“Si diventa rossi di vergogna anche al buio? Non lo credo, come invece credo che al buio si diventi pallidi per paura. Infatti pallidi lo si diventa per se stessi, rossi invece per se stessi e per gli altri”
Georg Christoph Lichtenberg, Aforismi, K115
(UGO ROSA – glistatigenerali.com) – 12 Marzo 2023 – Non è detto che quel che vale per la propria minuscola e personalissima esistenza, valga poi, più in generale, per la società nel suo complesso. E’ l’abbaglio che hanno sempre preso i detrattori dell’uguaglianza sociale nel nome della ovvia diversità di ciascun individuo dall’altro. Che ognuno sia personalmente diverso da ogni altro è un dato di fatto. Non comporta però che un genio e un cretino, un meraviglioso pianista e uno strimpellatore, uno scrittore di talento inarrivabile e uno scribacchino, pur essendo tra loro personalmente agli antipodi, non abbiano, in quanto esseri umani, diritto al godimento di uguali condizioni socioeconomiche di esistenza. Dal punto di vista sociale, ad esempio, il “sapersi accontentare” equivale ad avallare lo status quo e, in conseguenza, ad attestare il privilegio e l’ingiustizia; è la ragione per cui chi parla di “decrescita felice” – alle condizioni date – nel migliore dei casi dice una insulsaggine à la page e nel peggiore è un collaborazionista e un complice del crimine sociale. Ma al contrario “sapersi accontentare”, nella propria quotidiana esistenza, di poco e magari anche di quasi nulla, è perfettamente saggio. Per i vecchi, in particolare, questo vale più che per chiunque altro. Io sono vecchio. E così, coi miei vecchi occhi, riconosco in questa guerra folle e sciagurata – ma quale guerra non lo è – almeno un minuscolo pregio. Essa ha dimostrato oltre ogni possibile dubbio, quello che vale l’informazione giornalistica in questo paese, di che pasta sono fatti coloro che l’amministrano, a che specie appartengano i politicanti che ne fanno uso. Ha anche dato occasione di osservare come funziona, giorno per giorno e in corpore vili, la costruzione delle pubblica opinione, la creazione del nemico e l’istituzione del capro espiatorio di stato. Vero è che avevamo già visto il meccano in azione proprio nei mesi precedenti la guerra, nell’intero svolgimento della pandemia ma ciò che in quel caso era velato dal lenzuolino della difesa della scienza giace adesso, esanime, sotto il sudario della difesa dei valori (va da sé: occidentali…che vuol dire libero mercato e profitti garantiti). Un passo indietro, forse, in termini argomentativi, ma una balzo in avanti quanto ad enfasi e a magniloquenza. Ora il gazzettiere può agghindare i suoi spaventapasseri giornalistici con gli stracci colorati della retorica e metterli in campo, almeno fino a che il tempo non si decide a fare il suo lavoro riconsegnandoli al vento e rivelando gli spaventapasseri per quello che sono: bastoni marciti messi in croce. Ma siccome il tempo non sempre è galantuomo per allora potrebbe già essere troppo tardi. In un’epoca però in cui, mai come in precedenza, ciò che conta è “l’immagine” – ovvero non quello che sei ma quello che appari essere – gestire la propria vergogna è un handicap terribilmente penalizzante. Per cui meno ne provi, meglio è. Se sei senza vergogna è il massimo. E i cacalibri, quanto a questo, sono imbattibili. Infatti alcuni esemplari sono stati accuratamente selezionati dal ministro della difesa per formare un “Comitato per la Cultura della Difesa della Patria”. Tra essi spiccano come papaveri in un campo di grano: Pietrangelo Buttafuoco, Geminello Alvi, Gianni Riotta, Vittorio Emanuele Parsi, Angelo Panebianco e nientemeno che il direttore del Sole24ore Fabio Tamburini.
Per capire di cosa stiamo parlando ecco una citazione di Geminello Alvi (da un’intervista a Il Foglio di qualche anno fa):
“Se l’Europa è in uno stato d’animo più vulnerabile dell’America è perché ha delegittimato il mestiere delle armi e soprattutto i codici che gli sono propri. Le nostre classi dirigenti non sono più filtrate da una esperienza militare seria” (e aggiungeva anche, con il coraggio del barzellettiere privo del senso della decenza: “Gli eroi della sinistra sono ridicoli, come Che Guevara”).
Oppure questa ejaculatio praecox retorica in onore di LEI, la piccola fiammiferaia dalla fiamma perenne, effettuata da Pietrangelo Buttafuoco (Presente!).
Qui un’enfasi da affusto di cannone con la salma stesa sopra s’ingroppa a pecorina una prosuccia appiccicosa, da baciapile che sventola il titolo di studio in un telequiz di cultura generale:
“Le piazze tricolori e festanti con la fiamma degli esuli in patria, degli esclusi a prescindere e della gioventù nazionale. Quella che – nel ricordo di ciò che non c’è più – tra baci, fiori e rose canta “…oh Italia, oh Italia del mio cuore/tu ci vieni a liberar”…La fiamma che Giorgia Meloni non ha tolto dal suo simbolo è la fiamma di Paolo Borsellino, la fiamma di Dino Ferrari che se la porta nel bavero della giacca, nel letto di morte, è la fiamma di Walter Chiari che ci fa le mattane in scena, beffandosi di tutte le cautele ed è…la fiamma di Padre Pio”.
Direi che questo, per quanto riguarda fiamme e pompieri, è tutto. Aggiungere altro sarebbe impossibile.
That’s all.
La feccia della cultura italica.
Dannunziana, criptofascista – ma che mai si dichiara quello che è per vigliaccheria endemica – codina e ipocrita fino al parossismo. Uso la parola feccia, per quanto possibile, senza alcuna accentuazione metaforicamente spregiativa. Alla lettera. Non saprei come altro definire ciò che si è depositato al fondo del barile nel corso degli ultimi decenni – durante i quali nessun “intellettuale engagé” (diritti umani, transizione verde, parità di genere a tirichitò…) è stato in grado di travasarne il contenuto per farlo respirare. E ci voleva proprio questa guerra sciagurata per far sì che di quella feccia, finalmente, si potesse prendere visione in tutto il suo stratificato spessore. Per questo io, come dicevo, voglio accreditarglielo come un pregio. L’unico, forse, ma un pregio.
Se solo si capisce che uso farne.