All’ingresso della sede del Figaro, uno splendido palazzo al cuore della Parigi del Secondo Impero, trovo delle pile del quotidiano e alcuni volantini per ordinare del caviale da Maxim’s. È chiaro che mi trovo al posto giusto: è qui che viene trascritta nero su bianco la voce della borghesia francese – quella di destra e di centrodestra, perlomeno.
O di estrema destra? La domanda sorge spontanea se si pensa a come si è radicalizzata l’opinione pubblica conservatrice (e non solo) su temi come l’immigrazione e l’identità, qui in Francia.
Le idee di Eric Zemmour, ex del Figaro che si è candidato alle ultime elezioni presidenziali con un programma più a destra di Marine Le Pen (proponeva la “remigrazione” di un milione di stranieri), vengono serenamente discusse sulle pagine del giornale.
Le due destre
Sono venuto a parlarne con Eugénie Bastié, editorialista trentunenne, cattolica, già autrice di tre libri, considerata una delle firme di punta della nuova leva conservatrice. «C’è una differenza tra la destra e l’estrema destra: noi non difendiamo una chiusura assoluta, l’utopia di un ritorno al passato, o peggio una visione razzista. Personalmente sono sensibile alla questione femminile e ai temi ecologici. E il conservatorismo va bilanciato con una visione liberale».
Ma è vero oppure no, le chiedo, che la Francia vira a destra? «A guardare le piazze piene di manifestanti contro la riforma previdenziale di Macron, si potrebbe anche dire che il paese vira a sinistra. Ma sono vere entrambe le cose. A destra, c’è una maggiore attenzione a temi come la sicurezza, l’immigrazione, l’identità. A sinistra, si reagisce alla crisi conclamata del neoliberalismo. Ma anche questo potrebbe essere un tema di destra».
Sfoglio la copia del Figaro che ho preso all’ingresso per cercare conferma, ma non la trovo. «Parlo di una certa destra, figlia del cosiddetto gollismo sociale. Bisogna tenere presente che in Francia il liberalismo non si è mai imposto come nel mondo anglosassone, è sempre stato visto come un corpo estraneo».
Le conversioni
Quel che è certo è che la geografia politica qui è in radicale trasformazione. Lo suggerisce la conversione di molti intellettuali francesi dalla sinistra alla destra, ormai noti come “nuovi reazionari”.
Bastié cita tra i suoi modelli alcuni di loro, come Alain Finkielkraut, Pierre Manent e Marcel Gauchet. Ma quando è iniziata questa trasformazione? «La presidenza di Nicolas Sarkozy (2007-2012) è stata determinante, perché ha sdoganato dei temi che fino ad allora erano monopolio dell’estrema destra».
Quindi aveva sempre avuto ragione Le Pen? «No, ma monopolizzando il dibattito sull’immigrazione ha impedito che si prendesse la misura del fenomeno. La situazione che ereditiamo oggi è il risultato di cinquant’anni di inazione, cinquant’anni in cui abbiamo rinunciato a governare i flussi migratori».
Secondo Eugenie Bastié, la responsabilità è innanzitutto della sinistra, salita al potere con François Mitterand nel 1981. «La sinistra s’illude che si possa realizzare con l’Islam quello che si era fatto con il cristianesimo un secolo fa, sottomettendolo alle leggi repubblicane. Ma non può funzionare, perché l’Islam non è come il cristianesimo, non ha lo stesso rapporto con l’idea di laicità».
Questo significa, come si sente ripetere sempre più spesso a destra, che la Francia è sull’orlo della guerra civile? «Io non parlerei di guerra civile, intesa come uno scontro violento, ma sicuramente assistiamo a una partizione del territorio. Basta guardare al boom delle scuole private: le famiglie che se lo possono permettere tolgono i figli dal pubblico perché, in certi quartieri, si sentono in minoranza».
Iper-moderna o anti-moderna?
Alla sinistra, inoltre, l’editorialista rimprovera l’incapacità di capire il fenomeno religioso. «I progressisti si erano illusi che l’assimilazione si sarebbe realizzata senza traumi. Ma l’Islam riempie un vuoto lasciato dalla modernità».
Come mostra Michel Houellebecq nel suo romanzo Sottomissione. Ma se questo è vero, perché mai allora dovremmo contrastarlo? «Prendiamo la questione del velo: il punto non è proibirlo a scuola in nome della laicità, ma proibirlo in quanto simbolo dell’oppressione femminile».
Dietro la maschera conservatrice, Eugenie Bastié non sarà forse l’ennesima nostalgica della République, dell’universalismo, della centralizzazione giacobina, insomma una iper-moderna travestita da anti-moderna?
«L’universalismo, sicuramente, è quello che oggi ci protegge dalle derive relativiste della cultura woke e dalla tentazione del comunitarismo». La diffusione delle teorie postcoloniali, in effetti, è tema di grande preoccupazione in Francia negli ultimi anni, a destra ma anche a sinistra.
Bastié prosegue: «D’altra parte certi retaggi universalisti pongono problema. Penso all’impossibilità in Francia di avere statistiche più trasparenti sui veri numeri dell’immigrazione, che ci impedisce di capire com’è cambiata la composizione della popolazione. Penso anche alla perdita delle tradizioni culturali che definiscono la nazione, e che lo si voglia o no sono legate all’eredità cristiana».
Reazionari rock
Réac, reazionaria, suona quasi come “rock”. E infatti l’editorialista assieme ad altri esponenti della nuova leva conservatrice ha partecipato a una web-tv chiamata Réac & Roll.
Oggi queste idee hanno il vento in poppa e non è difficile capire perché: dall’altra parte c’è un progetto, quello progressista, che sembra non reggere più in piedi, sopraffatto dalle sue contraddizioni, incapace di dare risposte al malessere dei declassati, dei delusi, dei dimenticati. Resta da capire se il progetto alternativo sia poi molto più solido.
Recentemente Bastié ha difeso Michel Onfray e Michel Houellebecq, che in una lunga conversazione pubblicata sulla rivista Front Populaire avevano auspicato la diffusione del suprematismo bianco per contrastare l’immigrazione. «Per me è fondamentale difendere il principio della libertà d’espressione, che in Francia è sempre più limitata. Dobbiamo preservare quel che ne resta».
Ma in un contesto di forti tensioni intercomunitarie, abusare di questa libertà non equivale a gettare benzina sul fuoco? «Io non credo che il dibattito possa alimentare delle tensioni, al contrario si tratta del solo antidoto, in quanto svolge una funzione catartica». E così si torna alla République, all’illuminismo, a Voltaire.
Due anni fa, su queste pagine avevo chiesto ad Alain Finkielkraut se questa Francia non fosse ormai un anacronismo, e lui mi aveva risposto che, se così fosse, allora si tratterebbe di un anacronismo prezioso.
Eugenie Bastié rilancia: «La Francia non è un anacronismo, è un’avanguardia nella resistenza. Guardo quel che succede negli Stati Uniti e mi felicito di vivere qui. Non si tratta tanto dell’eredità repubblicana, quanto della consapevolezza che la nostra è la patria della ragione e delle lettere. Abbiamo una capacità di astrazione che ci protegge dal fondamentalismo».
Visto da fuori, sembra esattamente il contrario: come se questa ideologia avesse precisamente il potere di produrre ineguaglianza ed eccitare il fondamentalismo.
Chissà se Bastié seguirà un giorno le tracce di Eric Zemmour, che da editorialista al Figaro è passato all’agone politico. Intanto difende dalle pagine della borghesia francese la sua visione del mondo con fervore.
Secondo lei non c’è modo di garantire un’efficace politica di assimilazione senza intervenire con maggiore fermezza sui flussi migratori in ingresso.
Certo, la crisi del programma assimilazionista è sotto gli occhi di tutti. Il problema, però, è che la “fermezza” alle frontiere dell’Europa si misura in vite umane. E questo potrebbe essere complicato da conciliare con le famose radici cristiane.
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