Lettere dal carcere a Sbarre di Zucchero
a cura di Rossella Grasso — 23 Gennaio 2023
D. è stato condannato a 3 ergastoli e sottoposto al regime di carcere duro del 41 bis. Di lui ci racconta la sua amica C. che, nell’inviare un suo scritto a Sbarre di Zucchero, ci racconta di lui e di come il 41 bis e lo abbia reso un “diversamente vivo”. E di lui C. ci dice: “Per lui la scrittura -che passa dalla censura- vorrei fosse una salda scala nel dimostrare che è un uomo nuovo. Io voglio fare in modo che D. veda la luce e non per un’ora soltanto. Ha sofferto abbastanza. E sarebbe ora gli venisse concesso di dimostrare, oltre le etichette, chi è il D. di oggi. È una vicenda particolare la sua. Gli altri ergastolani spesso mi hanno detto che c’è stato un accanimento nei suoi confronti… il problema è che viene accusato di essere tutt’ora un boss di cosa nostra ma, sinceramente, anche ammettendo questa possibilità, come può uno comandare dal 41 bis? Voglio dire che sia lui che i suoi fratelli sono sottoposti a misure durissime da anni… e io percepisco interiorizzazione e il peso di una esistenza in solitudine e dove, per dirla con D. stesso, ‘l’intento non può divenire azione’. Si definisce infatti ‘diversamente vivo‘! Mi ha dato il permesso di diffondere i suoi scritti come credo… Sono io che sto attenta. Non voglio venga strumentalizzato. Difendo la persona perché troppe volte è stato usato in questo senso. Quello che stiamo facendo al momento è un lavoro autobiografico in cui i nostri vissuti si confrontano, ed è incentrato sui 12 punti di un classico programma di auto-mutuo aiuto. È strano come i nostri percorsi siano simili nonostante io lavori nel sociale da sempre e lui sia etichettato tutt’oggi come un boss pericoloso! Giungiamo sempre ad identiche conclusioni ed entrambi, nonostante i lutti, le difficoltà ecc. abbiamo ancora sete di vita e di dare senso alla vita. Una storia di inchiostri che si mescolano ma che un giorno voglio arrivi ad esprimersi nella realtà”.
Qui di seguito le parole di D. sul 41 bis e l’ergastolo ostativo
L’Ergastolo? Domanda impegnativa. Ergasterion: dal Greco “fabbrica di schiavi”. Ergastulum: dal latino “edificio di lavoratori schiavi”. Nella sostanza il potere espropriava quei corpi dal Diritto naturale a vivere la propria esistenza. Ergastolani, cioè uomini, che il potere li tenne in vita segregandoli, non per farli vivere (ma) per obbligarli a non morire; perché la morte libera quei corpi dal rapporto proprietario. Vite, (quelle degli) di ergastolani, che non saranno più vissute. Ebbene, sì sostiene che la Verità è unica, ma è molteplice la sua formulazione in virtù della sua interpretazione sempre storica (quindi) relativa (P). La verità sull’ergastolo è unica e risulta assoluta, com’è l’ergastolo nella sua formulazione giuridica, un imperativo razionale che come la verità, sarà un ‘per sempre’. Con la differenza che la verità libera per sempre, perché la Giustizia è Verità. Mentre l’ergastolo è una condanna che espropria la libertà per sempre. Non fa valere l’esistente. Nega alla vita la libertà. Con l’ergastolo la Verità è Giustizia che svela e rivela che Giustizia e Verità l’ergastolo le ha giustiziate. Ergastolo: una parola che ha senso e significato, connotazione e denotazione. Cioè una pena fino alla morte. Una pena incurante della sofferenza che provoca.
Morte dolorosa espropriata quotidianamente al corpo vivo del condannato. Dyusthonatos! Ecco la Verità che con Giustizia rivela che l’ergastolo è “Distanasia di Stato”: una tecnica che infligge sofferenza, l’opposto della Legalità Costituzionale della pena,.. La vendetta che il potere di punire esercita sulla proprietà di corpi in sub possesso e che senza esserne padrone non ha la legalità Costituzionale né il diritto di appropriazione (di espropriare? Di appropriarsi?) Ebbene, considerato il parossismo della tecnica necrofila esercitata dal potere di punire, sui corpi condannati, l’eutanasia legittima(mente) applicata all’ergastolo metterebbe fine alla distanosia di stato (e) rigenererebbe la Legalità Costituzionale della pena. Risveglierebbe 1200 corpi dal coma irreversibile nel quale vegetano ridando a quei corpi l’esistenza per vivere la vita, e la dignità di uomini, il riconoscimento dei Diritti Umani, dei Diritti Civili e Politici, la riconciliazione in quanto Soggetti di Diritto con il patto sociale e il legittimo ritorno alla comunità di appartenenza. Questa è Giustizia, Verità che libera, lo Stato di Diritto liberale e democratico. L’Ergasterion Dysthonatos non sono la soluzione, anzi risultano un problema. Il Thanatos (morte) dialettica della soluzione.
Ebbene! È solubile un problema che non può ridursi all’esperienza possibile? L’Ergasterion Disthonatos thonatos, lo Sato di Diritto deve (perché può) seppellirli, inumarli, nei loculi del trapassato remoto della Storia. Di fatto, alla vittima dell’ergastolano si aggiunge l’ergastolano vittima dello stesso ergastolo. Cioè al problema del dolore si risponde con la sofferenza come soluzione e thanatos, con Thanatos (morte) contro morte e questo è l’oblio della Giustizia. Questo è il remoto, ancestrale, sentimento di vendetta che annichilisce il presente sentimento di Giustizia -justitia- che il sistema logico razionale nel suo sviluppo storico e dialettico, si pregia definendo questo progresso Civiltà del Diritto. Vittime dell’ergastolano e vittime dell’ergastolo sono tesi e antitesi umane che il Diritto può superare nella circolare sintesi della Giustizia. Questo chiedono le vittime (Giustizia!); Quello chiedono gli ergastolofobici (Vendetta), Ergasterion, jDstanasia, potere di punire, proprietà dei corpi…. Il sintomo è una verità che si fa strada (Lacan). Ergasterion e’ un sintomo il cui significante il significato ha rimosso per troppi decenni dalla coscienza collettiva della civiltà del Diritto. Civiltà del Diritto che ritornando nel perimetro di questa rimozione riesuma i significanti al loro significato, riporta il sintomo (l’ergasterion) nel luogo della Verità e lo risolve con Giustizia con un nuovo imperativo razionale che riconcilia liberando l’uomo, la vittima e l’umanità, proseguendo nel cammino dei Diritti. Consegue il fermo rifiuto della Distanasia come tecnica nel trattamento afflittivo per la riformulazione manipolatoria del recupero reificante (Redificante) del soggetto oggettivato: lo Stato di Diritto!
Ebbene è inopinabile che c’è un’alterità ontologica irriducibile tra Vittima dell’Ergastolano e Vittima dell’Ergastolo. E’ però altresì inconfutabile che l’Ergastolano può essere definito “Vittima di sé stesso” rispetto al delitto, permanendo incolpevole difronte alla responsabilità subita della tecnica Distonasiaca e quindi conservando lo “Status di Vittima” rispetto all’Ergastolo. Il delitto è conseguenza della propria condotta, non è conseguenza tautologica della Distanasia che segue (vizio logico). L’ergastolo è amorale. La Distanasia come tecnica del potere di punire è immorale, l’eutanasia semantica dell’Ergastolo dal Vocabolario Giudiziario è auspicabile. La sua abolizione sarà un balzo dell’umanesimo verso una sempre più civile Società dei Diritti e del Diritto. “Solo un pensiero radicale può affrontare un concetto assoluto” e superarlo. L’uomo è uno spazio dinamico, un campo indefinito sempre in trasformazione. L’uomo è una variabile permanente. È dialettico: Ricorda quel che è stato mentre è radicalmente diverso da quel che era. È il presente che è negazione del passato conservato, mentre è già nel futuro. L’uomo acquisisce sempre elementi di identità che lo rigenerano… È sempre uomo nuovo. L’uomo conosce il Vero. Sente, intuisce il Bello. Vuole il Bene (valore assoluto). L’uomo è l’ente che ha la facoltà di scegliere ciò che vuole essere. L’uomo non può essere compreso nel perimetro dell’assoluto di un atto, quando la sua esistenza è vissuta nel susseguirsi di istanti in divenire in un tempo in movimento che lo rigenera continuamente. L’uomo non è l’errore. L’errore è l’Ergastolo (Dstanato Thonatos)”.
Clare chiude la sua premessa dicendo che: “Il nostro intento è di fare delle cose per dare senso al tutto e renderlo utile. Per esempio D. è l’esatto contrario della mascolinità fragile e tossica e credo abbia tanto da dire ai ragazzi, a quelli che vogliono identificarsi con i gangster e fare i bulli. Io sostengo la sua scelta di non diventare un collaboratore di giustizia. Ha già passato 30 anni dentro il carcere e si rifiuta di uscirne mettendo altri al suo posto ma, nonostante ciò, non odia gli amici che lo hanno però messo lì collaborando”.
a cura di Rossella Grasso
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