(Milena Gabanelli e Gianni Santucci – corriere.it) – L’Europa ci finanzia (tanto: 330 milioni) per piantare nuovi alberi intorno alle città (tantissimi: 6 milioni e 600 mila piante). L’Italia però, per ora, sta mettendo in terra soltanto dei semi. Secondo il collegio di controllo concomitante della Corte dei conti, l’equiparazione non sta in piedi. I carabinieri, incaricati delle verifiche, sostengono la stessa tesi: non possono «collaudare» progetti di forestazione urbana senza vedere gli alberi. E così, se l’equivalenza albero-seme ipotizzata dal Ministero dell’ambiente non verrà accettata dalla Commissione europea, l’Italia rischia di disperdere la possibilità offerta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza: creare nuovi boschi intorno alle 14 Città metropolitane per combattere l’inquinamento (abbiamo tre procedure di infrazione aperte) e contrastare l’effetto «isola di calore» in estate.
I requisiti del bando
Il documento da cui partire è l’avviso pubblico per aderire ai bandi del Pnrr. Risale al 30 marzo 2022. Il piano riservato alle Città è articolato in 3 anni: 74 milioni nel 2022, per piantare almeno un milione e 650 mila alberi entro l’anno, ovvero 1.700 ettari di boschi. Stesse risorse, per lo stesso numero di alberi, nel 2023. La parte restante, nel 2024. Dalla primavera 2022 dunque, le Città iniziano a individuare le aree per i nuovi boschi (zone dismesse, abbandonate, ex cave) e i vivai pronti a piantare gli alberi. Il tempo non è molto. E c’è un problema, già segnalato da fine 2021: il rischio di non trovare, in meno di un anno, 1,65 milioni di alberi da «mettere a dimora». La siccità amplifica i problemi. Le difficoltà sono oggettive.
Pochi alberi e molti semi
La soluzione arriva il 18 maggio 2022. Il Ministero dell’ambiente pubblica un chiarimento per le Città metropolitane nel quale spiega che, per raggiungere l’obiettivo del 2022, prevede «l’uso di semi finalizzati al rimboschimento». E nei mesi successivi firma una convenzione con l’azienda vivaistica della Regione Umbria, Umbraflor: diventerà un macro serbatoio di semina, al quale tutte le Città potranno attingere. Sulla carta, tutto procede al meglio. Il Ministero infatti a fine anno riceve l’aggiornamento lavori dalle Città e conclude: «Entro il 31 dicembre 2022, l’obiettivo è stato conseguito con la messa a dimora di 2.025.170 semi e piantine, di cui 1.504.796 direttamente dalle Città metropolitane e 520.374 in adesione alla convenzione Umbraflor». Target non solo raggiunto, ma ampiamente superato. A questo punto, però, bisogna rispondere a due domande. La prima: la gran massa degli alberi, e cioè il milione e 650 mila che da fine 2022 dovrebbero già costituire i giovani nuovi boschi, almeno in parte li stiamo piantando o no? E l’interrogativo collegato: la Commissione europea accetterà l’equiparazione tra semi (che diventeranno piantine, che poi andranno spostate e trapiantate) e alberi già piantati? Ad oggi non si è ancora espressa. Ma andiamo con ordine.
Le verifiche
Nella seconda metà del 2022, il Collegio di controllo della Corte dei conti (che ne ha il compito istituzionale) inizia a verificare come procedono i lavori. E incarica i comandi provinciali dei carabinieri di fare accertamenti. Questi sono i risultati: nella maggior parte dei casi, spiegano i militari a fine 2022, le Città metropolitane sono ancora in «fase di progettazione.
Catania: «Non è stata messa a dimora alcuna essenza forestale». Messina: «Si presume che per la data del 10 dicembre 2022 non verranno messe a dimora piantine (444 mila, ndr)». Palermo: «Lavori sospesi». Bologna: «Le operazioni di messa a dimora sono state effettuate per complessive 1.100 piante». Genova: «Da un primo controllo delle ditte che hanno partecipato al bando… sono stati riscontrati già casi di denunce per turbativa d’asta o truffe nella percezione di pubbliche erogazioni». In conclusione: numero di nuovi alberi intorno alle città quasi nullo (comunque neppure stimabile). Al contrario, nei vivai sono stati interrati moltissimi semi.
I semi non sono alberi
I carabinieri si chiedono: «Cosa controlliamo?» E si arriva così all’equivalenza semi/alberi. Sarà valida? La Corte dei conti è scettica: secondo i magistrati, «emergono dubbi e perplessità sulla effettiva proponibilità di una tale equiparazione» (relazione del 14 marzo 2023). Anche perché «a tutt’oggi la Commissione europea non si è ancora espressa sulla correttezza dell’interpretazione» del Ministero. Il tema ha anche un’implicazione giuridica. Nella relazione del 29 novembre 2022, i carabinieri del Lazio spiegano: «La semina in vivaio non può essere assimilata alla forestazione urbana e, pertanto, neanche essere oggetto di collaudo ai fini del raggiungimento degli obbiettivi del Pnrr». La semina è «un’attività extra progettuale», quindi non è finanziabile; mentre «la forestazione urbana racchiude l’insieme degli interventi sul sito finale e si conclude con l’attestazione della regolare e corretta esecuzione dei lavori». In una formula più semplice: si può verificare se un progetto sia realizzato o no; ma dato che oggi i nuovi boschi non esistono, non si può certificare di fronte alla Commissione europea che in futuro (forse) quei boschi spunteranno. Sarebbe una sorta di mostro giuridico. La forza con cui la Corte dei conti appoggia questa posizione sta tutta in un avverbio: «Il Collegio condivide convintamente tali valutazioni, tecnicamente motivate». Conseguenza: se «la Commissione europea non dovesse considerare equivalente la semina in vivaio con la messa a dimora degli alberi, il target 2022 non sarà stato raggiunto».
Vecchi progetti
Una piccola parte dei fondi (fino a 30 milioni) prevede di finanziare anche «progetti già in essere». In pratica, se una Città ha un progetto approvato, o già partito, che corrisponde ai criteri del bando, può farlo rientrare sotto l’«ombrello» del Pnrr. A fine del 2021, il Ministero ne accoglie 34. Passano i mesi. E a fine 2022, sempre i carabinieri, verificano anche come stanno andando. Questo è l’esito dei verbali. Partiamo da Genova: «Le aree oggetto di riforestazione sono prevalentemente già boscate»; «Non è stata riscontrata la messa a dimora delle 868 piante dichiarate; quasi tutte si sono seccate».
Torino: «Numero elevato di piante morte, in alcuni casi anche il 100 per cento». Reggio Calabria: «L’area versa in stato di abbandono con gli alberi soffocati da piante infestanti». Nel complesso, i carabinieri «riscontrano significativi ritardi di esecuzione».
Il caso Milano
In questo quadro, il caso Milano è emblematico. La Commissione chiede che siano piantate solo specie autoctone, e che le aree minime per i nuovi boschi siano di almeno un ettaro. La Città metropolitana lombarda non ha aderito al bando perché questi spazi non ci sono. Il suolo è troppo sfruttato dal cemento, e dove c’è del verde è occupato da aree agricole. Col paradosso che, dove ce ne sarebbe più bisogno, la riforestazione del Pnrr non è possibile. In realtà, fra il 2018/2019 Città metropolitana, Comune, Regione e Fondazioni si sono messi insieme e hanno dato vita al progetto Forestami (un caso di studio a livello europeo che nulla ha a che fare con il Pnrr).
Le considerazioni del presidente del comitato scientifico, Stefano Boeri, indicano due aspetti decisivi: «Forestami in questi anni ha sempre piantato alberi, non semi…». E soprattutto: «Stiamo cercando di far cambiare i criteri con cui si finanzieranno le aree da forestare nel prossimo bando. Ora si insiste nel chiedere una dimensione minima di un ettaro, senza capire che la vera sfida è quella di piantare alberi ovunque sia utile e possibile, anche lungo i viali, nei cortili, nelle piazze». Seguendo questa logica in poco più di tre anni a Milano sono stati piantati 427 mila alberi.
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