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Perché “local” è meglio: minori decisioni ma di maggiore qualità – Pierpaolo Sicco

Se è vero che politica deriva da Polis, ovvero città, allora la politica è l’uomo. Perché l’uomo è la città. Equazione matematica o metafora? Senz’altro non la città metropoli, un aggregato magmatico e informe privo di coesione. Piuttosto la polis – villaggio nella quale la res publica è esercizio comunitario.

I micro-Stati

La dimensione micro è stata la cifra caratteristica della più antica democrazia al mondo: quella ateniese. E continua ad esserlo tutt’oggi, nel modello collegiale-consultivo della Confederazione Elvetica.

A distanza di millenni, la risposta ai problemi globali potrebbe provenire dagli Stati più piccoli. Non è un caso, infatti, che al primo posto delle classifiche riguardanti la competitività globale e la qualità delle infrastrutture si trovino due micro Stati: Svizzera e Singapore

Ora in realtà si potrebbe aprire un discorso a parte. Seguendo la formula presentata dal politologo indiano Parag Khanna, una forma di governo ibrida sarebbe quella ideale per lo Stato del XXI secolo, definito Info-Stato: una tecnocrazia diretta, ovvero la fusione del modello dal basso-deliberativo svizzero con quello manageriale, top down-singaporiano.

Il segreto del successo

Il segreto del successo di questi due Stati riposa in un sapiente superamento delle dicotomie classiche: l’abilità di saper far convivere rappresentanza e governance, pubblico e privato, pianificazione strategica e iniziativa individuale. 

Ma ciò è anche possibile grazie ad una visione estremamente pragmatica, direi utilitarista dello Stato. Visione che l’Occidente non riuscirebbe – giustamente – ad accogliere del tutto. 

Ciò che voglio far emergere è tuttavia la correlazione diretta tra dimensione micro e risultati macro. Finita l’epoca della contrapposizione ideologica, della divisione in due blocchi del mondo, la politica sembra arrancare nel seguire le innovazioni di ingegneria sociale che la rivoluzione digitale ha apportato. 

Infrastruttura orizzontale

Infatti, la digitalizzazione ha modificato il tipico impianto verticistico e centralizzato che aveva contraddistinto le istituzioni politiche sin dalla nascita della Stato sovrano. Internet e le piattaforme funzionano seguendo un’infrastruttura orizzontale e distribuita.

Creando delle comunità virtuali che possono raggiungere dimensioni globali, il digitale ha saputo dare nuova importanza alle istanze particolari, locali.

Nei media digitali manca quel rapporto asimmetrico tipico della tecnologia analogica. La radio, poi la tv, si rivolgevano ad un pubblico indefinito relegato ad un ruolo puramente ricettivo e passivo. Nei social network invece l’utente è allo stesso tempo consumatore e produttore di contenuti (prosumer). 

Nella nuova dieta mediale la tendenza è sempre di più quella della convergenza dei contenuti su più piattaforme e dell’ibridazione di old e new media

Italia a più velocità

Queste nozioni superano il campo della sociologia dei media, acquisendo un significato politico ed economico. La politica mutua spesso le sue strutture dall’impalcatura sociale ed economica della società. Così, se nella società di massa lo Stato e i partiti ricalcavano l’architettura della grande fabbrica, nell’era digitale sarebbe necessario che essi potessero sfruttare l’efficienza di una nuova economia del potere, orizzontale e distribuita. 

Tradotto nella pratica: incentivare politiche di decentramento e governo locale. Detto così, sembrerebbe banalmente riaffermare quello che nella nostra Costituzione è già previsto, ovvero il riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Ma non è semplicemente questo. 

Si tratta di entrare in un’ottica in base la quale lo Stato dovrebbe assumere la consapevolezza che la politica nazionale non può più essere tarata sulla base delle esigenze di correnti di partito. Ma deve sempre di più tener conto che un’Italia a più velocità necessita di riposte calibrate in base alle esigenze dello specifico territorio.

Il governo locale

C’è anche qualcosa in più: comprendere che questo processo di destrutturazione degli apparati verticali è irreversibile. Il governo locale permette una maggiore saldatura tra la politica, la comunità e l’amministrazione pubblica. 

Dovendo contare su risorse – per quanto in alcuni casi abbondanti – più limitate rispetto a quelle che dispone lo Stato centrale, l’impulso dovrebbe essere quello di investire sul capitale umano. L’investimento sul capitale umano è ciò che permette ad un territorio di fare dei salti di qualità generazionali. 

E con esso si potrebbe porre fine a quel processo di fuga dei cervelli che pesa sempre di più a livello demografico ed economico soprattutto nel Meridione. Insomma, il risultato di politiche di decentramento potrebbe essere, di riflesso, un rafforzamento del sistema Paese nel suo complesso. 

Il governo locale è anche uno degli strumenti principali per poter riattivare i canali della partecipazione. Nelle comunità montane o nelle isole, la percezione del potere-fortezza limitato ai palazzi del centro di Roma ha sicuramente allontanato molti cittadini dalla politica e dal voto. Ma una democrazia senza partecipazione è un serio problema.

Promuovere il decentramento significa anche far riacquisire alla politica quel senso di utilità pragmatica che essa dovrebbe avere presso tutti i consociati. Perché è la politica il luogo delle scelte e delle decisioni più importanti. 

Governare la complessità

Anche qui seguire la logica delle infrastrutture digitali potrebbe essere la chiave di volta per un cambio di paradigma. È oramai evidente che la complessità non si governa con un “concerto” del sapere. 

Ma al contrario è la settorializzazione delle discipline ad aver contribuito all’innovazione e alle scoperte. Così in politica si dovrebbe far sì che ciascuno adotti minori decisioni, ma di maggior qualità

Non sto teorizzando la rinascita delle città Stato. Sto solamente cercando di pensare ad un modello di governo che sappia attraverso il decentramento aumentare il potere (hard e soft) necessario per poter contare di più nei grandi consessi internazionali. Per ridare all’Italia centralità nel Mediterraneo ed in Europa. 

Essendo la politica l’arte del possibile, credo – senza troppe pretese – che il compito di noi scienziati politici dovrebbe essere molto simile a quello che Karl Marx rivendicava per primo nella sua riflessione filosofica: non solo interpretare il mondo. Interpretare senz’altro, per poterlo cambiare

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