Il bilancio della Bce è enormemente aumentato con il Quantitative easing: dal 2014 è passato dal 22 per cento al 70 per cento del Pil dell’eurozona.
Nell’attivo sono cresciuti i titoli, nel passivo i depositi delle banche commerciali. Il patrimonio è ora meno del 10 per cento del totale di bilancio e non ci sono più utili da distribuire ai governi.
La liquidità creata comprando i titoli non ha circolato vivacemente, alimentando il credito e il Pil: i dati mostrano che ha ristagnato, come l’acqua in una spugna, pronta a uscire facendo danni. È stata comunque il combustibile dell’inflazione
La normalizzazione monetaria iniziata l’anno scorso, sta alzando i tassi senza ridurre la liquidità, vendendo i titoli ora in bilancio della Bce. Vi sono ragioni che suggeriscono di procedere più simmetricamente
Sia in Usa che in Europa è in corso una stretta monetaria contro l’inflazione. L’attenzione tende a concentrarsi sulle variazioni della velocità di crescita degli indici dei prezzi e sul percorso di rialzo dei tassi di interesse.
La narrativa della politica monetaria non deve però trascurare gli andamenti della quantità di moneta e la vorticosa evoluzione della dimensione e della struttura dei bilanci delle banche centrali.
Altrimenti la normalizzazione delle politiche in corso non appare nella giusta luce e ciò che dovrebbe esser fatto dalle banche centrali non è chiaro. Nel seguito si guarda al caso della Bce, che in parte riflette quelli di altre banche centrali.
Il bilancio della Bce
Il bilancio della Bce è enormemente aumentato negli ultimi lustri. Alla fine del 2014 il totale dell’attivo era di 2.200 miliardi, circa il 22 per cento del Pil dell’eurozona; alla fine del 2021 era quasi quadruplicato in valore e sfiorava il 70 per cento del Pil. Nell’ultimo anno è andato un po’ riducendosi, mentre si avviava la normalizzazione e si arrestava il quantitative easing (Qe): è ora poco sopra il 60 per cento del Pil.
Oltre ad aumentare in valore, l’attivo della Bce ha mutato radicalmente la sua composizione. Fatto 100 il totale di bilancio, i titoli detenuti fra le attività sono cresciuti da 28 a fine 2014 al 65 di oggi: gli acquisti di titoli, soprattutto pubblici, effettuati col Qe, occupano oggi ben due terzi del bilancio.
Fino al 2021 sono molto aumentati anche i prestiti della Bce alle banche: questi sono la loro attività più normale e caratteristica, il modo ortodosso di iniettare moneta nel sistema economico. Va però detto che in parte notevole i prestiti sono stati usati dalla banche non per far prestiti a imprese e famiglie ma per comprare titoli di Stato, affiancando così il loro supporto artificioso al debito pubblico a quello della banca centrale.
All’aumento dell’attivo della Bce corrisponde, nel passivo, un forte aumento della liquidità del sistema economico, intesa come la quantità di passività della banca centrale che costituiscono la base monetaria dell’economia.
A parte i biglietti del denaro contante, questi debiti della banca centrale sono costituiti dai depositi delle banche commerciali presso di lei. Il loro ammontare, su 100 del totale di bilancio, è passato da 17 a 55, raggiungendo il 33 per cento del Pil, mentre era meno del 4 per cento (!) nel 2014 e meno del 7 per cento nella media del quinquennio precedente.
Su 100 di passivo più patrimonio, l’ingigantimento dei depositi delle banche ha spiazzato il peso del circolante che dal 2014 si è dimezzato e ha ridotto di altrettanto il patrimonio che oggi vale 9 e valeva meno di 8 a fine 2021.
Già quest’anno la Bce non ha rimborsato utili ai governi; se si contabilizzassero perdite di poco superiori al 10 per cento sui titoli in attivo, il capitale della banca centrale si azzererebbe.
È sbagliato pensare che lo stravolgimento del bilancio sia solo il prodotto delle emergenze degli ultimi due anni, con pandemia e guerra. Il confronto col 2014 mostra che la causa è la pratica del Qe, cominciata l’anno dopo.
Nel quinquennio precedente la pandemia, sia il valore dei titoli in portafoglio che quello dei depositi delle banche sono quasi quintuplicati.
Dov’è andata la liquidità?
Che cosa è successo dell’enorme liquidità creata acquistando i titoli e favorendone l’accumulo da parte delle banche commerciali? Dov’è finito tutto questo potere d’acquisto, a parte il fatto che ha costituito il serbatoio di combustibile che a un certo punto alcuni fiammiferi, fra i quali anche il prezzo del gas, hanno trasformato nell’incendio dell’inflazione, permettendole di arrivare alle 2 cifre?
La liquidità generata dalla Bce ha circolato, generando prestiti e depositi presso le banche e così moltiplicandosi, accrescendo la quantità di moneta in mano a famiglie e imprese, che comprende i loro depositi. La quale, nella sua definizione più ristretta di M1, è cresciuta dal 60 al 90 per cento del Pil dell’eurozona.
Ma l’aumento, anche in proporzione al Pil, per quanto ingente è molto minore di quello della liquidità; in valore, M1 è meno che raddoppiata dal 2014, mentre i depositi del sistema bancario in Bce sono quasi quadruplicati.
Ancor minore è l’aumento degli indicatori (compresa la cosiddetta M3) del credito che si è generato con la circolazione di quella liquidità.
In altri termini: nonostante i tassi bassissimi o negativi, che dovrebbero incentivare una veloce circolazione della moneta, la liquidità è ristagnata, è rimasta poco utilizzata, ha rigonfiato il sistema finanziario come l’acqua rigonfia una spugna, in attesa di sprizzarne fuori, magari d’improvviso e facendo danni alla stabilità dei prezzi e a quella del sistema finanziario.
Normalizzazione asimmetrica
È stata l’inflazione a scuotere le autorità monetarie e farle decidere di normalizzare una situazione che ha accresciuto la sua anomalia di anno in anno. Ma per ora la Bce (molto più della Fed), si è mossa in modo molto asimmetrico: ha aumentato parecchio i tassi a breve che controlla, con gran pubblicità ed echi nel dibattito politico, ma non ha ridotto la quantità dei titoli detenuti.
Non si è quindi ridotta la liquidità, i depositi delle banche in Bce. Il bilancio nell’ultimo anno si è sgonfiato un pochino perché sono stati rimborsati molti prestiti fatti alle banche. Ma il valore dei titoli detenuti è ancora oggi più alto che alla fine del 2021.
L’unico modo per ridurre la liquidità al passivo è ridurre i titoli in attivo. Per ora si sta solo cominciando a non rinnovare parte di quelli che scadono.
Forse converrebbe accelerare. Per almeno due ragioni. La prima è che deve presto affermarsi l’aspettativa che l’episodio di un Qe prolungato per anni, fino a quadruplicare il bilancio della banca centrale, non si ripeterà più.
Altrimenti la domanda politica di interventi a sostegno di questa o quella emergenza si moltiplicherà, ne verranno altri prima ancora che rientrino quelli in essere, le conseguenze dell’emergenza non verranno normalizzate.
Ciò ridurrebbe l’indipendenza della politica monetaria, la credibilità degli obiettivi che persegue, la stabilità dei prezzi e del sistema finanziario.
Per difendere l’indipendenza occorrono delle regole, flessibili nel breve ma credibili e rigorose nel medio-lungo termine.
La seconda ragione è che c’è qualcosa di anomalo e pasticciato in una situazione dove si spingono in su i tassi senza ridurre la liquidità, della quale i tassi sono il prezzo.
Una conseguenza anomala è, ad esempio, il fatto che i grandi depositi delle banche con la Bce stanno ricevendo remunerazioni crescenti: negli ultimi cinque mesi i loro tassi sono saliti di 250 punti base.
Ed è anche per questo che gli utili della banca centrale si sono ridotti, rischiando di eroderne troppo il patrimonio. Varrebbe forse la pena di diminuire fin d’ora quei tassi o almeno non aumentarli parallelamente a quelli sui prestiti alle banche. Lo ha giustamente sostenuto Ignazio Angeloni, in alcuni recenti interventi.
Ciò faciliterebbe anche il collocamento dei titoli che la Bce deve vendere e che in parte le banche potrebbero comprare e rimettere in circolazione.
Ovviamente la vendita dei tanti titoli della Bce non farà bene ai loro prezzi e ai rendimenti che i governi devono pagare per indebitarsi. Per l’Italia il problema è particolarmente importante.
Occorre comunque una certa gradualità. Ma non troppa. Sia perché è in gioco il futuro ruolo indipendente della banca centrale e della politica monetaria, sia perché rinviando la normalizzazione del bilancio della Bce si rischia di doverla fare più tardi in modo più difficile e traumatico.
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