Basterebbe un briciolo di immaginazione per capire che dal gesto disordinato di una vernice arancione lanciata su un simbolo del Potere – il Senato della Repubblica, a Roma, la sede della Borsa a Milano – sia possibile estrarre un messaggio infinitamente più grande. Non siete d’accordo perché vi fa orrore l’imbrattamento? È barbaro? È violento? È inaccettabile? Benissimo. E allora provate a immaginarlo moltiplicato un milione di volte al giorno. A quanto sia infinitamente barbaro, violento, inaccettabile, versare, da 100 anni, miliardi di tonnellate di vernici, solventi, idrocarburi e altri veleni su tutti i muri della nostra vita, dentro i mari e l’aria, dai ghiacciai dell’imbrattato Himalaya fino alle pianure del nostro Raccordo Anulare civilizzato.
È così incommensurabile il danno che è difficile persino accorgersene: ci viviamo dentro, lo respiriamo, lo mastichiamo. Per questo serve quel gesto, all’apparenza scriteriato, degli eco-ragazzi di Ultima Generazione che, con un solo barattolo di vernice lavabile e gli strilli di tutti i pennacchi della Nazione, trasforma la nostra distrazione in stupore, e lo stupore in una piccola luce che si accende sui fotogrammi della nostra collettiva stupidità e sull’incalcolabile disastro che procuriamo al solo pianeta che ci ospita nell’Universo. Quello della vernice è il gesto innocuo di uno scandalo portatile, ma capace di rimetterci in «connessione con l’anima del mondo», come sa fare il bianco monocromo di un artista come Piero Manzoni per parlarci di tutti i colori mancanti. O il nudo religioso di Madonna che fa arrabbiare tutte le religioni che cercano il cielo nei paramenti delle rispettive chiese e non nella semplice spiritualità del corpo, maschile o femminile che sia.
In coda alla vernice – e al netto delle manette auspicate dai più ciechi e sordi – s’è scatenata la predica degli autorevoli, sempre foderati di buon senso, che dicono: a che cosa serve quel gesto di conclamata maleducazione? Ma davvero pensate di risolvere i problemi con la provocazione? Siete giovani, lasciate fare ai grandi, consigliano, imbracciando il dito indice. Come se i grandi – cioè noi che abbiamo fabbricato il montaggio e lo smontaggio del mondo fino a oggi – non avessimo già fatto abbastanza per renderlo inabitabile. Accadeva ieri quando i disarmati guerrieri di Greenpeace salvavano una balena alla volta, assaltando in gommone la prua della intera flotta giapponese. E accade oggi quando una ragazzina si taglia una ciocca di capelli per affidarla al vento della Rete che sta soffiando il mantra «Donne, vita, libertà».
Piccoli gesti. Segnali destinati a dirci che almeno siamo vivi e non ancora del tutto indifferenti al destino comune. Come ci suggerisce la stella appena scoperta dagli astronomi, l’ultima della galassia, prima di Andromeda. È distante un milione di anni luce. Pulsa con una tale regolarità, dicono gli scienziati, «che sembra il battito cardiaco della intera galassia». Magari lo è davvero.