La crisi della giustizia
Tiziana Maiolo — 19 Febbraio 2023
È Carlo Nordio il boccone grosso, anche se è stato il sottosegretario Andrea Delmastro il primo ad abboccare all’esca avvelenata, con un comportamento che è poco definire sconsiderato. Così oggi la premier Giorgia Meloni si ritrova in quella tenaglia in cui mai avrebbe voluto incappare, e cioè una crisi politica sulla giustizia.
Proprio lei che, pur stimando Silvio Berlusconi, lo ha sempre guardato come uno un po’ strano con i suoi 136 processi e certe sue dichiarazioni come quella della necessità di sottoporre a controllo psichiatrico periodico i magistrati. Ma la premier ha anche vissuto un bel po’ di cammino politico al fianco di Gianfranco Fini, e dovrebbe aver imparato che la voracità del potere è un pozzo senza fondo e non c’è complicità del politico con il pm che lo tenga al riparo da inchieste a suo carico. Da quando la casta delle toghe, e non solo quelle “rosse”, è diventata un vero blocco di potere, nessun politico è al sicuro. Basta dare un’occhiata al comportamento degli esponenti del Pd, compresi quelli meno ossessionati dalle manette. Sono terrorizzati, e hanno tutti le ginocchia sbucciate per gli inchini quotidiani agli dei delle procure.
Così oggi la premier si ritrova suo malgrado con due colossali problemi di giustizia. Uno è Delmastro, il primo esponente del governo e del suo stesso partito sottoposto a indagini per rivelazione di segreto d’ufficio e già convocato e interrogato dal procuratore capo della repubblica di Roma Francesco Lo Voi. L’altro è il ministro guardasigilli, da lei fortemente voluto, e già cannoneggiato in quanto riformista e garantista. “Maggiordomo”, lo ha definito ieri la Repubblica, in uno dei quattro servizi e commenti dedicati alla giustizia e con l’esplicito sapore del ritorno alle “dieci domande”.
È chiaro che il problema è lui, e che l’agire sconsiderato del sottosegretario Delmastro e del portavoce Donzelli ha solo offerto il destro perché si aprisse la strada nella quale in particolare certa sinistra è maestra. Quella di aspettare, o sollecitare, come nel caso della denuncia del deputato verde Bonelli, la via giudiziaria alla crisi, le informazioni di garanzia e le iscrizioni nel registro degli indagati, per poter subito dopo dichiarare ipocritamente che il problema “è politico”. Per lo meno Travaglio dice espressamente di odiare gli indagati, che per lui sono non soltanto colpevoli ma proprio delinquenti mafiosi e stupratori. La banda delle dieci domande si crede più sofisticata, vanno in tv a fare i virtuosi: il punto non è il fatto che tizio sia indagato, ma c’è un problema di opportunità politica. Seguono richieste di dimissioni e mozioni di sfiducia.
Stia attenta ora la premier Giorgia Meloni. E tenga d’occhio la magistratura. Sappia, se la sua storia politica non la ha ancora messa a contatto diretto con i veri burattinai del mondo delle toghe, che la corporazione difenderà con le unghie e i denti l’esistente e combatterà sempre ogni proposta di riforma, a partire da quella separazione delle carriere che è il grosso babau della casta. Quando si dice “combatterà” bisogna intendere con ogni strumento. Ricordi sempre quel che ha detto quel marpione di Luca Palamara: a un pm basta avere qualche poliziotto lesto e un amico cronista per distruggere qualunque politico.
È vero che il ministro Nordio ha già mostrato molta disponibilità, dicendo che avvierà consultazioni di tutti i protagonisti del mondo della giustizia prima di avviare qualunque riforma. Ma, come dimostrano le situazioni di guerra, lo vediamo ogni giorno nello scenario tra Russia e Ucraina, è difficile trattare la pace se al tavolo qualcuno siede disarmato e altri con il coltello tra i denti. Non è un caso se, mentre la Repubblica insulta il ministro Nordio dandogli del maggiordomo e dichiarandosi “in attesa di conoscere il nome del vero ministro delle giustizia”, sulla Stampa, quotidiano gemello di quello delle dieci domande, il saggio Marcello Sorgi mette in guardia: “..sarà inevitabile che a Palazzo Chigi e dintorni si rifletta sul fatto che la mossa della Procura possa rappresentare un segnale”. Per li rami, da Delmastro a Nordio per arrivare a Meloni. Perché nessuno è immune, signora premier. E forse quella commissione d’inchiesta proposta ad alta voce da Forza Italia, e dai suoi sdegnata con fastidio, non è così inutile. La lasci fare oggi, per non piangere domani.
Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
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