Spesso, parlando di ristoranti e ristorazione, si tende a chiudere il cerchio dei temi intorno a pochi punti precisi: i cuochi, i piatti, le materie prime e la loro produzione e, a volte, il design o architettura del luogo. Raro è trovare figure nel settore che allarghino il discorso, uscendo dal proprio luogo di lavoro, e portando nella narrazione gastronomica spunti provenienti da altri contesti.
C’è chi lo fa con il mondo dell’arte, anche se è più spesso usata come ispirazione che come punto di sviluppo critico di un concetto. In questo caso ci riferiamo all’urbanistica e all’architettura, e lo facciamo ricollegandoci ad uno spazio di aggregazione pubblico (il Mercato Metronio, in Via Magna Grecia a Roma) e a un ristorante, Santopalato, diretto da Sarah Cicolini, proprietaria e cuoca. I due luoghi si trovano ad un paio di isolati di distanza, nel quartiere Appio-Latino, e hanno incrociato le rispettive storie nel 2021.
Ci racconta Cicolini: «La mia identità, come cuoca e come ristoratrice, non è mai stata inquadrata solamente in quel ruolo. Santopalato nasce nei pressi di questa costruzione (il Mercato Metronio, ndr) che, in qualche maniera, rappresenta il quartiere. Quando scelsi di scattare i ritratti dei protagonisti del ristorante sentii davvero il dovere morale di raccontare una storia: quella di un posto a noi molto vicino, ormai nel degrado più totale, ma che rappresenta anche un po’ il sogno irrealizzato di avere un mercato di produttori etici e consapevoli dietro l’angolo».
Tra carbonare e palazzi
Cicolini e lo staff del ristorante vengono quindi ritratti all’interno del mercato, inserendolo all’interno della narrazione più ampia del suo locale: non solo piatti e vini, materia prima o tecnica, ma anche il quartiere, con la sua storia e i suoi luoghi. Un doppio filo che si snoda tra carbonare e palazzi.
Il Mercato Metronio si trova in una situazione di degrado molto importante: il parcheggio adiacente è chiuso da tempo a causa di infiltrazioni, mentre gli spazi del mercato sono quasi del tutto abbandonati, con pochi commercianti che ancora resistono al suo interno. Commercianti che a partire dalla Primavera 2021 (fino a fine 2022) sono stati spostati in box esterni al mercato per permettere dei lavori di recupero e aggiornamento sismico della struttura.
Aggregazione e architettura
Quello che un tempo era uno dei luoghi d’aggregazione principali del quartiere, è diventato l’ennesimo esempio dell’incuria architettonica della città, come spiega Miriam Ciamarone, Ricercatrice Architettonica, che ha coadiuvato Cicolini nel suo progetto di raccontare il quartiere: «Dovremmo parlarne dei luoghi di Roma e delle identità di quartiere, di certi punti focali – dimenticati, malandati – e ribadirne l’importanza architettonica e sociale.
L’Autorimessa – Mercato firmata Riccardo Morandi (mostrata anche da Sorrentino in The Young Pope) rappresenta lo spirito originario di quartiere. Quella del 1956 (anno di inaugurazione del complesso), a pensarla oggi, fu un’operazione quasi pionieristica: una struttura in cemento armato precompresso ad un passo dal centro storico, formata in un ritmo continuo di dentelli finestrati e rampe fluide diventava punto focale del quartiere, un luogo dove la spesa si faceva in un modo nuovo, nel mondo nuovo».
Continua la Ciamarone: «Ad essere “moderno” non era solo il contenitore, ma l’intera idea di base che rivedeva e ridisegnava il concetto tradizionale di mercato, prendendo spunto da una ispirazione “americana”, che elevò il complesso a vero e proprio edificio polifunzionale, figlio del boom economico degli anni Cinquanta».
Nel ritratto di Cicolini, la sua figura è centrale, ma la presenza scenica, quasi schiacciante, del tetto del Mercato Metronio di Via Magna Grecia a Roma, la rende co-protagonista dell’immagine. Le due figure, quella umana e quella architettonica, contenuto e contenitore, dialogano su piani diversi dove la predominanza dell’uno non esclude la presenza dell’altro.
Anche il punto di vista da cui è stata scattata l’immagine aiuta questa lettura: posizionando la macchina fotografica ai piedi del soggetto lo si rende più imponente e slanciato e, allo stesso tempo, lo si iscrive in una geometria triangolare molto forte che, da un lato serve a rimarcarne la centralità (con il suo posizionamento sul vertice inferiore) e dall’altro a rendere molto presente il lucernario, rendendolo quasi un riquadro all’interno della stessa fotografia.
L’architettura diventa così anch’essa una protagonista nascosta (ma non troppo) dell’immagine, trasformandosi e adattandosi ad una narrazione più ampia e che da un piatto di pasta arriva a raccontare la storia di una città e della sua evoluzione.
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