A 23 anni dall’istituzione del Giorno della memoria il 27 gennaio, la produzione di libri che raccontano la Shoah ad un pubblico di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, ha avuto un aumento tale che per orientarsi e trovare i libri migliori sarà utile individuare delle linee guida essenziali.
Proverò quindi qui a considerare alcuni aspetti di questi libri relativi alla qualità letteraria, alla correttezza storica e alle attenzioni verso il lettore e la lettrice legate allo specifico contenuto di cui ci stiamo occupando.
Correttezza storica
Cosa raccontano della Shoah i libri che si rivolgono a bambini e bambine, ragazzi e ragazze? Quando iniziare a proporli?
Proviamo a fare qualche ragionamento insieme a riguardo. Partiamo da una considerazione essenziale: quando si ha in mano un libro per ragazzi legato alla storia della Shoah bisogna innanzitutto assicurarsi che, oltre ad essere un buon libro dal punto di vista letterario (condizione assolutamente necessaria), sia storicamente corretto: l’entità di questa Storia è tale e tanta da richiedere precisione nella ricostruzione storica.
Potrebbe sembrare una considerazione ovvia ma è necessario tener conto che alla luce di quello che è diventato un vero e proprio mercato editoriale della memoria che, talvolta con le migliori intenzioni, talaltre no, invade le librerie in gennaio, molti sono ogni anno i libri che basano la narrazione su macroscopici errori storici.
Come fare dunque a sapere se un libro è “corretto” da questo punto di vista o meno? La risposta non è così semplice… chi sa fare buoni libri segue dall’inizio alla fine il processo di creazione e ci mette a riparo da brutture letterarie ma anche da imprecisioni o sciatterie nella verifica storica: raramente un buon testo e delle buone illustrazioni raccontano una storia con degli strafalcioni storici. Affidarsi dunque a buone case editrici, autori riconosciuti nel settore e magari a recensioni di esperti può aiutare in questo senso, a patto di mantenere sempre una buona dose di senso critico.
Scelte rispettose
Oltre alla qualità estetico-letteraria e alla correttezza storica questi libri devono avere una particolare cura riguardante le scelte stilistiche e narrative, una cura che tenga conto della delicatezza dell’argomento e della sensibilità dei lettori. Una delle scelte principali che un autore o autrice è chiamato a fare, ad esempio, riguarda la focalizzazione, ovvero la scelta della voce con cui raccontare la storia: in prima persona, in terza con narratore onnisciente ecc.
Le narrazioni riguardanti la Shoah devono stare molto attente nell’usare la prima persona o a puntare al processo di immedesimazione tra la vittima e il lettore poiché questo procedimento, che in altri contesti è sicuramente appropriato, può risultare scioccante e inutilmente penoso oltre che realisticamente impossibile e psicologicamente inefficace. Questo tipo di sollecitazioni sono spesso scelte con ingenuità, un’ingenuità che dimostra una non adeguata elaborazione della narrazione in vista di un contenuto narrativo complesso come quello della Shoah che per altro spesso tende a sovrapporre, quando non proprio a confondere, Storia e memoria creando cortocircuiti che rendono ancora più complesso lo scioglimento della matassa emotiva.
La forza che inevitabilmente le narrazioni della Shoah si portano dietro è una forza che, se non mediata, può provocare due effetti apparentemente opposti ma derivati dalla medesima difficoltà davanti ad una storia decisamente troppo grande e impegnativa per il lettore: ci possono essere lettori e lettrici che vengono fortemente turbati e quelli che si allontanano del tutto ostentando indifferenza e alzando un muro.
Quando invece la narrazione lavora al meglio sortisce l’effetto di avvicinare il lettore non solo alla storia narrata ma anche alla lettura stessa come evento in cui si ripete, ancora una volta, un’esperienza piacevole anche quando si tratti di una narrazione potenzialmente dura.
Punti di vista
Le migliori narrazioni della Shoah prediligono vie narrative trasversali, non frontali, non dirette; sono storie che scelgono un punto di vista o una diagonale da cui narrare una storia che viceversa non potremmo guardare negli occhi. È ad esempio il caso riuscitissimo, di Fuorigioco di Fabrizio Silei e Maurizio Quarello edito da Orecchio acerbo, un albo illustrato che sfiora l’argomento Shoah e introduce alla storia delle persecuzioni e del totalitarismo nazista raccontando la storia del campione austriaco di calcio Mathias Sindelar e della sua compagna Camilla (ebrea italiana).
Un’altra possibilità narrativa funzionante e funzionale è quella di scegliere, almeno fino ai 10-11 anni, storie a lieto fine, storie di sopravvissuti o di scampati o di Giusti tra le nazioni, narrazioni dunque che abbiano spiragli di positività e speranza, che lascino vedere la luce nel nero assoluto della Shoah.
È il caso, tra gli altri, del meraviglioso La città che sussurrò di Jennifer Elvgren e Fabio Santomauro edito da Giuntina, del bell’albo di Isabella Labate Il bambino del Tram edito da Orecchio acerbo, o della raccolta di racconti Luci nella Shoah di Matteo Corradini, edito da De Agostini.
Sempre perfetta come scelta narrativa quanto estremamente complessa da gestire, la costruzione di una metafora calzante, sensata e letterariamente ineccepibile come accade nel bellissimo Solo una parola di Matteo Corradini edito da Rizzoli.
Il momento giusto
E così arriviamo all’ultimo punto da affrontare: quando leggere questi libri e iniziare a raccontare la Shoah a bambini e bambine, ragazzi e ragazze?
Quella della Shoah e delle persecuzioni antiebraiche è una storia che si può iniziare a raccontare, con tutte le precauzioni del caso, tendenzialmente dalla terza o quarta elementare in poi. Prima si può senz’altro “preprarare il terreno” con letture inclusive nel senso più ampio del termine, letture che abituino all’esistenza e al rispetto di punti di vista diversi, caratteristica per altro tipica di tutta la letteratura di qualità e che dunque non credo richieda necessariamente letture particolari se non qualitativamente elevate.
Di pari passo alle letture dedicate alla Shoah è fondamentale avere cura di introdurre narrazioni e letture in cui l’identità e la presenza ebraica non siano esclusivamente legate e schiacciate sulla Shoah e l’antisemitismo. L’appartenenza e l’identità ebraica non sono rappresentate dalla sola storia della Shoah e dall’aspetto strettamente religioso ed è importante che non si creino pregiudizi e stereotipi intorno a tali aspetti, come solitamente accade complici la poca conoscenza diffusa della cultura ebraica e la scorrettezza con cui la maggior parte dei libri di scuola dalla primaria in su affronta l’argomento.
Quando si inizia invece a parlare esplicitamente di Shoah le storie di vita o le storie che scelgano vie trasversali e indirette sono, come sin qui provato a dire, le migliori, e la forma letteraria forse più efficace in questa fascia d’età resta quella dell’albo illustrato, in cui la mediazione dell’illustrazione contribuisce in maniera decisiva alla riuscita della narrazione.
Salendo con l’età, dalle scuole secondarie, possiamo iniziare a proporre anche storie più forti, naturalmente adatte ai lettori e alle lettrici dell’età e facendo attenzione alla sensibilità di ognuno. E a quel punto sarà anche possibile iniziare ad approcciare libri di natura diversa, esplicitamente divulgativi e saggistici che affrontino la questione anche dal punto di vista strettamente storico, penso ad un libro eccezionale come Prof che cos’è la Shoah di Frediano Sessi edito da Einaudi Ragazzi o Lettere ad una tredicenne sul fascismo di ieri e di oggi di Daniele Aristarco edito da Einaudi Ragazzi.
Qualità prima di tutto
Provando a tirando le somme potremmo forse spingerci a dire che l’opportunità e l’efficacia di offrire libri che raccontino storie di Shoah a bambini e bambine, ragazzi e ragazze, dipende innanzitutto dalla qualità del libro che proponiamo ai nostri lettori e lettrici delle diverse età.
Perché è lì, nella qualità estetico-letteraria, nella correttezza storica, e nella cura al proprio lettore e lettrice che si può valutare la differenza tra un buon libro il cui incontro arricchisce il lettore in ogni senso, e un cattivo libro che non solo il lettore lo allontana ma, nel caso specifico delle narrazioni sulla Shoah, contribuisce a creare controcultura e false narrazioni che possono produrre effetti rischiosi a livello individuale e collettivo.
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