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Un anno di guerra in Ucraina: il decalogo di errori degli “esperti” – Stefano Magni

Forse, ancora dopo un anno di guerra, non ci rendiamo conto dell’importanza e della gravità dell’invasione russa dell’Ucraina. Gli effetti di questa azione criminale sono ancora tutti da capire ed è troppo presto per fare un bilancio.

Nonostante il proliferare di instant books di analisi, non sappiamo neppure i dati essenziali: quanti morti, quanto equipaggiamento distrutto, quanta produzione industriale è ancora possibile, quale è l’entità e l’effetto dello shock sulle popolazioni civili. Però sappiamo almeno cosa non è successo: la guerra ha distrutto almeno dieci convinzioni radicate, anche dei migliori analisti di relazioni internazionali. Vediamo questo decalogo di errori.

Guerre convenzionali

Nel XXI Secolo le guerre convenzionali non si combattono più. E invece sì. Quella in Ucraina sembra (ed è) la tipica campagna militare del Novecento, combattuta da masse in armi mobilitate, con artiglieria, carri armati, missili e trincee.

Chi parlava di “superamento” del conflitto convenzionale, ha inventato mille neologismi per descrivere la guerra del presente: ibrida, fluida, asimmetrica, ecc… ma non si è accorto, ad esempio, che la guerra ibrida combattuta dai russi in Ucraina sin dal 2014 altro non era che la preparazione dell’invasione vera e propria.

L’invasione

La Russia non invaderà l’Ucraina. E invece l’ha invasa. Eppure quanti erano convinti che la Russia non invadesse, fino al giorno stesso? Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, il 23 febbraio 2022 parlava ancora del pericolo di aggressione come di “fake news” americane.

Pazienza per i giornalisti, ma anche i governi europei, a partire da Francia, Germania e Italia, non davano ascolto ai continui avvertimenti dell’intelligence Usa, nonostante i segnali di un’invasione imminente fossero lì da vedere.

Perché non siamo riusciti a capire o perché non volevamo capire? In parte conta il pregiudizio teorico di cui sopra: l’idea che nel XXI Secolo le guerre convenzionali fossero impossibili. Ma ha pesato certamente un forte pregiudizio positivo nei confronti della Russia, soprattutto dai Paesi più legati economicamente a Mosca.

La minaccia cinese

La Cina è la prima minaccia all’ordine mondiale liberale. Soprattutto negli Usa l’attenzione degli strateghi è sempre stata rivolta esclusivamente alla Cina e non alla Russia. Ancora a guerra iniziata, la “dottrina Blinken” di politica estera individua nella Cina la minaccia principale. Eppure, è la Russia che sta facendo la guerra all’Occidente, non la Cina.

Il regime comunista di Pechino ha espresso la sua volontà di espandersi anche territorialmente, ma almeno Xi Jinping sta dimostrando di aver interesse a rimandare le sue ambizioni militari, contrariamente a Putin.

La causa di questa ossessione per la minaccia cinese deriva solo in parte dall’ideologia (anche perché non c’è più l’anticomunismo di una volta), ma è dovuta maggiormente a una lettura economicistica delle relazioni internazionali: la Cina è in crescita demografica ed è economicamente sempre più forte, mentre la Russia è in declino demografico e ha un Pil pari a quello della Spagna.

Quindi è più pericolosa la Cina? La storia (e il presente) dimostra che è più pericoloso il povero in declino, specie se si sopravvaluta e viene sopravvalutato sul piano militare.

Sconfitta in tre giorni

L’Ucraina sarà battuta in tre giorni, al massimo una settimana. Ma invece di essere a Kiev da vincitori, dopo un anno i russi sono ancora impantanati nel Donbass.

L’errore commesso dalla comunità di intelligence russa e anche da quella americana, convinte entrambi che l’Ucraina non avesse speranze, è dovuta a un misto di pregiudizi positivi nei confronti dell’esercito russo e negativi per quello ucraino.

La realtà ha invece dimostrato che quello russo non è il “secondo esercito del mondo”, ma una forza armata degna di un Paese del terzo mondo, con una dottrina operativa, un addestramento e un equipaggiamento non all’altezza di un conflitto moderno. Ed è inutile persino il dominio del cielo e del mare, se non si sanno impiegare aviazione e marina in modo decente.

L’Ucraina filorussa

L’Ucraina è un Paese diviso. Quindi si credeva che la metà orientale accogliesse i russi a braccia aperte, perché politicamente schierata contro la rivoluzione filo-occidentale del Maidan e linguisticamente russofona.

Ma già le ultime elezioni presidenziali segnavano un cambiamento, per chi lo sapeva leggere: Zelensky ha stravinto a Est come all’Ovest del Paese. La guerra ha dimostrato ulteriormente che l’Ucraina è compatta. Per lo meno nessuno vuole stare sotto i russi, nemmeno se è “russofono” o abita in città con una lunga tradizione storica russa, come Odessa o come Kharkiv.

La supremazia Usa

L’unipolarismo è finito. Magari domani, ma certamente non oggi, come questa guerra sta dimostrando chiaramente. Putin, sicuramente, ne era convinto quando ha lanciato la sua guerra di invasione ignorando gli avvertimenti di Usa e Nato. Ne era convinto anche perché l’Occidente è pieno di libri crepuscolari sulla fine dell’ordine occidentale.

Ma la guerra dimostra che persino le briciole dell’arsenale statunitense sono sufficienti a fermare per un anno il grosso del “secondo esercito del mondo”. Un esempio palese è quello degli Himars, progettati solo come artiglieria per il fuoco di contro-batteria: usati contro i russi sono diventati addirittura dei “game changer” sul campo di battaglia. Gli Usa non hanno rivali. Ed anche i cinesi prendano nota.

L’Occidente in crisi

L’Occidente è in crisi e profondamente diviso. Sicuramente l’Occidente ha i suoi problemi e non è del tutto coeso. Ma almeno di fronte ad una minaccia palese ha saputo ritrovare la sua unità, di qua e di là dall’Atlantico.

Putin contava sulla dipendenza di parte dell’Europa continentale dal suo gas. Ma persino la Germania ha saputo dimostrare di potersene liberare in meno di un anno. Non sono scoppiate gravi crisi economiche e sociali, su cui i russi contavano. E nessuno ha abbandonato la Nato. Anzi: Finlandia e Svezia hanno chiesto di entrarvi.

Le sanzioni

La guerra si vince con le sanzioni. Come volevasi dimostrare: no. Le sanzioni non sono mai servite a rovesciare un regime nel lungo periodo, tantomeno sono utili per vincere una guerra che richiede un’azione nel breve periodo.

L’amministrazione Biden e gli alleati europei hanno, anche qui, dato troppo per scontata una lettura economicistica delle relazioni internazionali e della società russa. Forse con il boicottaggio delle grandi aziende, l’espulsione dai circuiti bancari, l’avvizzimento dei contatti e la distruzione della reputazione del Paese aggressore, pensavano davvero che i russi si sarebbero ribellati contro Putin?

O che gli oligarchi lo avrebbero ucciso? I russi, a quanto pare, non pensano esclusivamente ad accrescere il loro benessere: tengono anche conto del potere (per chi collabora) e del terrore (per chi prova a rifiutarsi) che sono spinte altrettanto forti, se non di più. Specialmente in guerra.

La “resistenza” russa

I russi non sopporterebbero troppe perdite. E invece sì e in una misura che noi non immaginiamo più da un secolo. Il fatto che la Nato abbia fornito all’Ucraina armi solo difensive, poi anche offensive ma a corto raggio, si basava, oltre che sulla paura di un’escalation, anche sulla convinzione che infliggere perdite colossali ai russi, sul campo di battaglia sarebbe stato sufficiente a indurli a più miti consigli.

Ma così non è. Gli Usa si sono stancati di combattere in Afghanistan dopo 2.500 morti (in 20 anni), ma i russi continuano a combattere e lanciare offensive anche dopo aver subito decine di migliaia di morti in un solo anno. Per vincere la guerra occorre vincere le battaglie, non basta logorare il nemico. I prossimi aiuti militari devono essere mirati a raggiungere obiettivi più ambiziosi.

L’escalation nucleare

Le guerre nucleari sono impossibili? Nessuno qui si augura che questo luogo comune venga sfatato. Ed è chiaro che i russi hanno tutto l’interesse ad alimentare la paura dell’escalation nucleare per spaventare gli ucraini e noi.

Però la Russia, potenza nucleare mondiale, membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha già violato il tabù dell’invasione di un Paese sovrano, in Europa, sotto il naso della Nato. Putin si è lanciato in un’impresa del tutto irrazionale, secondo i nostri parametri.

La sua minaccia reiterata di usare l’atomica è assecondata da un’opinione pubblica russa che, contrariamente alla nostra, non ha paura della bomba: o reagisce con passività, oppure ne chiede l’uso a gran voce, sui social network così come nelle piazze.

Non possiamo contare sulla razionalità di un attore che si è dimostrato irrazionale, sotto ogni aspetto. Anche qui c’è la risposta giusta e quella sbagliata. La risposta sbagliata, da parte nostra, sarebbe quella di costringere l’Ucraina alla resa, per paura della guerra nucleare.

La risposta giusta è invece quella di ripristinare e potenziare il nostro deterrente. E non basta far sapere a Putin che, in caso di escalation, “perderemo tutti”. Bisognerà fargli capire, proprio, che in caso di escalation, sarà lui a perdere tutto.

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