La prima sezione della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso avanzato dall’avv. Basilio Pitasi , difensore di Cristian Pennestrì, ha annullato senza rinvio l’ordinanza del Tribunale della Libertà che aveva confermato la misura cautelare adottata dal Gip di Reggio Calabria e ne ha ordinato l’immediata scarcerazione. Il procedimento aveva avuto origine nel novembre del 2022 allorquando veniva perquisito un appartamento sito in via Pensilvania da parte di agenti della Polizia di Stato la cui attenzione sarebbe stata attirata da strani movimenti che avevano indotto gli agenti a circondare la casa. Uno di questi agenti, appostato lungo la Via Miceli, aveva notato che un soggetto apriva una finestra e poggiava sul davanzale una busta all’interno del quale veniva scoperto un fucile a canne mozze con matricola abrasa. Si procedeva pertanto alla perquisizione dell’appartamento all’interno del quale veniva individuati due soggetti, i cugini Pennistrì Salvatore e Pennestrì Cristian.
I predetti pertanto venivano arrestati in fragranza per detenzione di arma clandestina e ricettazione. Il Gip convalidava l’arresto ed emetteva ordinanza di custodia in carcere per Pennestrì Salvatore ed agli arresti domiciliari per Pennestrì Cristian in considerazione delle sue precarie condizioni di saluti, il quale aveva comunque protestato la sua assoluta estraneità ai fatti. Contro quest’ultimo provvedimento la difesa aveva proposto istanza di riesame al Tribunale della Libertà che aveva però confermato la misura. Contro quest’ultimo provvedimento è insorto l’avv. Basilio Pitasi che lo aveva censurato severamente sia sotto il profilo della mancanza di motivazione sia sotto il profilo della violazione di legge. In particolare il difensore segnalava come ai fini della configurabilità del concorso in detenzione o porto illegale di armi, è necessario che ciascuno dei compartecipi abbia la disponibilità materiale di esse e si trovi, pertanto, in una situazione di fatto tale per cui possa, comunque, in qualsiasi momento, disporne. Il difensore aggiungeva che la giurisprudenza di legittimità, che ha specificamente esaminato la rilevanza della consapevolezza dell’altrui detenzione di armi, ha chiarito che essa, da sola, costituisce semmai una connivenza non punibile, dovendosi, invece, ravvisare il concorso quando il reo, stabilmente collegato con l’autore e il luogo di detenzione, ponga in essere ulteriori condotte materiali di tolleranza della altrui detenzione e di dissimulazione dell’altrui illecita attività che siano dimostrative di un rapporto diretto con l’arma.
Nel frattempo gli imputati sono stati rinviati a giudizio ed entrambi hanno chiesto di essere giudicati nelle forme del giudizio abbreviato.
Rigettata la richiesta di prova integrativa, l’accusa, rappresentata dal PM dott. Stefano Musolino, concludeva chiedendo la condanna di entrambi gli imputati alla pena di anni sei nel mentre ed il procedimento veniva rinviato per l’intervento dei difensori e per attendere l’esito del ricorso in cassazione. In Cassazione, invece, il Procuratore Generale chiedeva che il ricorso di Pennestrì Cristian venisse dichiarato inammissibile in quanto, a suo dire, sarebbe stata chiesta alla Corte di Cassazione una valutazione di merito. Interveniva a questo punto, l’avv. Pitasi per stigmatizzare severamente le conclusioni del PG e per sottolineare come il ricorso fosse tutt’altro che inammissibile essendo stata censurata la carenza assoluta di motivazione in relazione a quelle che dovevano essere le coordinate che presiedere al giudizio di gravità indiziaria. Considerazioni che erano tanto fondate che la Corte di cassazione annullava senza rinvio il provvedimento impugnato ordinando l’immediata scarcerazione dell’indagato.