“Colombo ha avuto grande onestà intellettuale”
Aldo Torchiaro — 8 Aprile 2023
Le rivelazioni che Gherardo Colombo, ex pm del pool Mani Pulite, ha fatto a Enzo Carra fanno discutere. Alcuni magistrati avrebbero offerto un salvacondotto ai loro inquisiti, a cui avrebbero promesso l’immunità penale in cambio di informazioni e di qualcosa di più: della promessa di “uscire dalla vita pubblica”. Da Gherardo Colombo, che d’altronde lo ha scritto nero su bianco, nessuna smentita. Arrivano invece le conferme. I protagonisti di quegli anni iniziano a parlare, a ricordare le irricevibili proposte che alcuni magistrati gli formulavano. «Pentitevi e saltate un turno dalla politica, avrete la fedina penale pulita»: Giulio Di Donato, a lungo parlamentare socialista e oggi presidente dell’associazione Socialismo Oggi, conferma nella sostanza quella che definisce “una prassi, una offerta regolare”.
E sottoscrive le parole di Gherardo Colombo, «cui va dato atto di una grande onestà intellettuale. Ha capito gli errori e anche gli orrori di una inchiesta che ha sommerso di fango la storia del Paese, e ha iniziato a scavare nel fango per rimettere qualche cosa a posto». Di Donato, napoletano, è stato l’ultimo vice segretario del Psi di Bettino Craxi, dal 1990 al 1992. Ed in quanto tale è rientrato in una trentina di procedimenti per un totale di 44 capi di imputazione. A Milano lo chiamarono in causa per una questione di sponsorizzazioni al Festival de L’Avanti. «Mi dissero che lo sapevano, che io non ne sapevo niente. Ma che da vice segretario del partito avevo delle responsabilità. E giù ore a interrogarmi, certe sere fi no allo sfi nimento». I modi sono quelli che solo l’eloquenza di Antonio Di Pietro ha saputo restituire fedelmente: “Io a quello lo sfascio”, disse di Silvio Berlusconi. I primi arrestati confessavano, denunciavano il denunciabile. Poi il clima cambiò, e mutò lo scenario.
Prima c’era Di Pietro che martellava, mentre agli altri pm, come dirà Francesco Greco, «competeva un lavoro di ricostruzione successivo agli interrogatori… ma la situazione si è modifi cata nel corso del 1994 quando le collaborazioni diminuirono fi no a cessare. Fu lo stesso Di Pietro a dire che non arrivava più acqua al suo mulino, la tecnica investigativa cambiò». A quelli che consegnavano la propria carriera politica, annunciando pubblicamente di uscire dalle istituzioni, dai partiti, dalla pubblica amministrazione “almeno provvisoriamente”, come scrive Colombo, si iniziavano a fare sconti anche molto importanti. Perdonando alla fi ne anche tutto. Giulio Di Donato rievoca quegli anni e un episodio in particolare. Finisce un interrogatorio – siamo nel 1994 – e gli sequestrano il passaporto. Così, per fargli capire che non può lasciare il Paese, sospeso in quel limbo tra attesa di giudizio e attesa di giustizia in cui vengono messi a rosolare, ogni anno, mezzo milione di italiani.
“Poi successe una cosa strana: l’allora Pm di Milano, Francesco Greco, mi fece chiamare in via informale. Disse ai miei legali di voler fare una chiacchierata amichevole con me. Ero a Napoli, presi il treno con i miei legali, Greco mi incontrò nel suo ufficio senza più usare i toni dei due anni precedenti. Un pacchetto di sigarette aperto sul tavolo richiama la sua attenzione: erano Gitanes senza filtro”. Che strano, proprio le sigarette abituali di Di Donato. Una coincidenza. E quando l’ex numero due di Craxi si siede, voilà, dal primo cassetto del Pm Greco ecco che salta fuori il passaporto di Di Donato. “Eccolo, glielo volevo riconsegnare io stesso”, gli dice il magistrato. Quanta premura. E gli allunga l’accendino. Si parla di politica, di famiglia. “Pensa di fare un viaggio, adesso che può?”, gli chiede l’inquirente. E l’esponente socialista: “Non so ancora, non ci ho pensato. E a dire la verità non ricordavo neanche di non avere il passaporto”.
“Allora mi permetta di darle un suggerimento”, incalza Greco. “Perché non va ad Hammamet a trovare Bettino Craxi? Lei ci parla, gli fa capire che faremo un giusto processo, che la cosa migliore è farsi vedere in aula, e se lo convince a tornare in Italia gliene saremo tutti grati”. Non serviva aggiungere altro. Di Donato ha intuito il senso, l’obiettivo delle cortesie riservategli. E ha capito che i magistrati hanno nel mirino Bettino Craxi, “il Cinghialone”. Vogliono il trofeo di caccia da esporre. Varrebbe oro, quel trofeo. Di Donato quel viaggio lo farà, andando a salutare il leader socialista in esilio, ma si guarderà bene dal farsi messaggero delle Procure.
Né rivedrà quel Pm, al ritorno. «Una cosa però me la faccia aggiungere: c’era un disegno politico ben preciso, nell’operazione Mani Pulite. Non è vero che si voleva colpire tutta la politica. Si voleva colpire il Pentapartito, che rappresentava il nodo di potere stabile del nostro sistema politico. Si indagarono con particolare pervicacia quelli vicini a Forlani e a Andreotti, nella Dc, risparmiando quasi del tutto la sinistra democristiana. Si indagò con il microscopio fi n nelle piccole federazioni provinciali del Psi. Da noi misero a soqquadro tutto, ripetutamente». Un capitolo a parte riguarda Berlusconi. «Le Procure guardavano con simpatia a Berlusconi che ne ossequiava il lavoro con i suoi inviati di Mediaset a documentare il lavoro febbrile al Palazzo di giustizia di Milano. Nel 1994, quando entra lui in politica, sconfi ggendo Occhetto, ecco che le Procure dirigono tutte le indagini su di lui. All’improvviso. Dimostrando una regìa politica che dirigeva senza esitazioni le sue armi sul nemico di volta in volta da abbattere».
Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.
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