«Esiste una linea diretta che collega il night di via Veneto degli anni ‘50 e ‘60, con le discoteche degli anni ‘80 e ‘90 ai cocktail bar moderni, non ci siamo inventati niente» è Patrick Pistolesi a parlare, proprietario e bar manager del Drink Kong, uno dei cocktail bar più importanti di Roma e, almeno per il 2022, del mondo. Per la precisione è il sedicesimo più importante del mondo secondo la classifica più affidabile di settore: World’s 50 Best Bars.
Drink Kong è il locale posizionato meglio dei tre italiani che quest’anno sono entrati in classifica (gli altri due sono 1930 di Milano e L’antiquario di Napoli), ma barman italiani si trovano in molti dei 50 Best Bars, fino al primo classificato, il Paradiso di Barcellona di Giacomo Giannotti. L’ultimo decennio ha rivoluzionato la concezione del cocktail bar e l’Italia è gradualmente finita al centro di questo cambiamento, prima con una fuga di cervelli (e mani) all’estero e ora con l’esplosione della scena nazionale proprio per via di quella continuità con i night e le discoteche, di cui parla Pistolesi, unita alla tradizione dell’accoglienza: «L’ospitalità è una cosa italiana, in tutto il mondo. In qualsiasi cocktail bar del pianeta entri e dici “Buonasera” c’è qualcuno che ti risponde in italiano».
A cambiare tutto nel mondo dei cocktail è stato internet. Prima erano i clienti stessi, che viaggiavano, assaggiavano e poi tornavano e chiedevano al barman di rifare quel che avevano bevuto, a formare i bar e farli evolvere. Da quando esistono i social network invece i bartender hanno iniziato a parlarsi tra loro e sono diventati una comunità, per la prima volta ognuno poteva vedere cosa avveniva nei luoghi più avanzati e di sperimentazione, stimolando secondo Pistolesi un cambiamento: «Prima eri un grande bar se avevi i quattro Gin fondamentali ed era importante saper fare un gran Martini o magari avere un paio di whisky in più della media. Oggi di gin ce ne sono 160.000».
Così anche una nazione in cui il consumo di superalcolici non è abbondante come ad esempio in America o nel nord Europa ha iniziato a crescere una cultura del bere sofisticato, in linea con la crescita di fama dei ristoranti stellati. Livio Morena, che al Drink Kong è bar manager, spiega come «Il cocktail bar ad un certo punto è diventata la novità, proprio come era capitato agli stellati».
Lo stile del bar moderno
In effetti nei grandissimi bar moderni il livello di cura del dettaglio e di precisione nel servizio sono da ristorante stellato con una differenza, sempre secondo Morena: «in uno stellato avverto sempre una certa rigidità che noi abbiamo cercato di evitare, trasmettendo il messaggio che puoi bere un grandissimo cocktail nell’atmosfera conviviale e sexy tipica dei bar».
Il Drink Kong in particolare ha nell’arredamento e nell’atmosfera un’arma potentissima. Posizionato poco sotto la stazione Termini e poco sopra il Colosseo, è arredato in uno stile da Blade Runner, futuro distopico con innesti nipponici, neon e delle contaminazioni che si trovano nel design di tutto (anche dei cubetti di ghiaccio) come è difficile trovare a Roma. Il menù oscilla tra stuzzichini e pietanze calde fusion, edamame e nachos, bao, dumplings ma anche taco e jamon de bellotas, ovviamente però è la lista drink il volume da consultare, tutta improntata al minimalismo: «L’identità forte e riconoscibile è sempre stato il nostro primo obiettivo, proprio esteticamente e poi anche nella concezione dei cocktail» dice Morena.
Il locale inaugura in queste settimane il suo terzo menù in cinque anni, uno che include un best of dei precedenti due: «Già nel secondo ci eravamo spinti molto al di là del consueto, allargando il laboratorio dedicando un’intera categoria di drink al sapore umami, usando lo sciroppo al miso, il fungo shiitake distillato o anche il parmigiano».
La clientela
Esattamente questo tipo di proposta più audace, con ingredienti che non è scontato trovare in un drink, è quello che separa il bar classico da quelli come il Drink Kong o anche il Jerry Thomas, un pioniere della nuova scena dei bar, sempre a Roma che più di qualsiasi altra sta diventando la città italiana dei cocktail.
Questi non sono solo luoghi in cui bere ma forme di aggregazione sociale differenti dal solito, con un piede molto solidamente piantato nella tradizione italiana: «Il nostro successo viene dal non esserci dimenticati del mondo analogico, della grandi bar in piazza San Marco e della loro clientela» continua Pistolesi, spiegando perché sembra che in Italia più che altrove i cocktail bar fioriscano «l’italiano è un latin lover, gli piace girare la notte, conoscere persone nuove, gli piace apparire e farsi vedere, essere alla moda. E se non lo può fare in una piazza lo fa in un locale».
Tutto questo si rispecchia in un tipo particolare di clientela che distingue il bar: «In enoteca hai certi clienti, magari un po’ sofisticati, il medio borghese intellettualoide che beve vino intellettuale. In un cocktail bar hai invece una proposta curiosa di drink speciali e diversi, un posto in cui persone sexy si incontrano e parlano di drink assaggiando magari un mescal fatto dall’ultimo campesinho rimasto. Io il Drink Kong l’ho sempre immaginato come un luogo in cui si incontrano le personalità della notte».
Certo il costo non è quello dei classici bar, al pari dei ristoranti stellati anche nei cocktail bar come il Drink Kong un ambiente unico, un servizio preciso e puntuale e un’offerta di drink particolare con ingredienti ricercati alzano i prezzi, cosa che è in contrasto con l’idea di accogliere qualsiasi personalità della notte, o almeno lo è in un certo senso secondo Pistolesi: «Noi serviamo sia le persone con il portafogli pieno a cui non frega molto della spesa, che rispettiamo chi da noi non viene sempre ma una volta, magari per fare bella figura e avendo messo qualche soldo da parte. Non siamo per tutte le tasche ma se qualcuno vuole spendere 30€ per un paio di drink da noi gli diamo il massimo».
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