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Meloni non può scaricare la responsabilità su Frontex per la strage di Stato di Cutro – Il Riformista

Lo scaricabarile della premier

Angela Nocioni — 7 Marzo 2023

Meloni non può scaricare la responsabilità su Frontex per la strage di Stato di Cutro

In una costa con secche e scogli, con onde vicino alla riva che hanno convinto due mezzi della Guardia di finanza a rientrare per non rischiare il naufragio, come pensavate arrivasse a terra in sicurezza una barca segnalata con probabili persone nella stiva e senza giubbotti di salvataggio? A questa domanda la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dovrebbe rispondere. Non l’ha fatto il ministro Piantedosi, non l’ha fatto il ministro Salvini, ministri di un governo presieduto da lei, non da un’altra persona. Non l’ha fatto la Guardia di finanza, e non l’ha fatto la Guardia costiera. È necessario lo faccia la presidente del Consiglio.

Ha detto Giorgia Meloni: «La situazione è semplice nella sua tragicità. Non è arrivata alle nostre autorità nessuna comunicazione di emergenza da Frontex. Noi non siamo stati avvertiti del fatto che questa imbarcazione rischiava il naufragio». È una frase utile a buttare tutto in caciara. Non si può. Non davanti a quella fila di piccole bare bianche. Giorgia Meloni sa che Frontex sabato sera alle 22,26 ha inviato una scheda telematica a tutte le autorità competenti italiane, anche alla Guardia di Finanza, anche alla Guardia costiera, con tutte le informazioni necessarie a considerare quella barca a rischio naufragio e ad attivare i soccorsi. Quella scheda – che vedete riprodotta qui nella foto – descrive una “barca a motore” con “forte risposta termica dalla stiva”: può voler dire soltanto probabili persone a bordo e nient’altro che questo. Dice che “non ci sono giubbotti salvavita visibili” e che “sovracoperta c’è una sola persona visibile”.

Dà la posizione e la rotta. Invia una foto termica da cui si deduce che la linea di galleggiamento è bassa. Elemento che insieme a quella “forte risposta termica dalla stiva”, in una rotta nota per essere quella battuta dalle barche in arrivo cariche di migranti dalla Turchia, può voler dire soltanto che quella era una barca carica di persone diretta sulle nostre coste. Non c’era nessun bisogno che Frontex scrivesse “barca in distress” perché si avviasse una operazione di soccorso. Giorgia Meloni sa che sono le autorità italiane a dover decidere se avviare una operazione di soccorso o di polizia di fronte a una scheda simile e sa anche che i militari di cui l’Italia dispone sono capacissimi di leggere quella scheda come la segnalazione chiara e inequivocabile di una emergenza.

Quindi deve spiegare lei, al netto di quando dirà oggi Piantedosi a Montecitorio, perché quei soccorsi non sono scattati. Senza tirare in ballo Frontex che ha già risposto da giorni chiarendo che spetta all’Italia decidere quale tipo di operazione avviare dopo una sua segnalazione. È sempre la presidente del Consiglio a dover chiarire perché i carabinieri arrivano sulla riva alle 4,35 quando la barca è naufragata già da almeno mezz’ora. Il radar della Finanza l’aveva intercettata alle o no? L’aveva intercettata alle 3,50 o già prima? I due mezzi della GdF, quando tornano agli ormeggi spaventati dal mare grosso, scrivono che “è stato attivato il meccanismo di ricerca, lungo le direttrici di probabile sbarco, coinvolgendo anche le altre forze di polizia nelle ricerche lungo la costa”.

Eppure per per più di mezz’ora non si attiva un bel niente. Tanto che la prima ricerca a terra la fa un’automobile dei carabinieri mandata a Steccato di Cutro dopo le 4 e un quarto, quando i carabinieri di Crotone ricevono una telefonata di allarme e riescono a capire da dove viene. Perché si è aspettato a piedi asciutti che il caicco attraccasse da solo? Se era pericoloso per la Guardia di finanza uscire perché non lo doveva essere per quella barca entrare? Qualsiasi persona della Guardia costiera sa che un caicco ha una carena bassa, che sugli scogli la carena di un caicco sbattuto dalle onde si schianta e se la stiva è piena di persone quelle persone affogano.

All’alba di sabato 25 febbraio, alle quattro e cinquantasette, il Mrcc di Roma invia una allerta distress, che vuol dire nave in possibile pericolo, a tutte le imbarcazioni nell’area dello Jonio. Ne aveva inviata una, identica, già alle 20,44 di venerdì 24 febbraio. Molte ore prima dell’avvistamento del caicco. Oltre 24 ore prima del naufragio. A cosa si riferiva quell’allerta del Mrcc? Da chi l’Mrcc aveva avuto segnalazione? La Guardia costiera, nelle cui mani è il Mrcc, continua a non spiegarlo. In quel dispaccio sta scritto pure che l’Mrcc ha aperto in quel momento un evento Sar con il numero 384. Si tratta dell’atto con cui si apre la procedura per un salvataggio. La guardia costiera non ha ancora spiegato se quell’evento Sar 384, dopo averlo aperto, l’ha chiuso. E, in caso, come l’ha chiuso e perché.

È arrivata forse un’altra barca di cui non è stata data notizia? Non è stata individuata nessuna barca? Se quando è arrivata la segnalazione di Frontex l’Mrcc di Roma aveva un evento Sar per nave in distress già aperto, le regole le imponevano di mettere in mare le navi di soccorso per qualsiasi avvistamento senza bisogno di ricevere la segnalazione esplicita di un rischio naufragio. Il perché non l’ha fatto non l’ha spiegato nessuno. Lo faccia, per favore, la presidente del Consiglio.

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