sessuale riescono a evitarlo”. Inoltre, l’idea che il modo di vestire possa provocare una violenza sessuale trova d’accordo il 23,9% della popolazione. Da questi dati emerge la relazione tra gli stereotipi sulla violenza sessuale, gli stereotipi sui ruoli di genere e la tolleranza verso la violenza.
E’ importante dire che esiste un’altra parte della letteratura, invece, che ritiene che la violenza domestica, come tutti i tipi di violenza, è una questione umana e non solo un problema di genere. Secondo tale prospettiva, classificare la violenza da parte del coniuge e del partner come una questione femminile, piuttosto che come una questione umana, è errato poiché, nelle relazioni domestiche, le donne sono inclini quanto gli uomini a compiere atti di abuso fisico (McNeely e colleghi, 2001; Dutton e White, 2013). Una ragione per cui la violenza del partner intimo verso gli uomini è sottovalutata sembra essere che gli uomini hanno meno probabilità di vedere l’IPV come un crimine o per denunciarlo alla polizia. Inoltre, quando le vittime di sesso maschile tentano di accedere ai servizi, è più probabile che siano etichettati come aggressori, trattati con sospetto e che le lesioni che hanno subito vengano minimizzate (ibidem).

PROGETTO DI RICERCA

Ipotesi di ricerca e obiettivi
Questo studio pone le sue fondamenta su tre aspetti in particolare, all’interno del contesto della violenza domestica, che sono: l’attaccamento in età adulta, il pregiudizio di genere e comportamenti di controllo non aggressivi all’interno della relazione. Analizzando la letteratura esistente sono stati individuati molti studi che si soffermano solo sull’analisi della violenza domestica in relazione unicamente all’attaccamento (vedi Orsi, 2010; Carbone, 2014), unicamente al pregiudizio di genere (vedi Anderson, 2013; Straus, 2005; McNeely, Cook, & Torres, 2001), e unicamente al controllo (Verschuere et al., 2018) ma non è stato rintracciato nessuno studio precedente che si ponesse come obiettivo quello di analizzare l’esistenza o meno di un’eventuale correlazione tra le tre variabili.
Questo studio, quindi, parte dalla formulazione di un’ipotesi secondo cui se uno o entrambe i partner presentano pregiudizi di genere e/o disturbi dell’attaccamento, con conseguenti difficoltà ad intrattenere relazioni o rapporti sani e alla pari con un altro individuo, allora è possibile che nella relazione intima con un partner si presentino situazioni di violenza domestica con maltrattamenti o abusi verbali, psicologici e/o fisici.
A questo punto possiamo soffermarci nello specifico sugli obiettivi del presente studio, andando a valutare se le ipotesi sopracitate possano essere validate all’interno del nostro campione di vittime:
• Relazione tra attaccamento in età adulta, pregiudizio di genere e controllo rispetto ad alcuni dati personali dei partecipanti alla ricerca come scolarizzazione, provenienza geografica e occupazione;
• Relazione tra una presenza di pregiudizio di genere, sia benevolo che ostile, nei confronti degli uomini e disturbi dell’attaccamento, con l’essere nati e cresciuti in una famiglia d’origine in cui vi era prevalenza di comportamenti aggressivi e violenti;
• Relazione tra tipologia di attaccamento e pregiudizio di genere, e la tendenza della vittima a subire e patire il controllo del suo partner violento;

Campionamento e procedura
Il gruppo dei partecipanti a cui sono stati somministrati i questionari è formato da 34 vittime di violenza domestica. Il campionamento è avvenuto grazie all’individuazione di una serie di centri antiviolenza sul territorio italiano che ospitano e accolgono quotidianamente decine di persone vittime di violenza. Per quanto riguarda la procedura, non è stato possibile somministrare personalmente la batteria di test ai partecipanti della ricerca, poiché il periodo di pandemia che abbiamo vissuto e stiamo vivendo tutt’ora non ci ha permesso di raggiungere i centri. È stata utilizzata, quindi, una survey online per la raccolta dei dati e tramite un link abbiamo inviato ai centri aderenti i questionari da far compilare ai partecipanti.

Strumenti utilizzati
Gli strumenti utilizzati per lo svolgimento dello studio presentato in questo elaborato sono:
La Scheda di Rilevazione Dati rappresenta la parte iniziale della batteria dei test sottoposta ai partecipanti ed è stata creata da noi per rilevare informazioni sui soggetti del campione, come ad esempio la scolarizzazione, la provenienza geografica e l’occupazione. La scheda è composta da 22 item e raccoglie al suo interno una serie di domande che aiutano noi autori a comprendere il background sociale e culturale della vittima, il tipo di rapporto che intercorreva con il partner abusante, la tipologia di abuso subito, episodi di violenza nella famiglia d’origine o passate relazioni maltrattanti.
Il Relationship Questionnaire (RQ) è stato utilizzato per analizzare la variabile relativa all’attaccamento.
The Ambivalence Toward Men Inventory (AMI) è stato utilizzato per analizzare la variabile relativa al pregiudizio di genere.
L’Intimate Partner Violence Control Scale (IPVCS) è stato utilizzato per valutare il livello di controllo nelle storie di violenza domestica analizzate.

Analisi dei dati
Riguardo l’analisi dei dati, sono stati calcolati singolarmente i punteggi dei tre test presenti nella batteria. Prima di tutto è stato calcolato il punteggio del Relationship Questionnaire, ricavato dall’individuazione dell’item con il punteggio più elevato. A questo proposito sottolineiamo che ogni item del test corrisponde ad una specifica tipologia di attaccamento. Per quanto riguarda l’Ambivalent Toward Men Inventory (AMI), invece, sono state calcolate le statistiche descrittive, media e deviazione standard, e l’Alpha di Cronbach delle due sottoscale Pregiudizio ostile (HM) e Pregiudizio benevolo (BM).
Infine, per quanto riguarda l’Intimate Partner Violence Control Scale (IPVCS) sono state calcolate l’Alpha di Cronbach, le statistiche descrittive, media e deviazione standard per le tre componenti del test (Controllo attraverso la sorveglianza e le minacce; Controllo sulla routine quotidiana e sul processo decisionale; Controllo sui comportamenti autonomi).

Risultati
L’analisi delle correlazioni tra i tre test e la Scheda dati ci hanno fornito interessanti informazioni. Utilizzando il test di Kruskal-Wallis sono risultati non significative le seguenti correlazioni: le distribuzioni della variabile AMI_HM nei gruppi di RQ; i test effettuati tra RQ e AMI_BM; e tra RQ e le tre componenti di IPVCS; tra AMI e IPVCS con il titolo di studio; correlazione di AMI con l’item 21 della Scheda Dati, relativo all’aver assistito ad episodi di violenza nella propria famiglia di origine; correlazione tra AMI ed area geografica di provenienza.
Dopodiché siamo passati ad analizzare le eventuali correlazioni tra AMI e IPVCS. Attraverso l’utilizzo della Correlazioni di Pearson abbiamo individuato diverse relazioni tra le variabili. La variabile AMI_BM è risultata positivamente correlata con la variabile Controllo attraverso la sorveglianza e le minacce. La variabile Controllo attraverso la sorveglianza e le minacce è positivamente correlata sia con Controllo sulla routine quotidiana e sul processo decisionale che con Controllo sui comportamenti autonomi. Infine, Controllo sulla routine quotidiana e sul processo decisionale è positivamente correlata con Controllo sui comportamenti autonomi.
Invece, AMI_HM non è correlata con nessuna delle variabili prese in esame.

DISCUSSIONE E CONCLUSIONE

Analizzando l’RQ è risultato che il 29,4% del nostro campione appartiene alla tipologia di attaccamento disinteressato. Gli individui con questa tipologia di attaccamento, quindi, si sentono a loro agio senza relazioni affettive, negando fortemente l’importanza dell’attaccamento e rifiutando qualsiasi tipo di intimità e dipendenza.
Il test RQ è stato messo in relazione con un item della Scheda Dati relativo all’aver assistito ad episodi di violenza nella propria famiglia di origine. È interessante notare come il gruppo appartenente alla categoria dei Disinteressati risulta aver assistito ad episodi di violenza durante l’infanzia nel 30% dei casi “spesso” e nel 30% dei casi “sempre”. Infine, per quanto riguarda la categoria dei Preoccupati risulta che solo il 25% del gruppo non ha mai vissuto episodi di violenza nella famiglia d’origine, mentre il restante ha avuto almeno un’esperienza violenta nella propria famiglia d’origine. Di rilevante importanza il risultato ottenuto con la correlazione tra la sottoscala BM (pregiudizio benevolo) dell’AMI e la Componente 1 (Controllo attraverso la sorveglianza e le minacce) dell’IPVCS. I valori che abbiamo ottenuto dalle statistiche descrittive di queste due componenti ci inducono a pensare che, livelli più elevati di atteggiamento benevolo nei confronti degli uomini, correlino significativamente con l’accettare passivamente il controllo del proprio partner, esercitandone, invece, molto poco su quest’ultimo. Inoltre, attraverso la Correlazione di Pearson, è stato possibile osservare come tutte e tre le componenti dell’IPVCS (Controllo attraverso la sorveglianza e le minacce; Controllo sulla routine quotidiana e sul processo decisionale; Controllo sui comportamenti autonomi), siano positivamente correlate tra di loro; ciò suggerisce che nel nostro campione di vittime di violenza domestica le tre componenti del controllo tendono a presentarsi contemporaneamente e con la stessa frequenza.
Nello studio effettuato risultano evidenti alcune correlazioni che ci danno modo di riflettere su quelli che potranno essere gli sviluppi futuri di questo progetto. Come già anticipato, stiamo lavorando all’ampliamento del nostro progetto di ricerca attraverso il reclutamento di un campione di vittime di violenza domestica più ampio e un campione di offender di IPV altrettanto considerevole per ottenere risultati sempre più validi e attendibili e che siano d’aiuto alla ricerca in questo ambito.

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