«Attenti compagni, questo gabbiano è un’aquila». È la frase con cui, secondo i sempre più rari vecchi comunisti, Valentina Tereškova fu inquadrata dal veterano che la stava addestrando per il programma spaziale che l’avrebbe portata, il 16 giugno 1963, ad essere la prima donna nello spazio. «Gabbiano» era il nome in codice che lui stesso le aveva assegnato. Presto si era accorto di aver sbagliato analisi sulla giovane operaia bielorussa.
Gli osservatori della sinistra italiana, alle prese con il caso della “movimentista” Elly Schlein diventata segretaria grazie alle curiose regole del Pd – che i fondatori avevano escogitato ma evidentemente non preso sul serio – rischiano di fare la parte dell’esperto ma ottuso cosmonauta. Da venerdì, quando la leader ha annunciato i nomi della sua segreteria, dovranno tentare un’analisi un po’ più seria, valutando come ha affrontato la prima prova del nove interna, o per dirla con il suo ex sfidante Stefano Bonaccini, la sua prima «prova del budino».
Non che la segreteria di un leader plebiscitati dai gazebo abbia mai contato granché nel Pd. Comunque il ginepraio delle spinte interne poteva impaniarla da subito: la richiesta di una «gestione unitaria» da parte della minoranza sconfitta (che però è maggioranza nel partito), le aspettative dei suoi sostenitori, la risposta di svolta da dare al popolo delle primarie.
Il precedente renziano
Schlein ha deciso con pugno di ferro. E per trovare precedenti, va ammesso, bisogna risalire ai tempi di Matteo Renzi. Ha detto, in sostanza: la macchina (del Pd) la guido io. Ha usato i profili degli uomini e delle donne che aveva intorno per il suo disegno, sorprendentemente lucido e nient’affatto improvvisato.
Ha messo un suo uomo all’organizzazione, Igor Taruffi, solido partitista emiliano benché neoiscritto al Pd (ex Sel, già uomo-macchina della lista Emilia Coraggiosa), fedele alla leader ma anche in sintonia con Bonaccini (è assessore al welfare in Emilia-Romagna); e una sua donna al coordinamento della segreteria, Marta Bonafoni, eletta alla regione Lazio «dai centri sociali», come ha detto lei stessa, ma determinata e di polso. Non ha dato questi incarichi alla sinistra interna, che pure l’ha sostenuta dall’inizio. Le ha assegnato deleghe di peso (Esteri, Economia, Sud, Migranti a Peppe Provenzano, Antonio Misiani, Marco Sarracino, Pierfrancesco Majorino) ma non si è messa in quelle mani: anzi le ha riassegnato il ruolo di sinistra di governo. Perché nel nuovo Pd la sinistra è lei.
L’uso delle correnti
Ha tenuto in qualche considerazione le correnti, e sarebbe stato ingenuo e illusorio sottrarsi, ma a suo modo: per esempio scegliendo una franceschiniana molto vicina a lei come Marina Sereni (alla sanità); e una donna vicina a Graziano Delrio, Debora Serracchiani, della cui lealtà può essere certa: è stata leale ai segretari precedenti. Con la minoranza ha fatto, dal suo punto di vista, un capolavoro: tutta la segreteria è figlia di un accordo con Bonaccini, che ha voluto come unico interlocutore, evitando così di dover mediare con le diverse parrocchie interne, che ora sono scontente ma costrette al sostegno. Bonaccini le ha detto sì a nome di tutti, così sminando la possibilità che qualcuno possa intestarsi il ruolo di opposizione interna. Tutto il resto resto è Schlein: ha chiamato con sé molti esponenti della sinistra civica, ecologista e delusa dal Pd, tesserati dell’ultima ora, che la aiutino a declinare la scommessa di riportare il discorso del Pd alla radicalità delle soluzioni, e a riportare a casa i voti persi per strada nello scorso quindicennio, finiti nell’astensione o nei Cinque stelle.
Schlein insomma ha usato tutta la forza delle primarie per girare a sinistra il volante. E si è caricata tutta su di sé la scommessa delle prossime europee, il vero banco di prova, molto più che i grappoli di amministrative che si svolgeranno da qui alla prossima primavera. Nel frattempo dovrà alzare al massimo l’attacco dall’opposizione al governo di Giorgia Meloni.
Ma dati i numeri del parlamento, Schlein sa che il giorno del giudizio sarà il giorno di quel risultato. E che, dopo, per il Pd inizierà un’altra storia, con lei o senza. La sua occasione è l’occasione per il Pd per frenare l’irresistibile discesa che aveva imboccato. Certo è anche un azzardo, innanzitutto per sé. Sono in molti, anche da sinistra, che le augurano il destino dei Corbyn e dei Sanders. Da oggi in poi sta a lei provare, con la forza e l’astuzia che ha dimostrato nella scelta della guida della macchina del Pd, che quel destino della sinistra non è scritto, almeno alle nostre latitudini.
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