Viaggiano a 60/70 chilometri all’ora, ridendo e cantando sulle note di Loredana Bertè. È il 2019 e i tecnici di Spea, la società di monitoraggio che ha il compito di controllare le opere di Autostrade per l’Italia, stanno effettuando i controlli sul tunnel della A26. La galleria si chiama Bertè, e così i due intonano “Non sono una signora…”. Pochi mesi dopo, il 30 dicembre del 2019, dalla volta del tunnel, sulla A26 vicino a Masone, si staccano due tonnellate e mezzo di cemento, che solo per un soffio non uccidono due automobilisti.
Il video con i due ispettori che, invece di scendere e controllare la galleria, la attraversano sfrecciando e cantando è stato acquisito dalla Guardia di Finanza di Genova. Ed è stato mostrato al processo sul crollo ponte Morandi, a dimostrazione, secondo l’accusa, di come venivano condotte le ispezioni sulle volte delle galleria. Il rapporto compilato da Spea garantiva che era tutto a posto: per cinque anni il tunnel non avrebbe avuto bisogno di manutenzioni straordinarie. Peccato che a quella velocità, al buio, e con l’ulteriore complicazione delle “onduline” (lamiere in teoria temporanee, che nelle gallerie controllate da Aspi rimanevano montate per decenni), secondo gli investigatori non si poteva vedere assolutamente nulla. A rendere tutto questo ancora più sconcertante è il fatto che il video riprenda controlli successivi di un anno e mezzo alla tragedia del Ponte Morandi, dove morirono 43 persone
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