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Cos’è la riforma del lavoro spagnola e perché è il modello per il Pd di Elly Schlein

Chi ha seguito la mozione congressuale di Elly Schlein, o ha letto l’articolo a riguardo su Domani, avrà certamente sentito parlare del “modello spagnolo” di riforma del lavoro. Ma in cosa consiste effettivamente il “modello spagnolo” e perché viene citato così insistentemente dalla neo-Segretaria?

Il riferimento è a una recente riforma del mercato del lavoro a firma della ministra Yolanda Díaz, vicepresidente del governo spagnolo a guida socialista.

La norma, varata a fine 2021, ha fatto scalpore in quanto ha radicalmente modificato il panorama contrattuale spagnolo, garantendo più tutele ai lavoratori senza intaccare il tasso di disoccupazione, che continua a scendere.

I punti salienti della riforma sono quattro. Il primo, quello più spesso citato, è la netta riduzione dei contratti a termine.  La riforma abolisce svariati contratti precari, tra cui il “contrato temporal por obra y servicio”, una sorta di contratto a progetto molto diffuso e istituito nel periodo franchista, e restituisce centralità al tempo indeterminato.

I contratti a termine sono consentiti solo per picchi di produzione occasionali, di durata non superiore ai sei mesi, e per sostituzione di lavoratori in congedo. Restano attivabili al di fuori di queste casistiche i contratti formativi e si potenziano le tutele nel “contrato fijo-discontinuo”, un contratto simil-stagionale comunque a tempo indeterminato.

Contratti e tutele 

Gli altri pilastri della riforma, tuttavia, meritano altrettanta attenzione. Il secondo riguarda la contrattazione collettiva nazionale, alla quale si restituisce il primato.

Fino al 2021, infatti, allo scadere di un contratto collettivo nazionale, ne terminava l’efficacia e i rapporti di lavoro ripiegavano su contratti aziendali, spesso in condizioni peggiorative per i lavoratori.

A seguito della riforma, il contratto nazionale di settore resta vigente fino al rinnovo e i contratti aziendali possono solo modificare in meglio le condizioni d’impiego.

Il terzo pilastro mira alla qualità del lavoro nel subappalto, dove spesso si annidano condizioni di sfruttamento e dumping.

La riforma prevede che le imprese multiservizi e di somministrazione, così come qualsiasi impresa di subappalto, applichino le condizioni di lavoro, i minimi retributivi e la contrattazione del settore in cui i lavoratori svolgono effettivamente le mansioni del subappalto.

Infine, l’ultimo caposaldo della riforma potenzia gli ammortizzatori sociali in caso di riduzione dell’orario di lavoro o di sospensione del contratto per cause economiche, tecniche o organizzative.

Di fatto viene estesa la cassa integrazione, con un’importante attenzione alle riorganizzazioni strutturali, nell’ottica di trasformazioni produttive che saranno sempre più rilevanti nelle transizioni digitali ed ecologiche.

Si può importare?

Che rilevanza ha tutto questo per l’Italia? Certamente bisogna tenere a mente importanti differenze tra i due Paesi, sia in termini di storia giuslavoristica sia sul piano delle relazioni industriali.

Quando si cita il modello spagnolo si fa riferimento chiaramente a un’idea di principio da maneggiare con le dovute distinzioni: qualsiasi intervento va adattato al nostro panorama lavorativo. Tuttavia, i quattro pilastri della riforma spagnola offrono importanti spunti per la prospettiva italiana.

Anche in Italia è urgente intervenire sulla frammentazione e precarietà del mercato del lavoro, per fornire un quadro più tutelante per i lavoratori e più semplice da gestire anche per i datori.

Anche in Italia il subappalto rappresenta un rischio da scongiurare di mal-inquadrare e sottopagare i lavoratori. E anche in Italia si pone un tema fondamentale di contratti collettivi scaduti, che dai dati Cnel sono più del 60 per cento del totale.

Alcuni contratti sono scaduti da oltre cinque anni, il che significa che oggi migliaia di lavoratori hanno retribuzioni ferme a dieci anni fa. È perciò urgente un ragionamento sull’adeguamento dei livelli salariali e degli indici Ipca in attesa del rinnovo dei contratti.

Sul tema della cassa integrazione abbiamo forse spalle più larghe, poiché nello scorso governo il ministero del Lavoro a guida Andrea Orlando ha approvato una riforma degli ammortizzatori sociali che ha esteso le reti di protezione per oltre 12 milioni di lavoratori.

Resta però fondamentale tenere ben a mente la corresponsabilità di imprese e Stato nel preservare i livelli occupazionali, soprattutto durante le transizioni che sono e saranno necessarie nei prossimi anni, per consentire un ammodernamento del nostro panorama produttivo che valorizzi le competenze dei lavoratori invece di danneggiarli.

Scelte condivise 

Infine, la riforma spagnola è importante anche per una questione di metodo: gli interventi varati dalla ministra Díaz sono stati siglati sia dai sindacati che dalle associazioni datoriali, a seguito di un lungo e intenso processo di consultazione che ha sorpreso molti.

È un segnale importante, di come il dialogo sociale possa portare a soluzioni condivise e positive per tutte le parti in campo, altro elemento a cui la mozione Schlein ha dato peso notevole.

Ed è proprio questo che merita di essere sottolineato. In tanti, in queste settimane di intensa campagna congressuale, mi hanno chiesto: perché Elly Schlein cita sempre il modello spagnolo? Perché guardare all’estero quando si possono fare proposte più mirate al nostro panorama nazionale?

Non pretendo di rispondere a nome di Schlein, ma ho una mia convinzione: citare l’esempio spagnolo dimostra che si può fare. Una riforma condivisa a tutela dei lavoratori, che spinga la crescita dei salari e dia stabilità contrattuale, è possibile.

Se l’ha fatto la Spagna, con un mercato del lavoro più simile al nostro di quello di molti altri paesi Ue, allora con la giusta volontà politica possiamo farlo anche noi.

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